Danilo Gallinari, Andrea Bargnani, Marco Belinelli. I nostri tre moschettieri nella Nba. Tre ragazzi con origini diverse e destini diversi. Con in comune un’annata 2009-2010 che si è conclusa con la fine della regular season. Pronosticabile per i Knicks del Gallo in totale rifondazione, molto meno per i Raptors di Andrea e Marco, pezzi di un ingranaggio che ai nastri di partenza era indicato come appena dietro le top three dell’Est, Cleveland, Boston e Orlando. Parlando di loro singolarmente, non c’è dubbio che Gallinari sia stato quello che ha attirato maggiori attenzioni, confermandosi pronto per diventare un giocatore franchigia. Bargnani, a dispetto del contrattone firmato in estate, non è riuscito a compiere il salto di qualità atteso, così come Belinelli non ha saputo convincere al meglio Triano a dargli quello spazio che non aveva trovato ai Warriors con Nelson.
GALLO
Nonostante l’annata di stop per l’intervento alla schiena che lo faceva penare anche per scendere dal letto, Danilo ha giocato una grande stagione, dentro e fuori dal campo. La sua personalità immensa si è sentita fin dal primo giorno, e nemmeno l’ego di gente come Nate Robinson e Al Harrington è riuscito a scalfirne la fiducia. Col passare delle partite non è più stato solamente il fucile da dietro l’arco (che è rimasto…) ma anche un creatore di gioco e un leader, silenzioso ma non troppo. 15 punti, 5 assist, col 42% dal campo e il 38% da tre a sera per il ragazzo da Graffignana, che ha messo anche due trentelli in stagione, uno all’inizio contro Philadelphia, e uno a fine stagione in una grande gara contro i Celtics. Sono arrivate anche tre doppie doppie coi rimbalzi. Inoltre il Gallo è entrato anche nel tessuto connettivo di New York intesa come città: le ragazzine impazziscono per lui, e il Gallo, considerato uno degli scapoli d’oro della Mela, sorride e ringrazia. Abituato ad una metropoli come Milano, se la sta godendo sotto i riflettori di NYC, ma non avrebbe certo problemi a lasciarne qualcuno a LeBron, semmai sbarcasse al Madison. Se invece il Re dovesse restare a Cleveland (o chi per lui…), Danilo sarebbe tutt’altro che una pessima scelta come giocatore attorno a cui costruire il futuro dei Knicks.
Doveva essere la stagione del definitivo salto di qualità per Bargnani, dopo la firma sul contratto da 50 milioni in cinque anni. Invece è stata un’altra annata in cui Andrea ha sì migliorato le cifre di punti e rimbalzi (con l’aumento dei minuti…), ma non è riuscito a dare quell’impronta di star che il suo talento presupporrebbe. Gran giocatore, realizzatore tremendo in tutti i modi possibili, ma che si spegne quando la palla scotta. Diverse le gare in cui la produzione del Mago nel quarto periodo è stata quasi nulla. Inoltre ha perso di smalto quando in campo non c’è stato Bosh, considerato dai più un freno per l’azzurro. Invece, senza CB4, Bargnani ha trovato meno spazio per colpire con la libertà che ottiene di solito dai raddoppi sul lungo texano. La mia personale opinione, come dimostrato anche in Nazionale la scorsa estate, è che Andrea non ha la personalità e la cattiveria per essere un leader e un vincente. E’ e sarà sempre un pezzo pregiato di un sistema, un ingranaggio di un meccanismo con regole definite e ben oliato. 17+6+1.4 stoppate in stagione, col 47% dal campo e il 37% da tre: mettere punti a tabellone non è un problema, come dimostrano le svariate volte sopra i 20 punti, e le due volte sopra i 30. Il Mago ha bisogno di avere una o due star al fianco per rendere al meglio: se parte Bosh, dovrà per forza salire di livello, altrimenti sarà un altro fallimento per Toronto.
BELI
Doveva essere un nuovo inizio, come il numero zero faceva presupporre, e invece la stagione di Marco è terminata ancora una volta senza spazio e opportunità sul parquet. Da San Francisco a Toronto, dai Warriors ai Raptors, da Nelson a Triano, la musica non è cambiata. Dopo l’approdo in Canada e un’estate da star in Nazionale (senza però evitare il flop della squadra….), Belinelli aveva iniziato alla grande la stagione, con la fiducia del coach e tanti minuti in campo. Prima dell’Epifania infatti, Belinelli non era sceso in campo solo tre volte, e sempre per problemi fisici: viaggiava ad 8 punti di media, ma soprattutto cambiava marcia alla squadra uscendo dalla panchina. Dal 7 gennaio, ben 14 volte è stato tenuto seduto da Triano e il suo minutaggio è precipitato. Va considerata la grande ascesa di Sonny Weems, ma questa spiega solo in parte la scelta del coach di mettere il Beli nella cuccia. La spiegazione che posso dare è che l’input sia arrivato dall’alto a Triano: “facciamo giocare i preferiti di Bosh per convircelo a restare”. Questo spiegherebbe anche i tanti minuti sul parquet di Jarrett Jack a scapito di Calderon, la presenza insistita di Weems, DeRozan, Amir Johnson e Antoine Wright. Con tutto il rispetto, non penso che Marco sia così inferiore alla gente di cui sopra, per cui posso solo interpretare così l’esclusione di Belinelli. Marco ha chiuso la stagione a 7 punti a sera col 38% da tre: 21 punti contro Indiana il 2 febbraio il suo massimo. A questo punto non so se sia il caso di continuare a provare in America o ritornare in Europa, magari a fare la stella in un Top Team. Non vorrei che la grande determinazione di Marco di sfondare tra i pro alla lunga diventi contro producente.