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Kuroyuri danchi (クロユリ団地, The Complex). Regia: Nakata Hideo. Sceneggiatura: Katō Junya, Miyake Ryuta. Fotografia: Hayashi Junichiro. Montaggio: Aono Naoko. Musica: Kawai Kenji. Interpreti: Maeda Atsuko, Narimiya Hiroki, Katsumura Masanobu, Nishida Naomi, Tanaka Kanau. Prodotto da: Shochiku, Nikkatsu, Django Film. Durata: 106’. Uscita in Giappone: 18 maggio 2013. Link: Sito ufficiale - Neil Young (The Hollywood Reporter) - Marco Minniti (Movieplayer.it)Punteggio ★★★
Il film si apre, ancor prima dei titoli, su di un paesaggio urbano privo di elementi umani, fatto di edifici abbastanza fatiscenti. Subito dopo lo sguardo si sposta in un interno, all’apparenza una scena di famiglia, in un appartamento nel quale è appena avvenuto un trasloco: la macchina da presa inquadra con movimenti nervosi prima la giovane Asuka, poi una misteriosa scatola ed infine un bambino, suo fratello, che per gioco salta fuori da un altro scatolone. La desolazione della solitudine, l’inquietudine (e l’orrore) del non conosciuto, il bambino-spettro che irrompe a sconvolgere l’esistenza dei vivi: un po’ un manifesto, questo inizio dell'opera che segna il ritorno di Nakata Hideo, regista chiave del cosiddetto j-horror, autore di film come The Ring e Dark Water, e anche di esperimenti meno riusciti, come L: Change the World e Chatroom. Asuka è una giovane praticante infermiera che arriva con i genitori e il fratello più giovane nella nuova casa. Da subito la ragazza sente strani rumori provenire dall’appartamento che confina con la sua camera, e che è occupato da un anziano solo. Dopo un momento di indecisione, Asuka entra dal vicino e scopre il cadavere dell’uomo, con le unghie ancora conficcate nel muro che grattava in una disperata, quanto vana, richiesta di aiuto. La giovane nel frattempo conosce un bambino dal carattere apparentemente dolce (Minoru), che gioca sempre da solo nel giardino condominiale. Il meccanismo è innescato: Asuka sarà trascinata in un baratro di sensi di colpa (per non aver aiutato il vecchio, ma anche, lo si scopre nel prosieguo, per aver voluto fare a tutti i costi una gita durante la quale tutti gli altri membri della sua famiglia sono morti in un incidente), di orrore sempre più manifesto, proprio a causa del piccolo Minoru, affiancata da un ragazzo (di una ditta delle pulizie, venuto a sgombrare l’appartamento del morto) che aveva vissuto un’esperienza drammatica molto simile alla sua. Nakata utilizza consolidati codici del genere horror per intessere un’opera che non si limita a voler suscitare inquietudine e repulsione, ma racconta anche della profonda solitudine determinata dalla perdita delle persone care, dei sensi di colpa che intaccano l’animo umano e dell’alienazione della vita in un mondo contemporaneo fatto di persone sole in metropoli fredde e disumane. Il regista fa gran uso di luci intermittenti che conferiscono instabilità alle inquadrature, dissemina specchi e vetri che incorniciano un’eroina sofferente, che la macchina da presa segue a distanza ravvicinata. Ma ciò che più stupisce (e regala, questo sì, allo spettatore una piacevole inquietudine) è forse proprio il muoversi del regista sul filo di un ambiguo mescolamento di generi e toni: l’ironia della scena in cui i genitori (che sono morti, ricordiamolo…) osservano con espressioni perplesse la figlia che ipotizza vi sia qualcosa di strano nella casa accanto e poi rientrano nella loro esistenza surreale ripetendo ancora e ancora una medesima conversazione (che aveva avuto luogo molti anni prima, quando Asuka era solo una bambina); l’oscuro rituale messo in scena da una misteriosa medium con un gruppo di improbabili “vestali”, il “colpo di scena” grazie al quale, dopo averci fatto credere che l’anziano fosse il problema, veniamo a scoprire che il dolce piccolo Minoru non è esattamente quello che sembra… Un’opera interessante, che forse non sarà accolta con completo favore da parte degli amanti del genere, ma che offre vari spunti degni di nota. Chiudo con una battuta del giovane pulitore di appartamenti di persone decedute, che cerca di mettere in guardia Asuka sui morti: “per loro il tempo si è fermato, e a volte si ferma anche per i vivi”. L’avvertimento non basterà a salvare i due dai demoni affamati di tempo umano. [Claudia Bertolè]
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