di David Incamicia
Da oggi si ricomincia a fare sul serio con le tante iniziative di protesta di universitari e precari di cui avevo dato conto nell'ultimo post. E ciò in un clima molto pesante segnato dall'improvvida provocazione del pio Gasparri, sodale del misericordioso La Russa, entrambi notoriamente "moderati" stando alla nuova accezione che ha via via assunto questo termine nell'era berlusconiana, i quali sono giunti ad auspicare addirittura l'arresto preventivo per gli studenti che scendono in piazza evocando le identiche misure straordinarie di ordine pubblico di trent'anni fa. Vale a dire proprio di quell'epoca in cui loro scagliavano bottiglie incendiarie contro le forze dell'ordine e non per rivendicare un futuro del quale oggi i giovani appaiono sempre più privati, bensì per un cieco odio ideologico.
Ma forse, ancor più che la proposta indecente di Gasparri & Cam., ad accrescere l'esasperazione della generazione dei "senza futuro" è il recente allarme della Banca d'Italia dalla quale arriva un'ulteriore e autorevolissima conferma del fatto che il tenore di vita dei giovani italiani è fortemente a rischio, specialmente sul piano delle prospettive previdenziali. Da uno studio pubblicato sul sito di Bankitalia, infatti, emerge che "la diminuzione del tasso di sostituzione tra retribuzione e pensione previsto nei prossimi anni e l'ancora scarsa adesione alla previdenza integrativa faranno sì che molti lavoratori in futuro si troveranno esposti alla possibilità che, raggiunta l'età del pensionamento, si trovino a non avere risorse sufficienti a mantenere un tenore di vita adeguato".
Lo studio sottolinea nell'introduzione che vi sono "rischi anche per l'intera collettività, poiché essa verrà chiamata a farsi carico di interventi di natura assistenziale". Poiché c'è una fascia consistente della popolazione "per la quale la ricchezza previdenziale potrebbe risultare inadeguata. In particolare circa il 15% dei lavoratori occupati presenta tassi di sostituzione inferiori al 60% della retribuzione". Nelle stime della Ragioneria dello Stato citate dallo studio si evince che un lavoratore del settore privato che nel 2010 avrebbe ottenuto una pensione pari a circa il 70% della propria retribuzione (al lordo dell'imposizione fiscale e contributiva), nel 2040 vedrà ridotta la percentuale al 52% a parità di anni di contribuzione. Se il calcolo viene fatto al netto dell'imposizione fiscale e contributiva il tasso di sostituzione scenderà nei prossimi trent'anni dall'80% al 63%.
Secondo l'indagine, tra i lavoratori c'è la consapevolezza degli effetti delle riforme sul risparmio previdenziale (nel senso, in particolare, della necessità di lavorare più a lungo) ma manca la spinta a dare più spazio alla previdenza complementare a partire dal basso reddito disponibile. Tra il 2002 e il 2008 si è ridotta la percentuale di coloro che si aspettano di andare in pensione tra i 56 e i 60 anni (dal 41% al 34%) mentre è aumentata quella che si aspetta di uscire dal lavoro tra i 61 e i 65 anni (dal 44% al 51%). Nello stesso periodo, inoltre, l'età di pensionamento attesa dai lavoratori (anche per prolungare la fase di accumulazione del reddito e, conseguentemente, del risparmio) è cresciuta di circa un anno.
Lo studio, infine, mostra come vi sia un basso livello di informazione sulla propria situazione previdenziale: tra coloro che aderiscono alla previdenza complementare è elevata la quota di chi non ricorda la linea di investimento scelta, il livello della contribuzione e l'ammontare del capitale accumulato nel fondo pensione. Il grado di partecipazione alla previdenza complementare è particolarmente ridotto, poi, proprio per le categorie di lavoratori che avranno bisogno di integrare le risorse, a partire dai giovani. Questa fascia di persone con vincoli di reddito stringenti può essere restia a destinare parte dei risparmi a una forma di ricchezza "poco liquida" come quella previdenziale. "In questo caso - conclude l'indagine - interventi volti a promuovere il risparmio privato non sono sufficienti ed è necessario prevedere fin d'ora misure di natura assistenziale".
Insomma, i dati di Bankitalia "avvisano" quei pochi giovani fortunati che oggi lavorano che in ogni caso difficilmente avranno una pensione. E fanno il paio con quelli altrettanto scioccanti diffusi a denti stretti dall'Inps qualche settimana fa e che riguardano la sciagurata ipotesi, per niente remota, che il vasto oceano di lavoratori atipici e parasubordinati, composto prevalentemente da trentenni e quarantenni, non riuscirà appunto a percepire la pensione a causa della cronica condizione di precarietà alla quale è costretto dalle storture del sistema.
Che nessuno si azzardi a chiedere a quei giovani di non protestare, dunque. Men che meno una politica i cui segni distintivi sono ormai l'incapacità manifesta ad affrontare e risolvere i problemi, l'egoismo autoreferenziale e la palese degenerazione morale. Forza ragazzi, state attenti alle provocazioni e agli infiltrati, tenetevi lontano da ogni forma di violenza... ma prendetevi il vostro futuro!
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