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Italia. Terra di cultura, ma anche di razzismo

Creato il 08 settembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
Italia, politica, cultura, razzismo

Photo credit: Gianni Dominici / Foter / CC BY-ND

Non si può certo dire che l’Italia sia stata una nazione priva di influenze: i francesi in Piemonte , gli austriaci in Veneto, Lombardia e Trentino, gli spagnoli in Campania. E che dire invece della Sicilia? Arabi, fenici, spagnoli, greci…
Ma anche noi abbiamo influenzato, se per questo: si pensi all’antica Roma che, con le sue infamie e le sue glorie, si è fatta conoscere nel mondo. Si pensi alla sua storia, ai suoi Re, alla creazione del diritto.
E che dire invece della nostra cultura e della nostra cucina? Durante un anno passato all’estero mi sono resa conto di come sia amata dagli stranieri.
Diverso è il discorso sulla politica: la gente ‘sorride’ pensando alla nostra situazione.In particolar modo, il tema emerso quest’estate, che non ci ha fatto molto onore, è quello del razzismo.
Centro di incontro di culture e popolazioni per molti secoli, è difficile capire come mai l’Italia sia così intrisa di sentimento razzista. Possibile che siamo un paese così paradossale? Non dovremo invece avere un minimo di apertura?
Basta pensare alle recenti affermazioni/provocazioni avvenute proprio recentemente.
Il ministro Kyenge e la sua somiglianza agli oranghi tanghi, con allegato il gentile invito ad andarsene al suo Paese originario a fare il Ministro, il lancio di banane, mirato anche questo a ricalcare la provocazione di cui sopra: tutti atteggiamenti, e tutte mentalità palesemente contrastanti con l’articolo tre della Costituzione Italiana (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di RAZZA, di SESSO, di LINGUA”). Ma a quanto pare queste sono belle parole che hanno valore solo scritti su pezzo di carta.
Ugualmente paradossale l’atteggiamento con cui affrontiamo la questione dell’immigrazione. Possiamo citare alcune testimonianze di come venivano giudicati i migranti italiani non solo a cavallo del 1800-1900, ma perfino nel 1973 attraverso le parole del presidente americano Richard Nixon. Erano i tempi in cui l’Italia non “esportava” solo mafia, ma soprattutto braccia da sfruttare che migravano dai paesi originari per gli stessi motivi che hanno spinto e spingono negli ultimi decenni albanesi, rumeni, moldavi, marocchini, egiziani, tunisini, senegalesi, ghanesi, nigeriani, cingalesi, pakistani a tagliare le loro radici a causa di fame, miseria, malattie, disperazione, guerre.
Soltanto due o tre generazioni fa erano gli emigranti italiani ad essere trattati come bestie, come schiavi, come rifiuti umani utili solo come forza lavoro brutalmente spremuta fino all’ultima goccia di sudore e sangue.
Gli stessi italiani che oggi non si ribellano al modo in cui vengono trattati i loro fratelli di classe africani, dell’est europeo o del medio e dell’estremo oriente.
Non brilliamo neppure per quanto riguarda il tema omofobia. Ora che anche i nostri vicini francesi si sono allineati allo standard richiesto dalla Corte Europea, noi dobbiamo per forza continuare a intestardirci nel pensare che le unioni omosessuali sono ‘incivili’ o ‘contro natura’?
Ma che vogliamo farci: siamo un paese piuttosto paradossale, a quanto pare. Non ci piace il diverso e non vogliamo accettare alcuna forma di apertura. Ci dimentichiamo che però anche noi siamo ‘diversi’ dagli altri. Siamo tutti ‘diversi’, ma in fondo anche tutti uguali.


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