Qui avevo parlato di come l’alimentazione possa condizionare la secrezione di cortisolo, l’ormone dello stress.
Negli ultimi anni sono state sempre più consistenti le evidenze che uno sviluppo prenatale non favorevole possa cambiare la risposta ormonale allo stress: si era visto che il peso troppo basso alla nascita e i parti pre-termine siano condizioni associate a più alti livelli di cortisolo nel plasma in età adulta.
Sebbene condotto su piccoli numeri (70 persone), lo studio che vi sto per presentare è stato il primo a dimostrare una correlazione concreta tra alimentazione tenuta in gravidanza e livelli di cortisolo nel figlio: sono indubbiamente necessari ulteriori approfondimenti, ma da quanto emerge sembrerebbe che in alcuni casi i bambini nascano “già stressati”. Questo è preoccupante, considerando che gli stimoli della nostra attuale società sono già di per sé eccessivamente stressogeni: chi nasce con una predisposizione amplifica enormemente questi stimoli, ed è meno in grado di gestirli. Non solo: gli aumentati livelli di cortisolo sono correlati ad un maggiore rischio di sindrome metabolica (dislipidemia, ipertensione, insulino-resistenza, che possono predisporre a infarto, ictus, diabete 2).
Un team dell’università di Edimburgo ha dimostrato che se la dieta della mamma in dolce attesa è ricca di proteine e povera di carboidrati complessi, i figli avranno una risposta peggiore allo stress e, a causa dell’aumentato livello di cortisolo plasmatico, saranno più esposti alle malattie sopra citate. Questo vale soprattutto se una simile dieta, molto squilibrata, è seguita nel trimestre finale della gravidanza.
A questa conclusione si è giunti grazie a uno studio effettuato nel 1967: a un gruppo di donne in gravidanza era stata data una dieta iperproteica pensando che potesse prevenire la gestosi (sindrome caratterizzata da forte gonfiore, ipertensione e perdita di proteine con le urine). Sebbene quest’alimentazione si sia dimostrata discretamente efficace per le madri, gli effetti sulla prole non sono affatto confortanti: i figli nati da quelle gravidanze sono stati soggetti a controlli clinici a distanza di 40 anni dal parto, controlli dai quali sono emersi valori più elevati di pressione arteriosa e di cortisolo rispetto alla media della popolazione. Nello specifico, i livelli di cortisolo nel plasma risultano aumentati fino al 46% rispetto ai figli di donne che non avevano seguito la dieta prescritta. Gli effetti del cortisolo in risposta allo stress sono risultati essere più significativi ed evidenti negli uomini rispetto alle donne.
E’ importante sottolineare che i risultati ottenuti sono stati standardizzati in modo da non poter essere correlati ad altre variabili normalmente correlate alla secrezione di cortisolo, come ad esempio fumo o peso durante la gravidanza, classe sociale di appartenenza, uso di farmaci, consumo di alcol o caffeina.
La domanda sorge spontanea: ma quale dieta avevano seguito esattamente le madri? Si tratta di una dieta iperproteica, nella quale le porzioni di secondi piatti (carne, pesce, uova, formaggi) sono state quasi raddoppiate tra l’inizio e la fine della gravidanza: da 8 a 15 porzioni settimanali, corrispondenti a una media di 88 g di proteine giornaliere. Questo quantitativo è raggiungibile con circa 200 g di secondo piatto sia a mezzogiorno che a cena. A fronte di un aumento proteico, la dieta delle madri era stata ristretta per quanto riguarda i carboidrati: da 6 a 3 porzioni al giorno tra frutta, verdura, cereali e leguminose.
In gravidanza si ha necessità di un quantitativo maggiore di proteine per garantire il corretto sviluppo del feto: la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) raccomanda di calcolare il fabbisogno proteico giornaliero durante la dolce attesa come 1,2 g di proteine per peso corporeo ideale. Ossia, se una donna ha un peso ideale di 58 kg, il suo fabbisogno proteico in gravidanza sarà di circa 58 x 1,3 = 70 g di proteine. Le porzioni di secondo piatto a cui corrisponde questo quantitativo sono di circa 130 g di carne o pesce ad entrambi i pasti: facendo due conti si scopre che al gruppo di donne in studio nel 1967 si stava consigliando circa il 50% di proteine giornaliere in più rispetto al fabbisogno.
Quantitativi di proteine sovrapponibili a quelli dello studio in esame sono consigliati da molte diete in voga, che spesso si trovano su giornali, riviste o siti internet di dubbia credibilità professionale; le donne in gravidanza non dovrebbero affidarsi a questi mezzi di divulgazione per scegliere il tipo di alimentazione adatto a loro in un momento tanto importante della vita, perché quello che viene mangiato dalla madre influenza la salute del figlio anche sul lungo termine, quando sarà ormai adulto.
Bibliografia
R.Reynolds et al. – Stress responsiveness in adult life: influence of mother’s diet in late pregnancy - J Clin Endocronol Metabol 92:2208-10