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Iper-inferno [2]: Ammonimenti al lettore da parte del protagonista palesantesi tale

Da Ludovicopolidattilo

Iper-inferno [2]: Ammonimenti al lettore da parte del protagonista palesantesi tale

Di cosa si tratti è “spiegato” qui: [000], [00], [0]. Capitoli precedenti: [1].

Pur avendo io assaporato calici colmi di distillati tanto sacrileghi quanto deliziosi, pur avendo io avvolto le membra nude nelle ombre umide che solo le notti più dissolute sanno procurare, pur avendo io perpetrato con voluttà qualsivoglia crimine senza remora alcuna ai danni di ogni fatta di innocente e ignaro, non ci si affretti a condannarmi, poiché di quei nettari, di quelle coltri e di quelle empietà non è noto, ai più, il potere di incantagione.

Una malia tale da impedire che si pensi e faccia altro per il tempo rimanente, dall’impegnarsi con ogni artificio nel procurarsi quantità ulteriore per assumerne ancora e di più. Di tutto ciò i miei concittadini, operosi, votati al sacrificio, saldi sui valori civili tradizionali, irreprensibili di moralità e coerenti in ogni atto, non potranno sapere, perciò si guarderanno dallo sentenziare che non compete loro.

Della gravità dei miei atti non possono e non debbono giudicare poi – quantunque pure difficilmente ne saranno informate – quelle figure adibitesi ad ammaestrare città e nazioni mediante fuoco, acciaio, denari immondi, non attrettanto immonda lordura, menzogna, meretricio e corruttela illimitati. Ad esse, che per assai meno avventurosi e gloriosi traguardi dei miei sacrificano agilmente la propria redenzione, non permetto di esprimere di nulla su quanto mi riguarda. Tacciano di me e sul resto perpetuino pure a mentire e versare salive infette.

Anche chi per ventura mi leggerà, sappia valutare con indulgenza chi fui e il modo in cui agii. Sia prudente, che nel petto dell’uomo alberga un verme uso a giacere ben nascosto, che si muove piano, che non dorme giammai. Quel verme ha nome vizio. Se anche tu lo senti muovere e dici che ti piace, allora chiamami fratello.

Da moltissimo tempo non udite pronunciare il nome di Casimyr Goldwasser. Forse ve ne rammaricate. Forse ne siete lieti. Forse non vi badate, distratti dalle attività e dai ruoli che quella irrisoria porzione di mondo che avete scelto di abitare, vi riserva. Ricorderete tuttavia che fu accademico stimato e uomo di scienza alle cui teorie vennero tributati ammirazione e plauso presso ogni consesso di dotti.

Ciò che di certo ignorerete è il suo essersi addentrato un giorno in territori ove l’oscurità predomina sulla luce e la ragione umana, facilmente, è costretta a soccombere di fronte all’avanzare protervo del caos. Fu a partire da quel giorno che il suo nome cessò di essere scritto e pronunciato. Prima abbandonò i fogli delle cronache, poi disparve dai documenti ufficiali, quindi venne detto sempre meno – in ultimo affatto – dalle bocche di quanti lo conobbero di persona o per fama.

Di quelle vicende intendo narrare se gli eventi me ne concederanno il tempo e il modo. Esse trovano il proprio compimento qui, dove le dita di Casimyr Goldwasser dovranno muoversi rapidamente sui tasti della suo prezioso apparecchio siglato dalla manifattura Seidel & Naumann. Più di un dispositivo meccanico capace di imprimere caratteri tipografici sulla carta. Assai di più. La sola compagna, piuttosto, in grado di accompagnarlo – meglio “accompagnarmi”, poiché di me, come avrete capito, si parla – negli ultimi istanti del cammino intrapreso infiniti sforzi e infinite privazioni fa. Ciò, non disponendo di coscienza vulnerabile dagli orrori che la circonderanno.

Racconterò di me stesso – Casimyr Goldwasser – negli istanti che precedono la trascrizione di quanto sussurreranno le creature che per giorni e notti innumerevoli dovranno e vorranno assediarmi. Con esse giocherò una partita le cui sorti appaiono straordinariamente incerte per l’ostinazione immane che sosterrà lo sforzo di una parte e la furia demoniaca che animerà la parte avversa.

Racconterò di me stesso poiché vorrei che la mia impresa titanica, in caso di esito infausto, non debba cadere nell’oblio. Forse per questo mi sarà perdonato il reiterare la menzione del mio nome come ad affermare di essere esistito in una realtà che potrebbe, in qualunque maniera evolvano gli eventi, scomparire trascorso un istante da ora.

Quando tuttavia le voci che solo la mia consuetudine con esse sa distinguere dal rantolo di una serpe schiacciata sotto il tacco di uno stivale arriverannono alle mie orecchie, per non soccombere dovrò imprimere nella carta le parole che, a fatica e con infinito turbamento, vi riscontrerò. Una immonda schiera di coboldi si manifesterà allora, respirerà, minaccerà, parlerà. A me che vorrò sottometterla.



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