Tre erano le condizioni che Silvio aveva dettato (non si sa bene a chi o forse sì), per sostenere il governo Monti. La prima riguardava la giustizia e, in particolare, il processo Mills. Una condanna avrebbe significato l’uscita forzosa dalla politica attiva. La corruzione si porta appresso l’interdizione dai pubblici uffici e questo lo sanno tutti, non solo Longo e Ghedini. La seconda e la terza erano più strettamente legate agli affari di famiglia. L’assegnazione delle frequenze televisive per il digitale terrestre attraverso il beauty contest era il progetto elaborato dai berluscones per continuare a tenere in piedi il mono-duopolio dell’informazione: Mediaset è roba sua, la Rai anche grazie ai milioni di italiani che lo votano. L’assegnazione delle frequenze attraverso un’asta pubblica avrebbe potuto mandare all’aria il megaprogetto di monopolio assoluto, e che lo stato ci avrebbe rimesso qualche milione (o miliardo non si è mai capito) non fregava una mazza a nessuno. Il terzo riguardava la Rai in sé, il cui possesso assume una doppia valenza, politica ed economica. Politica perché il controllo dell’informazione è un pallino che da sempre il Cavaliere ha in testa. Sarà perché figlia del “Piano di rinascita dell’Italia” di gelliana memoria, se Silvio potesse chiuderebbe d’imperio tutte le tivvù e i giornali che gli remano contro, perché attraverso l’informazione drogata passa il mantenimento del potere. Economica perché una Rai “concorrenziale” , considerate le potenzialità dell’emittenza pubblica, avrebbe messo all’angolo la mediocre Mediaset che oggi, lo ricordiamo per dovere di cronaca, ha saldamente in mano la percentuale più sostanziosa del mercato pubblicitario. Le epurazioni di Santoro e della Dandini e il veto a Saviano sono la conseguenza della considerazione appena fatta. Di frequenze televisive non si parla più da tempo. A parte la fiammata iniziale, la questione è avvolta da una cortina di silenzio che non permette di sapere come andrà a finire. Sulla governance della Rai la discussione è aperta, anche se le ultime posizioni di Bersani la dicono lunga sulla reale volontà del Pd di cambiare l’esistente. “O si fa come diciamo noi – ha detto il Piergigi – o di Rai non vogliamo sapere nulla”, che poi è come lasciare le cose come stanno, cioè in mano a Silvio. Sulla giustizia, invece, il patto è stato svelato dalla sentenza di sabato del tribunale di Milano. Da sempre consideriamo una sentenza emessa in nome e per conto dell’interesse supremo della nazione un’abiezione. I tribunali speciali fascisti servivano a questo, i tribunali del popolo staliniani ne erano il contraltare “rosso”. La giustizia è un bene assoluto di per sé e non ci può essere nessuna giustificazione perché si possa emettere una sentenza che non rientri nelle regole strette della giustizia giusta. E che questa sentenza puzzi di accordo preventivo lo ha detto perfino Umberto Bossi, che sarà pure un quacquaracquà ma che dopo anni di frequentazione degli alti vertici dello stato, qualcosa ha imparato. Ha dichiarato il Senatur: “I giudici non sono ciechi e sordi, vivono anche loro il momento politico. Berlusconi è stato abile, pensavo che fosse condannato, invece i suoi voti sono determinanti per il governo. Magari non aveva commesso niente, come sosteneva lui, però vista da fuori è una brutta impressione”. La sentenza di Milano, purtroppo, non è un’impressione ma un dato di fatto reale. In nome della governabilità di un Paese stracciato da anni di potere assoluto berlusconiano, è stato concesso a Silvio di mantenere la fedina penale pulita e di concorrere (staremo a vedere), alla presidenza della repubblica come se fosse il politico più immacolato degli ultimi centocinquanta anni. L’impressione, che non è un’impressione ma un dato di fatto, è ancora più stordente perché significa che la giustizia può essere piegata e modellata sulle esigenze e sui bisogni di qualcosa o di qualcuno. Significa che non viviamo in un paese libero, significa che si possono emettere sentenze non in nome del “popolo italiano” ma dello “stato italiano” e questa, se ci è consentito l’ardire, non è la stessa cosa. I giudici di Milano hanno segnato una delle pagine più nere della giustizia di questo paese e se lo hanno fatto davvero nell’interesse della nazione, la pagina è nerissima, perché noi in questa nazione non ci riconosciamo affatto mentre siamo orgogliosi di essere un sessanta milionesimo del popolo italiano. Silvio ha preannunciato ricorso contro la sentenza, lui pretende l’assoluzione piena. Basterebbe rinunciare alla prescrizione e il gioco sarebbe fatto ma Silvio alla prescrizione non rinuncerà mai e il ricorso non verrà mai presentato. Il Tg4 di questa notte ha dato la seguente notizia: “Silvio Berlusconi è stato prosciolto con formula piena dall’accusa di aver corrotto l’avvocato inglese David Mills”. Capito come funziona, o no!
Magazine Legge
L’aberrante sentenza del processo Mills. Tutto in nome dell’interesse supremo della nazione.
