Nei mesi scorsi, e in particolare nell’anno da poco passato, il fenomeno del crowdfunding è proliferato in modo esponenziale. Con questo termine inglese (in italiano “finanziamento collettivo”) si intende il processo che porta una o più persone a collaborare tra loro utilizzando il proprio denaro per la realizzazione di un obiettivo comune, abbattendo i tradizionali ostacoli dell’investimento finanziario. L’obiettivo può andare dalla costruzione di un edificio alla stesura di un romanzo o un fumetto fino alla produzione di un film. Il fenomeno ha preso piede in America nel 2009, con l’apertura di quello che è diventato il più famoso e diffuso sito di crowdfunding, Kickstarter, per poi diffondersi negli anni successivi in Europa e il resto del mondo.
Questa forma partecipativa ha assunto una particolare rilevanza nei videogiochi, che per definizione rappresentano un tipo di intrattenimento aperto a tantissimi generi diversi tra loro e ognuno con un suo più o meno grande bacino di utenza. Giochi di ruolo, avventure grafiche, puzzle, sparatutto, strategici, giochi di sopravvivenza, MMORPG: un po’ tutti i generi videoludici sono stati toccati dalla pratica del crowdfunding, in una sorta di tendenza al “mecenatismo” virtuale.
Le potenzialità di Kickstarter
Il motto di Kickstarter potrebbe essere “Meglio un uovo domani che una gallina oggi”. La meccanica del sito è semplice: se si è interessati a un progetto lo si supporta con una certa cifra. In cambio dell’elargizione il backer, ovvero il donatore, si assicura una copia del gioco una volta ultimato, insieme eventualmente ad altri gadget di varia entità. L’utente, quindi, non è un vero e proprio donatore, in quanto in cambio del suo denaro riceve un prodotto (o meglio, la promessa di un prodotto), ma non è neanche un finanziatore, dato che non può arrogarsi alcun diritto sui guadagni del progetti creativo.
Che cosa ci guadagna dunque il singolo a finanziare un gioco è che ancora solo sulla carta e che potrebbe anche non vedere la luce? Teoricamente, il vantaggio dovrebbe essere triplice. Da una parte fornire un aiuto concreto agli sviluppatori per portare a termine un progetto in cui si crede e, dall’altra, poter usufruire del gioco stesso a prezzo ribassato e in anticipo rispetto all’uscita canonica, sebbene ancora non completo. Inoltre la community può contribuire in prima persona allo sviluppo del prodotto con feedback e richieste mirate: si tratta, insomma, di una forma di development partecipativa che permette di lasciare un’impronta sul gioco mentre questo si evolve.
Il grande vantaggio del finanziamento collettivo è che consente ai programmatori di mettersi direttamente in contatto con gli appassionati del genere, bypassando la figura del publisher, che era prima ritenuta essenziale nel mercato dei videogames, tanto per finanziare il team di sviluppo quanto per pubblicare e pubblicizzare il prodotto finito. A godere dei frutti del crowdfunding sono state infatti soprattutto le software house “indie”, ovvero quelle non sostenute da un publisher, che si sono rivolte direttamente al pubblico chiedendogli di supportare i loro progetti. L’assenza di un editore, secondo molti, va a beneficio del gioco, evitando le pressanti richieste, tipiche dei grandi publisher, di far uscire il titolo entro una certa finestra temporale, o di uniformarlo ai gusti del pubblico di massa per totalizzare quante più vendite possibili. In questo modo, su Kickstarter alcuni giochi abitualmente considerati di nicchia hanno ricevuto un’accoglienza al di là di ogni più rosea previsione. Per esempio Torment: Tides of Numenera, GdR ispirato al classico del 1999 Planescape: Torment, ha ottenuto oltre quattro milioni e 180mila dollari, diventando così uno dei progetti più remunerativi di sempre su Kickstarter. Ma il record assoluto per il crowdfunding è stato raggiunto al di fuori del celebre sito americano: Star Citizen, simulatore spaziale di Chris Roberts, sul sito ufficiale ha finora racimolato 72 milioni di dollari da parte di oltre 740mila persone, cifra più alta di sempre per un progetto finanziato dal basso che ha trasformato il titolo in una vera produzione tripla A.
