E’ ormai chiaro che chi sostiene l’aborto per salvaguardare la salute materna assume volontariamente una posizione anti-scientifica. Infatti, i Paesi in cui l’aborto è vietato o fortemente limitato, come Irlanda e Cile, sono anche quelli in cui sono presenti minori i tassi di mortalità materna e dove è migliore la salute della donna.
Questo perché la ricerca ha ormai pacificamente dimostrato che, oltre ad eliminare un essere umano indesiderato, «l’aborto può essere visto come un fattore di rischio psicologico per la donna, più significativo rispetto alla nascita di un figlio». Sono le parole del noto neonatologo Carlo Bellieni, docente di Terapia Neonatale alla Scuola di Specializzazione in pediatria dell’Università di Siena, intervistato da “Genethique”, importante rivista francese di aggiornamento su tematiche bioetiche.
Bellieni ha parlato dello studio da lui recentemente realizzato, assieme a Giuseppe Buonocore, pubblicato quest’estate su “Psychiatry and Clinical Neurosciences”. I due ricercatori hanno rivisto trentasei studi pubblicati sulle conseguenze dell’aborto in riviste scientifiche tra il 1995 e il 2011, rilevando che la maggioranza di essi mostrava gravi problematiche sulle donne che avevano abortito.
Rispetto all’aborto spontaneo, «gli studi indicano che è più traumatico abortire volontariamente, mentre l’aborto spontaneo avrebbe conseguenze gravi ma transitorie. I dati sembrano comunque indicare che in entrambi i casi le donne vivono una perdita ma nel caso di aborto indotto, sembra culturalmente e socialmente proibito alle donne sviluppare un lutto della morte». Tuttavia in entrambi i casi c’è «la consapevolezza della perdita di un figlio». Bellieni si lamenta del fatto che «la depressione post aborto viene ignorata dai media. Questo silenzio è incredibile e le responsabilità politiche sono elevate. E’ necessario, anche nei paesi in cui è consentito l’aborto, prevedere aiuti economici, alternative (adozione fin dalla nascita), corsi prenatali che non diano solo una diagnosi».
La redazione