Da Massimoconsorti @massimoconsorti
Tre erano le condizioni che Silvio aveva dettato (non si sa bene a chi o forse sì), per sostenere il governo Monti. La prima riguardava la giustizia e, in particolare, il processo Mills. Una condanna avrebbe significato l’uscita forzosa dalla politica attiva. La corruzione si porta appresso l’interdizione dai pubblici uffici e questo lo sanno tutti, non solo Longo e Ghedini. La seconda e la terza erano più strettamente legate agli affari di famiglia. L’assegnazione delle frequenze televisive per il digitale terrestre attraverso il beauty contest era il progetto elaborato dai berluscones per continuare a tenere in piedi il mono-duopolio dell’informazione: Mediaset è roba sua, la Rai anche grazie ai milioni di italiani che lo votano. L’assegnazione delle frequenze attraverso un’asta pubblica avrebbe potuto mandare all’aria il megaprogetto di monopolio assoluto, e che lo stato ci avrebbe rimesso qualche milione (o miliardo non si è mai capito) non fregava una mazza a nessuno. Il terzo riguardava la Rai in sé, il cui possesso assume una doppia valenza, politica ed economica. Politica perché il controllo dell’informazione è un pallino che da sempre il Cavaliere ha in testa. Sarà perché figlia del “Piano di rinascita dell’Italia” di gelliana memoria, se Silvio potesse chiuderebbe d’imperio tutte le tivvù e i giornali che gli remano contro, perché attraverso l’informazione drogata passa il mantenimento del potere. Economica perché una Rai “concorrenziale” , considerate le potenzialità dell’emittenza pubblica, avrebbe messo all’angolo la mediocre Mediaset che oggi, lo ricordiamo per dovere di cronaca, ha saldamente in mano la percentuale più sostanziosa del mercato pubblicitario. Le epurazioni di Santoro e della Dandini e il veto a Saviano sono la conseguenza della considerazione appena fatta. Di frequenze televisive non si parla più da tempo. A parte la fiammata iniziale, la questione è avvolta da una cortina di silenzio che non permette di sapere come andrà a finire. Sulla governance della Rai la discussione è aperta, anche se le ultime posizioni di Bersani la dicono lunga sulla reale volontà del Pd di cambiare l’esistente. “O si fa come diciamo noi – ha detto il Piergigi – o di Rai non vogliamo sapere nulla”, che poi è come lasciare le cose come stanno, cioè in mano a Silvio. Sulla giustizia, invece, il patto è stato svelato dalla sentenza di sabato del tribunale di Milano. Da sempre consideriamo una sentenza emessa in nome e per conto dell’interesse supremo della nazione un’abiezione. I tribunali speciali fascisti servivano a questo, i tribunali del popolo staliniani ne erano il contraltare “rosso”. La giustizia è un bene assoluto di per sé e non ci può essere nessuna giustificazione perché si possa emettere una sentenza che non rientri nelle regole strette della giustizia giusta. E che questa sentenza puzzi di accordo preventivo lo ha detto perfino Umberto Bossi, che sarà pure un quacquaracquà ma che dopo anni di frequentazione degli alti vertici dello stato, qualcosa ha imparato. Ha dichiarato il Senatur: “I giudici non sono ciechi e sordi, vivono anche loro il momento politico. Berlusconi è stato abile, pensavo che fosse condannato, invece i suoi voti sono determinanti per il governo. Magari non aveva commesso niente, come sosteneva lui, però vista da fuori è una brutta impressione”. La sentenza di Milano, purtroppo, non è un’impressione ma un dato di fatto reale. In nome della governabilità di un Paese stracciato da anni di potere assoluto berlusconiano, è stato concesso a Silvio di mantenere la fedina penale pulita e di concorrere (staremo a vedere), alla presidenza della repubblica come se fosse il politico più immacolato degli ultimi centocinquanta anni. L’impressione, che non è un’impressione ma un dato di fatto, è ancora più stordente perché significa che la giustizia può essere piegata e modellata sulle esigenze e sui bisogni di qualcosa o di qualcuno. Significa che non viviamo in un paese libero, significa che si possono emettere sentenze non in nome del “popolo italiano” ma dello “stato italiano” e questa, se ci è consentito l’ardire, non è la stessa cosa. I giudici di Milano hanno segnato una delle pagine più nere della giustizia di questo paese e se lo hanno fatto davvero nell’interesse della nazione, la pagina è nerissima, perché noi in questa nazione non ci riconosciamo affatto mentre siamo orgogliosi di essere un sessanta milionesimo del popolo italiano. Silvio ha preannunciato ricorso contro la sentenza, lui pretende l’assoluzione piena. Basterebbe rinunciare alla prescrizione e il gioco sarebbe fatto ma Silvio alla prescrizione non rinuncerà mai e il ricorso non verrà mai presentato. Il Tg4 di questa notte ha dato la seguente notizia: “Silvio Berlusconi è stato prosciolto con formula piena dall’accusa di aver corrotto l’avvocato inglese David Mills”. Capito come funziona, o no!
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