Non è tutto oro quel che luccica
Le potenzialità del crowdfunding sono illimitate, ma nei mesi scorsi non tutto è andato nel migliore dei modi. Il motivo è presto detto: non tutti i giochi mantengono le ambiziose promesse fatte durante le campagne di finanziamento, e altri non escono nemmeno. Su Kickstarter ogni campagna dura generalmente trenta giorni, al termine dei quali, se la quota prefissata non è stata raccolta, si conclude in un nulla di fatto: in questo caso, i soldi non vengono neanche prelevati dalle carte di credito. Esistono però diversi casi di sviluppatori che hanno ricevuto con successo il finanziamento dai propri backers per poi interrompere o cancellare improvvisamente i lavori. A fronte di una tale situazione, non rimane molto da fare se non rivolgersi a vie legali, dal momento che Kickstarter non fornisce alcuna garanzia di rimborso. Il sito, infatti, non indaga sull’effettiva capacità del creatore di completare il suo progetto e rimanda tutte le responsabilità all’autore stesso che, si spera, dovrebbe essere in buona fede.
Secondo uno studio compiuto dal sito Evil As A Hobby circa un anno fa e incentrato sui 366 titoli finanziati tramite Kickstarter tra il 2009 e il 2012, solo un videogioco su tre ha poi visto la luce con tutte le caratteristiche inizialmente promesse. Gli altri sono falliti durante la produzione, sono stati completati solo in parte (magari rilasciando la versione del gioco per una sola piattaforma) o semplicemente sono in ritardo e devono ancora uscire. Per quanto l’analisi sia piuttosto datata, fornisce un quadro chiaro dei rischi insiti nella pratica del finanziamento collettivo. Kickstarter, come ogni strumento di questo tipo, necessita di una corretta informazione da parte di chi lo adopera. Quando si finanzia un progetto creativo è bene essere consapevoli del fatto che questo potrebbe essere inferiore alle aspettative o, addirittura, non essere mai rilasciato, per problemi durante lo sviluppo, per una malgestione dei fondi o per veri e propri intenti truffaldini. In altre parole, finanziare un titolo su Kickstarter non equivale a fare un preorder. Anche per questo motivo è meglio “backare” videogiochi che provengono da developers professionisti e con anni di esperienza alle spalle.
Grafico su Kickstarter. Fonte: Evil As A Hobby. Photo credits: Retrò Magazine.
Se il quadro che emerge dallo studio appare grigio, esistono comunque dei casi virtuosi che sembrano dimostrare il contrario. Per esempio Divinity: Original Sin, GdR finanziato su Kickstarter ad aprile 2013 e pubblicato su PC a giugno 2014, si è rivelato uno dei migliori titoli dell’anno passato nonché un grande successo per il team Larian Studios, avendo superato le cinquecentomila copie vendute. Più di altri siti, come Steam, Kickstarter premia in modo particolare l’originalità. Dato che per concludere una campagna con successo è necessario raggiungere almeno una quota prefissata, è fondamentale proporre giochi di cui ci sia domanda nel pubblico. Quelli più unici e particolari, infatti, ottengono quasi sempre risultati migliori dei titoli che apportano poco di nuovo al loro genere di riferimento.
In conclusione, il crowdfunding si basa sulla fiducia: nel momento in cui questa viene a mancare, il meccanismo si inceppa. Il problema di questa forma di finanziamento è che, ora come ora, colui che ci rimette pare essere proprio l’utente, che mette i soldi e la passione in un progetto effettuando un salto nel buio che non sempre trova un esito felice. Kickstarter è un potente mezzo che permette di dare vita alle idee e, in quanto tale, può essere usato bene o male. Per funzionare deve però essere supportato da regole sicure, una comunicazione trasparente e una certa consapevolezza da parte tanto dei programmatori quanto dei finanziatori. Soltanto così si può evitare che questa “macchina dei sogni” si trasformi in un pozzo senza fondo.
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