Il giudizio di Antonio Valerio SperaSummary:
Difficile classificare John Wick, ricondurlo ad un genere preciso. L’opera prima di Chad Stahelski e David Leitch, due personalità entrate nel cinema come stuntman performer, è infatti un mix di action, revenge movie, cinecomic, condito qua e là di ironia, imperniato su un’estetica della violenza quasi sussurrata che non vuole in nessun modo indugiare su sangue e dolore. È appunto la sua natura quasi fumettistica a non rendere per niente fastidiosi cento minuti in cui si assiste continuamente a calci, pugni, sparatorie e esplosioni. In più, per quanto il film sia indubbiamente criticabile per la quasi inesistenza di una storia, di dialoghi e di colpi di scena, questa sua atmosfera volutamente surreale e fuori da ogni schematismo lo rende inaspettatamente un piacevole gioco in cui lasciarsi trascinare.
Il trucco per appassionarsi ad una pellicola come John Wick è riuscire a coglierne quest’aspetto di puro divertissement senza avere la pretesa di assistere ad un’evoluzione narrativa di rilievo, a personaggi a tutto tondo e fuori dagli stereotipi, a dinamiche psicologiche ben approfondite. Si tratta chiaramente di un film costruito quasi esclusivamente per il piacere visivo, dove l’azione e la violenza rappresentano gli elementi di una costante coreografia di corpi. Ecco perché lo spunto del racconto – la vendetta di John Wick (Keanu Reeves), ex sicario della malavita newyorkese, nei confronti del suo vecchio “mondo” dopo l’uccisione del suo cane, ultimo regalo della moglie scomparsa – è soltanto un mero pretesto per dare vita ad un’opera imperniata sull’eleganza e sul dolore di corpi in movimento, sempre a contatto, pronti a distruggersi.
Quest’intento di Stahelski e Leitch è evidentemente dichiarato in ogni sequenza, sfuggendo dialoghi e spiegazioni narrative, accennando solamente al passato del protagonista e lasciando che sia lo stesso ritmo frenetico dell’azione a portare con sé informazioni necessarie alla comprensione del racconto. E tale dichiarazione d’intenti è espressa anche dalla scelta di Keanu Reeves per il ruolo di Wick. Un volto, quello del divo di Matrix, legato proprio dai tempi della trilogia dei fratelli Wachowski ad un immaginario cinematografico caratterizzato dalla “danza” dei corpi (si pensi infatti a 47 Ronin e Man of Tai Chi, da lui stesso diretto).Il mondo raccontato in John Wick dai due registi esordienti appare completamente fuori dal tempo e dalla realtà, mantenendo con quest’ultima solo un appiglio nella sua dimensione scenografica. Ed il risultato è una pellicola dall’atmosfera patinata in cui si respira chiaramente un’aria orientaleggiante e a tratti “tarantiniana”, che richiama alla mente l’estetica di John Woo, Tsui Hark o Takashi Miike. L’azione frenetica non lascia neanche un secondo lo schermo, il film procede ad un ritmo che non prevede soste, le sequenze si susseguono in un crescendo di tensione. La vendetta alla fine si compie (come prevedibile) ed il gioco di Stahelski e Leitch, pur ripetendosi, pur non presentando sorprese, funziona, prende, appassiona. Stranezze – e magie – del cinema.
A cura di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net