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Quel nostro fatidico inverno
deve essere stato un blocco
di futuro.
Siamo esistiti una sola volta.
Se tutto deve ricominciare
come se in mezzo ci sia un respiro,
il nostro intervallo è parso un millennio.
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Archeologie
C’è una fase fluida che la fabbrica attraversa
prima di ossificarsi. Con gli ex-laboratori zeppi di scarti
e ambienti morti dove tutto si accumula.
La fabbrica, uscita dall’economia, è priva di senso.
Era il luogo dove si facevano merci e valori: ora produce
il suo stesso sfasciume. E del silenzio e del disordine
assume volti mostruosi. Svaniti per sempre i tempi
del lavoro, la fabbrica resta un contenitore di roba
azzerata. Roba incarognita, deriva
verso forme bizzarre. Perché nelle cose, se abbandonate e libere
di evolversi, resta l’inorganicità selvaggia, l’inerzia senza scopo
delle trasformazioni ingestibili.
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Sui nostri pianerottoli si trovano piante che non vedono il sole.
Nessuno le bagna mai, apparentemente.
Alcune, nel ruolo ambiguo di attore, s’appoggiano
come a sembrare morte. Ma tuttavia vivono
e vengono tenute lì. Testimoni di un’ostinazione particolare
del vivere, un eroismo silenzioso, da cui imparare
ogni volta che s’esce di casa.
Da questa serra immobile puoi guardare la porta
accostata dietro. A passi timidi, cammini una terra
di nessuno nel sospetto che non sia arca divina
la casa, né oasi inattaccata
il buio del muro.
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Questa campagna non mi sfama.
Unisco, a ombre marchigiane, l’immagine
delle tue valli. Oltre il profilo a sinusoide c’è il sole,
e il sangue,
di un secolo vecchio.
La vita esclude la dimensione del maggese.
E noi, giù nel fondo:
salute alla nuova concimazione.
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[Terzo paesaggio e non-luoghi in queste poesie di Jonata Sabbioni: la natura abbandonata dagli umani, pressochè non-natura, disabitata e laterale, inavvertita e rachitica, o i paesaggi industriali provinciali, dove la contemplazione poetica smette di essere immersione nelle forme dell'essere, coscienza e controllo dell'oikos, e diventa dispersione, spossessamento (a volte temuto), non controllo del sé (a volte sollievo). "Disordine" e "sospetto" in questi spazi, ma anche "silenzio" e "salute". E' una lirica classica in cui si rinvengono le tracce di nuove distanze: non solo quelle tra fisico e trascendente, ma anche vetri in plexiglass, separatori di ambienti che rendono 'ambiente' persino l'umano. RM]
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Jonata Sabbioni nasce a Amandola (FM) nel 1985 e vive a Fermo. Le poesie qui pubblicate sono tratte da Al suo vero nome (L’arcolaio, Forlì, 2010), il suo primo libro.
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