Jalanan,
in gara al Concorso Internazionale di Biografilm Festival 2014, è
costato al regista Daniel Ziv cinque anni di
riprese per le strade di Jakarta. Fatti degni di essere raccontati non capitano ogni
giorno, ci ha spiegato... Poi è seguito un altro anno e mezzo di lavorazione del film. Ma ne è valsa la pena: l'opera ha vinto il prestigioso Busan International Film Festival 2013, e ora è approdata a Bologna in anteprima europea.
Jalanan
significa “Streetside” (“Dalla parte della strada"), che è la
prospettiva adottata da Daniel Ziv. Trasferitosi a Bali 15
anni fa, il g
iornalista, studioso del mondo asiatico e appassionato di documentari, conosce certo l'Indonesia. Ma ha deciso di farla raccontare agli indonesiani. Almeno così ha affermato. E, dal punto di vista strettamente narrativo, possiamo essere d'accordo con lui.
Benché il documentario riveli chiaramente la sua firma, Ziv ha voluto “dare voce a chi dà voce”, cioè ai musicisti di strada. Ci ha rivelato che, prima di girare, non ha voluto stendere nessuna scaletta, né si è imposto messaggi preconfezionati da trasmettere. Ha anche escluso la possibilità di una voce fuori campo, troppo estranea al mondo della strada. Elemento
di raccordo tra gli "atti" del film è, infatti, il
panorama di una Jakarta immensa, schiacciata sotto un cielo ora infuocato ora di piombo, invaso da nuvole e tornado spettacolari e terrificanti che sostano, lassù, immobili.
La capitale indonesiana è una distesa di luci che non illuminano. È la città della corruzione nell'era della democrazia e della
globalizzazione che hanno invaso il Paese asiatico dal '98, quando hanno avuto fine i 32 anni di dittatura sanguinaria
rievocati nel pluri-premiato documentario The Act of Killing
di Joshua Oppenheimer e, ancora prima, in Una vita vissuta
pericolosamente di Peter Weir.
Come sempre accade, la realtà non
corrisponde alle speranze.
Cosa sappiamo oggi, dunque, dell'Indonesia? Cosa ne comprendono gli stessi indonesiani? A noi, da quella parte del mondo arrivano solo notizie di un'islamizzazione sempre più radicale, che cresce parallelamente allo sviluppo caotico della capitale, metafora di
uno Stato in cui la rivoluzione democratica non ha sanato le disuguaglianze sociali. Ecco allora la necessità, per Daniel Ziv, di Jalanan.
Il regista ha scelto di far raccontare la vita di strada a chi in strada vive e sopravvive grazie alla musica. Per farlo ha accantonato sia lo sguardo del giornalista
sia l'approccio scientifico dello studioso e si è avvicinato a un mondo sconosciuto riuscendo a offrircene una visione intima, calda e coinvolgente.
Ha girovagato per le strade della
chiassosa e contraddittoria Jakarta ed è rimasto colpito dai musicisti che salgono sugli autobus per intrattenere il pubblico in cambio di qualche rupia. La sua “audizione silenziosa”
lo ha portato alla scoperta di quello che cercava: cantanti che
possedessero carisma e umorismo, un certo talento e che fossero
autori dei loro testi.
Quando
ha incontrato Boni, Ho e Titi, Ziv ha saputo
subito che erano "loro" e li ha seguiti con la sua telecamera per cinque anni cruciali della loro esistenza.
Boni ha un viso sorridente e paziente. Vive con
la sua famiglia sotto un tunnel che è la sua casa da dieci anni. Il
rasta versione indonesiana Ho canta la rabbia dei dimenticati, ma è
sempre pronto a scherzare leggero e a emozionarsi, tra una battuta e l'altra. Disincantato e lucido, quando gli viene svelato che Ho in
inglese suona come “whore” (prostituta), accetta il gioco di
parole con un sorriso dignitoso. In fondo, confessa, lui è
una prostituta dal momento che vende la sua arte. Ma non è meglio
essere una prostituta consapevole di vendersi, dunque onesta, piuttosto che un
politico corrotto? E poi c'è Titi, con
la sua voce dolce, carezzevole e vellutata: nata in una famiglia di stretta osservanza musulmana, trova la forza di sorridere e combattere, non si sa come, sola e lontana dai suoi figli. Sono tre personalità e tre storie diverse, che avranno sbocchi differenti.
Ma tutte rappresentano un mondo che si disprezza o da cui si allontana lo sguardo. E tutte affascinano e insegnano.
Jalanan
è infatti un inno alla vita che resiste e sorride, ed è anche un film sociale. Ziv si è dichiarato orgoglioso che il sindaco progressista di Jakarta si sia commosso ascoltando le canzoni di Boni, Ho e Titi (ora sempre in TV o
alla radio) e che abbia deciso di emanare sei riforme a favore
delle classi disagiate.
Anche se qualche taglio avrebbe forse giovato, Jalanan merita di essere visto. È un documentario che, secondo il Joshua Oppenheimer che è stato anche consulente di Ziv, sembra girato da un indonesiano e grazie al quale conosciamo una Jakarta sconosciuta a molti, cogliamo la bellezza di chi sembra più felice e libero dei "ricchi" che stanno affollando le sale indonesiane in cui, incredibilmente, il film è proiettato da più di un mese senza interruzioni. Una sorpresa che dice la voglia di certa Indonesia di guardare negli occhi le sue piaghe sociali, di comprendere meglio quella massa indistinta e fastidiosa di persone che invade gli autobus e mendica per strada, e forse anche di imparare a vivere da loro.
Replica
stasera. Se passate per Bologna...