“È grazie a voi che questa libreria è vera e viva”. Così Ieri Jeffery Deaver ha salutato i molti lettori che hanno varcato le soglie della libreria Rizzoli di Milano, rimessa a nuovo da poco tempo, per assistere alla presentazione del suo nuovo libro L’ombra del collezionista (Rizzoli). L’amatissimo scrittore statunitense ha raggiunto la notorietà grazie al romanzo Il collezionista di ossa da cui è stato tratto il film omonimo con Angelina Jolie e Denzel Washington. Una trentina di romanzi tradotti in 25 lingue, pubblicati in 150 paesi, per un totale di 20 milioni di copie vendute nel mondo. Un curriculum da peso massimo tra gli autori di bestsellers. L’ultima fatica letteraria di Deaver rappresenta il seguito del precedente romanzo con protagonista il celebre investigatore Lincoln Rhyme.
Le piace scrivere più le serie o singole storie?
Ai lettori piacciono le saghe thriller e a me piace molto scrivere con i miei personaggi seriali. Ma bisogna operare nel modo giusto. Tenendo presente tutti i fatti narrati in precedenza. Solitamente scrivo storie basate su un’indagine forte se si tratta di un libro inserito in una serie. Se si tratta Invece di indagare sull’aspetto psicologico di un killer opto per le singole storie che possono riguardare uno o più psicopatici. Ovviamente ognuna delle due cose presenta degli svantaggi e dei vantaggi. E questo implica una grande dovizia di particolari e così cerco di sviluppare una competenza forte su questi temi. Per quanto riguarda Il collezionista di ossa si è scelto l’espediente dell’indagine forense.
Come struttura le sue storie?
Per otto mesi dell’anno che impiego sostanzialmente a scrivere un romanzo io mi limito a costruire l’architrave del romanzo stesso e svolgere le ricerche che servono per suffragarlo. Scrivo 150 pagine di romanzo e 300 di ricerche rielaborate. Ci si può chiedere se sia un’operazione troppo meccanica. Dov’è l’arte? Un libro di fatto è un prodotto creativo quanto un’auto che viene prodotta secondo diverse caratteristiche seguendo un progetto. I miei libri sono romanzi complessi che hanno sotto-trame, finali a sorpresa e ripetuti colpi di scena: amo la suspense. Sono costretto a preparare un diagramma e poi svolgere una ricerca per dare sostanza a quello che scrivo. Nella Finestra rotta ho fatto un’indagine sul controllo della privacy da parte del governo americano. Per scrivere L’uomo scomparso invece ho fatto ricerche sulla magia. Per suscitare la paura bisogna andare su cose quotidiane. Cose che possono capitare a tutti. Io credo che la narrativa debba essere una narrazione emotiva e ci debba essere suspense. Prendo in considerazione crimini banali che avvengono ovunque. Mi piace scrivere di killer che abbiano una mente acutissima e agenti CIA che fermino i loro progetti criminali.
Ci parli di New York. Una città che nel suo romanzo è importante quanto un personaggio.
Ho vissuto per 20 anni nella città per eccellenza per quanto attiene agli scrittori. Non è solo una città di scrittori ma anche una città per scrittori. Molti ci hanno vissuto e non mi riferisco solo ad autori noir ma ad scrittori in generale. Walt Whitman, Hawthorne, John Dos Passos, Hemingway e persino Chandler che è uno scrittore che ha vissuto quasi sempre in California. Credo che la città sia una fonte inesauribile da cui trarre elementi d’ispirazione. A New York c’è tutto. Dispone di diversi strati sociali, delitti, crimini e forme di eroismo di ogni forma possibile ed immaginabile. New York è un vero e proprio personaggio a sé stante: una creatura vivente. Senza svelare nulla: quando i lettori leggeranno questo romanzo in cui il cattivo trascina le sue vittime nelle profondità della città avranno l’impressione di trovarsi davanti ad un immagine biblica come quella di Giona nel ventre della balena.
È stato influenzato dagli attori che hanno interpretato film tratti dai suoi libri?
Non molto. In realtà ho sempre preso le distanze dai film. Fare un film per me significa ricevere un assegno e ritornare a scrivere. Sono stato un uomo fortunato e non ho abilità da cineasta e preferisco far il mio lavoro.
È necessario conoscere personalmente i luoghi che si vogliono raccontare?
Non credo che uno scrittore debba vivere per forza per una scrivere una storia credibile ambientata in quel posto. Ci sono diversi strumenti per apprendere alcuni elementi riguardo ad un determinato luogo. Bisogna essere precisi quando si racconta una storia. Noi scrittori abbiamo una grande capacità di empatia. Quando ci troviamo in un posto e incontriamo gente tendiamo ad assorbire tutto quello che ci sta davanti: fatti, emozioni e sensazioni. Tutte queste cose le trasferiamo poi nelle cose che scriviamo.
Possiamo immaginare un’ambientazione europea o italiana in un suo futuro romanzo?
L’ho detto che sono un autore di suspense oppure no? Non dirò molto altro ma dico: sì. Anche perché sono certo che ci sarà sicuramente qualcosa di molto strano qui: sotto il Duomo.
Qualche anticipazione riguardo ai suoi futuri progetti?
Sto scrivendo altre cose. Ho già ultimato l’ultimo capitolo di Kathryne Dance, Il torrente della solitudine, ma al titolo ci sto lavorando con il mio editore. Questo torrente si trova in un posto in California in cui succede qualcosa di terribile. Inoltre sto strutturando un nuovo capitolo della saga di Lincoln Rhyme. E infine ho appena ultimato un romanzo audio per una casa editrice del gruppo Amazon e sto anche scrivendo diversi racconti.
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