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L'autore del delitto viene subito ucciso da una mano imprecisata e il suo corpo viene gettato nello specchio di mare davanti alla baia.
La polizia derubrica subito la morte dell'anziana signore come un suicidio perché trova un biglietto in cui la donna aveva scritto che non aveva più senso vivere e intanto un architetto che era in contatto con l'anziana signora si mette subito in moto credendo che così possa cominciare una speculazione edilizia sulla zona.
Ma i morti cominciano a fioccare e la situazione si fa sempre più ingarbugliata.
Reazione a catena ( ma di titoli ne ha tanti questa pellicola da Ecologia del delitto fino a Bay of blood o Bahia de Sangre che dir si voglia) è il film che consegna il cineasta Mario Bava, supremo conoscitore dell'artigianato cinematografico, uomo praticamente in grado di svolgere qualsiasi mansione tecnica su di un set cinematografico, alla storia del cinema.
E lo fa in maniera curiosa , quasi paradossale.
Lui che aveva svezzato una generazione di giovani registi ( un nome su tutti? Dario Argento, quando ancora sapeva fare cinema ), lui che aveva creato , non volendo, i canoni stilistici del giallo all'italiana usando la Reazione a catena sembra tornare indietro sui suoi passi ed esplorare altri sentieri di cinema possibile.
tecnica del whodunit, lui che aveva esplorato tanto e bene il versante horror del cinema , genere in Italia che all'epoca era seguito da un manipolo piuttosto ristretto di appassionati, e che lo aveva portato alla grande distribuzione pur con tutti i problemi produttivi che ha avuto sempre con quasi tutti i suoi film, con questo
Non più horror tout court, non più whodunit, non più il giallo all'italiana in cui dopo l'esordio di Argento, altri volenterosi e talentuosi registi si stanno muovendo in quegli inizi di anni '70 ( Aldo Lado, Lucio Fulci, Umberto , De Martino e altri) ma un nuovo modo di condurre la narrazione di un'efferata vicenda criminale.
Non si usa la suspense, non più la tensione che sale attimo dopo attimo, ma delitti violenti e sanguinari, tutti perpetrati a favore di camera e che intrinsecamente contengono quel quid di grottesco che li fa diventare a loro modo beffardi, quasi che Bava volesse farsi beffe di personaggi che sembrano più che altro antipatiche caricature, trattati alla stessa stregua della carne da macello come se il set cinematografico fosse un gigantesco mattatoio.
Il grande Mario non lo sapeva, forse non lo ha mai saputo , ma con questo film ha creato l'archetipo dello slasher, sottogenere horror esploso a fine anni '70 e che da Halloween di Carpenter e dal seminale Venerdì 13 (soprattutto i primi due film della saga cresciuta intorno a Crystal Lake, che sembrano una ricopiatura di sana pianta del film di Bava) in avanti , fa ancora parlare di sé a quasi quaranta anni di distanza.
Così come parliamo ancora di questo Reazione a catena che di anni ne ha quasi quarantaquattro e che non ha nessuna voglia di invecchiare.
Per il cinefilo e per il maniaco dell'horror che abiura totalmente dalla CGI che plastifica tutto nell'estetica cinematografica di oggi, Reazione a catena è una successione di orgasmi filmici, uno dietro l'altro.
La contessa fatta fuori impiccandola da una sedia a rotelle , lo sgozzamento con la roncola della ragazza bionda che fuggendo cerca di avvertire i propri amici , la stessa roncola che spacca in due la faccia di un suo amico, una decapitazione in piena regola, un omicidio doppio mentre una coppia è alle prese con un amplesso furioso e così via, siamo alla sagra dell'omicidio all'arma bianca ma ogni volta Bava ci stupisce per dettaglio, per prospettiva, per il modo in cui gira il tutto, quasi volesse mettere in primo piano anche un lato ironico che sa tanto di sarcasmo.
Bava si prende gioco dei suoi personaggi, tutti simboli della grettezza e dell'avidità umana ( l'unico che manifesta un briciolo di umanità è paradossalmente la contessa, tra i personaggi principali quello che sta meno in scena, per via del suo rapporto col figlio naturale Simone che vuole in qualche modo proteggere), si prede gioco delle regole cinematografiche del genere e forse anche degli spettatori, pur rispettando come pochi il suo pubblico, con un film dalla sceneggiatura a prima vista intricatissima ma che in realtà si muove seguendo logiche semplicissime, oserei dire newtoniane, di azione e reazione.
E il finale , il ghigno finale di una Nicoletta Elmi bambina , è il simbolo perfetto della grande beffa ordita da un Mario Bava che non aveva mai usato così sapientemente l'arma del sarcasmo.
Reazione a catena è il film da far vedere ai ragazzini italiani che dicono che in Italia non siamo mai stati capaci di fare cinema.
Perchè noi il cinema lo sapevamo fare.
Anzi eravamo di un incollatura avanti a tutti.
PERCHE' SI : archetipo di un nuovo genere, violenza ed efferatezza ai massimi livelli ma anche sarcasmo e ironia macabra, quasi tutte le sequenze di omicidio sono da ricordare, ultracitato
PERCHE' NO : la sceneggiatura , pur intricata , è solo un canovaccio su cui improvvisare, il bagno di sangue può non essere adatto a tutti gli stomaci, difficile trovare difetti in un film che si ama alla follia...
( VOTO : 8 / 10 )
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