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L'abito fa il monaco

Da Lanterna
Lo so, è un po' di tempo che non parlo di Viola. Il fatto è che sono in attesa che il disegnatore che mi si è proposto (e di cui sono entusiasta) finisca un lavoro in corso e sia disponibile. Per la graphic novel, s'intende, in volume unico o in tre albi. La serie è un lontano progetto presente solo nella mia testa, figurarsi gli speciali (peraltro entrambi solo abbozzati).
Però i risvegli notturni di Ettore (talis mater talis filius, a metà notte gli tocca un risveglio-pipì) mi rendono difficile riaddormentarmi e quindi la mia mente ha più tempo per divagare in pensieri oziosi. Per esempio, stanotte pensavo ai vestiti.
Che donna frivola, direte voi. No, in realtà non pensavo ai vestiti in "quel" modo. Pensavo a quanto i vestiti sono importanti, nella nostra società, per raccontare la nostra personalità e il nostro modo di essere. Non esiste una codifica precisa, eppure quasi tutti noi siamo in grado di stabilire se il modo in cui una persona è vestita è appropriato o no.
A mo' di pettegolezzo, ne parlavamo con una mia collega a proposito di una persona degli uffici centrali. Bella donna, per carità, ma sempre vestita con minigonne inguinali, calze trasparenti o non pervenute, tacchi vertiginosi. Per non parlare del trucco pesante. La giudicavamo fuori luogo quasi di più di una che si presentasse in ufficio in braghette e infradito di plastica.
E io ho ricordato un'altra persona con cui ho lavorato, una persona del mio passato: bellissima donna (alta, bionda, capelli lunghi e folti color miele, gambe spettacolari), era spesso vestita ai minimi termini o in modo estroso, ma con abiti e accessori originali anni '60-'70 che la collocavano in tutt'altro contesto. Come per dire: svestita sì, perché mi piace esserlo, ma con classe.
E mi sono ricordata anche una conversazione con un mio amico di 7-8 anni fa, in cui io gli parlavo di una mia evoluzione personale portandogli l'esempio dei miei abiti e lui mi dava della superficiale perché alla fin fine secondo lui stavo parlando di moda.
Invece no. Sono ancora convinta che, se una persona comincia a desiderare di vestirsi in modo diverso, qualcosa sta cambiando anche dentro di lei e magari anche attorno a lei.
Infatti ho cercato di studiare Viola in modo che le varie epoche della sua vita siano ben riconoscibili dai vestiti e dai capelli, e non sono come espediente per non far perdere il lettore nei vari flashback.
Nelle scene del passato remoto, quelle in cui si spiegano gli avvenimenti che hanno portato Viola ad entrare nell'antiterrorismo, Viola ha 23 anni e uno stile molto anonimo, quasi per volersi invecchiare e darsi autorità nell'ambiente accademico in cui credeva di continuare la sua carriera: capelli corti e castani, gioielli discreti (tipo orecchini di perle), vestiti di taglio classico un po' severo, scarpe anonime e serie.
Nella storia ambientata prima e durante il G8 di Genova, Viola ha sui 30 anni ed è molto diversa: i capelli sono lunghi, spesso raccolti ma non in modo ordinato, e sfacciatamente rossi, mentre i suoi abiti oscillano tra lo stile Max Mara per l'ufficio e uno stile un po' più libero (gonne lunghe, più colori, vestiti un po' più originali) per il resto del suo tempo. Verso la fine della storia, complice il caldo estivo, i due stili si avvicineranno e la vedremo spesso con abiti leggeri e svolazzanti e sandali, in entrambi i contesti.
Nella serie, Viola ha dai 35 anni in poi e si è decisamente più rilassata: i capelli si accorciano in una testa semilunga un po' sfilata (il taglio che molte di noi si fanno all'arrivo dei figli, per essere pratiche ma non sentirsi monache), i capelli sono un po' meno rossi ma tipo castani trattati con henné, gli abiti sono normalmente casual e comodi senza essere trascurati (gli abiti di una persona che va in ufficio ma in un ambiente informale, per intenderci, una cosa tipo H&M o Benetton).
Sempre sui vestiti ho lavorato per la caratterizzazione dei vari personaggi. Ad ognuno ho attribuito uno stile particolare o un indumento caratteristico. Per esempio, Darius dev'essere un po' architetto dentro (almeno, secondo la classificazione di Biondillo, che di architetti se ne intende), perché si mette spesso quel casual fighetto tipo pantaloni di velluto a coste e maglione a collo alto sotto la giacca. Gli abiti di Stefan li ho immaginati anonimi, classici pantaloni + camicia + maglione, ma gli ho attribuito per l'inverno un giaccone doppiopetto da marinaio stile Corto Maltese. Gli abiti di Chiara e Carlo sono rustici ma quel rustico un po' stereotipato (tipo contadino con la camicia di flanella) e/o radical chic (le Birkenstock, l'abito di maglia fatto ai ferri). Luca si veste come il mio Luca, ovvero in modo casual anonimo e un po' stropicciato.
Per loro, non ho immaginato un'evoluzione stilistica radicale: loro non vivono terremoti emotivi come quelli di Viola, cambiano pelle sì ma in modo graduale e naturale, come tutti gli esseri umani che seguono un percorso. E vengono visti in un periodo di tempo più limitato e meno decisivo rispetto al personaggio di Viola, che si evolve dai 23 ai 35 anni.
Ora, io spero che questi miei vaneggiamenti non rimangano tali e che presto possiate vedere qualche tavola, in modo da farvi una vostra idea. Incrociamo le dita e speriamo che davvero cominciamo presto a lavorarci

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