Il governo serbo sta discutendo di mutui per la casa, e il parlamento non ha iniziato una nuova sessione, e quindi questa settimana è stata dedicata in genere alla giustizia e alle inchieste. Sul traffico di organi umani in Kosovo, sull’interruzione bosniaca dell’inchiesta per i crimini commessi in via Dobrovoljacka, su Vojislav Seselj all’Aja. Servizio di Mirjana Nikolic.
L’interruzione dell’inchiesta sui crimini commessi in via Dobrovoljacka ha scosso profondamente l’opinione pubblica in Serbia. Il procuratore serbo per i crimini di guerra, Vladimir Vukcevic, ha espresso la convinzione che la decisione della Procura della Bosnia ed Erzegovina di interrompere l’inchiesta sull’attacco contro i soldati dell’Armata nazionale jugoslava a Sarajevo nel 1992, sarebbe stata diversa se fossero state prese in considerazione le prove della Serbia. La decisione non è definitiva, è stata presa in modo unilaterale, e qualunque sarà l’epilogo, è sufficiente per creare tensioni e per farci pensare ai doppi standard. E mentre la Serbia ha estradato al Tribunale penale internazionale dell’Aja tutti i suoi sospettati, di cui molti sono stati condannati, la Bosnia ed Erzegovina e la Croazia non hanno fatto i conti col passato, e gli europei non le rimproverano.
Il caso del leader dei radicali, Vojislva Seselj, incita anche i più grandi europei a chiedersi che cosa il Tribunale dell’Aja stia facendo con quell’uomo. Lui è stato prima processato per la divulgazione dell’odio, poi per i crimini in Croazia e in Bosnia, ma sono mancate prove schiaccianti. Potrebbe essere condannato per la divulgazione dell’odio, ma a quanti anni, dato che si trova in detenzione da ormai dieci anni. Negli ultimi giorni il suo stato di salute è peggiorato e i famigliari e il Partito radicale serbo temono non senza fondamenta, che il processo contro Vojislav Seselj sarà terminato come nel caso di Slobodan Milosevic, con la sua morte. È interessante che sulla strada verso l’Unione europea la Serbia viene maggiormente rimproverata per la lentezza degli organi giudiziari, mentre un tribunale sotto il patrocinio dell’ONU non è in grado nove anni di pronunciare un verdetto a qualcuno che si è consegnato di propria volontà.
La lentezza nell’inchiesta è una decisione anche del team che si occupa delle affermazioni riportate nella relazione di Dick Mary. I cittadini della Serbia sarebbero contentissimi se, come affermano alcuni leaders d’opposizione, si dimostrasse che non c’è stato il traffico di organi dei serbi catturati e assassinati. Ma se fosse così sarebbe già stato pubblicato. Le agenzie giornalistiche mondiali seguono una regola non scritta sull’importanza delle notizie – un americano morto è uguale a due inglesi o tre francesi morti, e andando poi avanti fino a migliaia di cinesi o africani. In questa morbosa classifica, i serbi non occupano un posto importante, ma i russi sì. Sembra che bisognava dimostrare che fra le vittime del traffico di organi umani in Kosovo ci fossero anche dei cittadini russi per risvegliare la speranza che il caso potrebbe ricevere un epilogo.
Il portavoce dell’EULEX, Nicholas Hawton, ha confermato che fra le vittime del trapianto illegale di organi ci sono anche due cittadini russi, ai quali sarebbero stati esportati i reni. Alle vittime, tra cui ci sono serbi, turchi, moldavi, kazakistani e bielorussi, sono stati promessi 15mila euro a organo, ma gli è stata pagata una somma molto più bassa. Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ha evidenziato che farà il possibile affinché l’inchiesta sia svolta fino in fondo, e che l’indagine russa ha confermato l’implicazione del vertice politico kosovaro nel traffico di organi umani. Se sarà indagata fino in fondo anche l’esistenza della famigerata Casa Gialla in Albania, per la quale si sospetta fosse usata come un campo di concentramento e come un ospedale, resta nelle mani dell’EULEX, la quale non si mostra troppo interessata all’indagine.
Nemmeno le autorità kosovare sembrano troppo preoccupate per il proprio destino. Giovedì il Commissario per gli affari interni dell’Unione europea, Cecilia Malstrom, ha lodato il lavoro dell’EULEX e il suo contribuito ai colloqui sulla liberalizzazione dei visti in Kosovo. Lei, come numerosi altri esponenti, si incontra regolarmente con Hasim Taci, sospettato di numerosi crimini contro i serbi, affermando che le inchieste contro di lui sono già state chiuse e che, a quanto sembra, non siano stati commessi crimini sui serbi, né in Kosovo, né in Bosnia né in Croazia.
Fonte: Radio Serbia