Un tè allo zenzero fortifica la vista interna, allarga la capacità dell’occhio sepolto, fa dire allo spirito dove è entrato: io posso.
(Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, Adelphi 1979)
Assicuratevi di avere da parte una giornata d’estate inaspettatamente mite d’ombra e di premure buffe, fresca e accogliente di vento pigro e pioggia lontana, sprovveduta quanto basta, distratta quanto può. Tiratela fuori per tempo, accomodatevela intorno con cura, che non restino angolini scoperti.
Scegliete un tè nero che faccia al caso – sufficientemente corposo -, o forse ancor meglio un tè puerh, come ho fatto io: niente di troppo pregiato, ché sarebbe uno spreco e un “affronto” inutile: basterà uno shu di buona qualità (io ho scelto un Golden Puerh, morbido non più del necessario e lucente di piccole virgole d’oro).
Tagliate qualche fettina di radice di zenzero fresca, togliete la pellicina: godetevi il profumo (limone e solletico?), leccatevi le dita, mordicchiatene un pezzetto sovrappensiero (pizzica!): fate cose impertinenti, da sorriderne anche se nessuno vi guarda.
Unite foglie di tè e radice, preparate come di consueto: acqua appena sotto il punto di bollore, tre minuti circa d’infusione. Recuperate le piccole rondelle di zenzero imbevute e lasciatele galleggiare nella tazza, sbilenche e smemorate. Imitatele (non è proibito piangere).
Ripetete tra un sorso e l’altro la cosa del mordicchiamento dispettoso: godetevi il come, e finché dura il frizzante dimenticatevi del perché. Allenatevi all’imprevedibile, che quasi mai dà risposte.
Infine recatevi in giardino – va bene anche quello immaginario – a smascherare susine tra le foglie: cogliete le più nascoste e provocanti, quelle che già ammiccano di malizia dorata sotto la polverina opaca, e adagiatele in un cestino come uova in un nido.
Assaggiatele ancora calde di sole.
Nel mentre, ad occhi chiusi, scegliete una solenne sconfitta – purché ancora calda, anch’essa, ed ambiziosa – e tramutatela in umile vittoria (non c’è bisogno di strafare).
Ho visto una cosa bella, le sono corsa incontro, senza considerare – neanche per un attimo – che avrei potuto anche non farlo. Mi sembrava talmente preziosa da provarci, irripetibile a tal punto da azzardarsi, così buona da crederci e fidarsi: sono sgattaiolata fuori dall’armatura, a fatica, ho scosso all’aria i miei nastri impolverati, me li sono avvolti intorno; ho stretto piccoli fiocchi, ingenua, che per disabitudine somigliavano a nodi: c’è chi per comodità li ha ignorati, deliberatamente fraintesi, addirittura derisi, finché ho compreso che avrei dovuto scioglierli uno ad uno (passatempo che ancora dura e durerà, ché alcuni si riannodano da sé, increduli e testardi).
«Tentare di nuovo, fallire di nuovo, fallire meglio».
Io se non altro stavolta l’ho fatto meravigliosamente (non è da tutti concedersi il privilegio dell’errore con tanto genuino e sconsiderato entusiasmo): ecco la mia piccola, delicata vittoria.
La festeggio con un tè allo zenzero e susine tiepide, col favore dell’estate.
~
Per saperne di più sulle tante virtù dello zenzero: un ricco dossier (navigatelo col menu sulla destra), la voce su Wikipedia, una scheda erboristica.~
~