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L’accordo di emigrazione italo–tedesco

Creato il 04 giugno 2010 da Marxell

La regolamentazione dei flussi migratori degli italiani in Germania

Emigrazione: insieme doloroso distacco ed inizio di una nuova esistenza

Emigrazione: insieme doloroso distacco ed inizio di una nuova esistenza

Il 20 Dicembre 1955 veniva firmato a Roma l’accordo italo-tedesco per il reclutamento di manodopera italiana destinata alla Repubblica Federale Tedesca. Il documento assume un rilievo particolare per la politica dei due paesi: da parte italiana si propone come mezzo per alleggerimento la pressione demografica, soprattutto nelle aree svantaggiate del meridione italiano e come soluzione al problema della bilancia dei pagamenti secondo la già sperimentata tendenza “uomini contro carbone”; per quanto concerne invece la parte tedesca tale accordo crea un canale preferenziale nel reperimento di manodopera non specializzata.

Il patto di Roma del 1955 dà vita ad un complesso sistema di migrazione tra i due paesi con caratteristiche nuove rispetto alle precedenti emigrazioni italiane oltre oceano, ed agirà, nel corso degli anni, come un potente collante tra i due paesi e tra le due culture.

Il governo federale fu indotto dalle pressioni interne a privilegiare la manodopera tedesca e preferì specificare nell’accordo tale istanza: si sarebbe arrivati al reclutamento di manodopera italiana solo nell’eventualità in cui il mercato del lavoro fosse stato saturo. I Gastarbeiter (lavoratori ospiti) erano considerati perlopiù lavoratori temporanei, poiché si parlava non di “immigrazione”, bensì del soggiorno temporaneo o prolungato, di lavoratori ospiti destinati a un ritorno, non molto lontano nel tempo, nel proprio paese.

Da parte italiana il meccanismo di emigrazione era quello dei pionieri: i primi emigranti erano giovani uomini non sposati mentre solo nella seconda fase essi vennero raggiunti da emigranti più anziani e, solitamente, sposati; vi fu una successiva fase detta di maturità, nella quale la popolazione di immigrati consisteva sostanzialmente di famiglie. Questa modalità di emigrazione portò, in alcuni casi, al depauperamento demografico di interi paesi e comunità, i quali perdevano la loro linfa vitale e il loro stesso motivo di sopravvivenza.

La popolazione tedesca chiamò i lavoratori stranieri Gastarbeiter, ossia “lavoratori ospiti“; tale denominazione non aveva, nella maggior parte dei casi, una connotazione negativa o di disprezzo, ma era un chiaro sintomo dell’atteggiamento tedesco nei confronti dei lavoratori stranieri: essi erano considerati, e lo sarebbero stati a lungo, soltanto lavoratori e non nuovi cittadini con una vita stabile e un progetto di futuro in Germania. In realtà gli emigranti, pur non interrompendo i rapporti con le comunità dei paesi di provenienza, fecero la scelta di restare e crescere i figli in Germania, rendedo di fatto definitiva la loro permanenza e di conseguenza controversa la loro posizione giuridica.

Per questo motivo si rese necessaria una revisione delle leggi tedesche sull’immigrazione, che portò nel gennaio 2000 il Bundestag (Parlamento Federale) alla riforma della Staatsangehörigkeitsgesetz (legge sulla cittadinanza), risalente al 1913; in base alla nuova legge i nati in Germania da genitori stranieri hanno automaticamente diritto alla cittadinanza tedesca e possono mantenere il doppio passaporto fino al compimento del 23° anno, al raggiungimento del quale devono obbligatoriamente scegliere una delle due nazionalità.


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