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L’amore ai tempi della crisi ( non solo economica)

Da Thefreak @TheFreak_ITA

L’amore ai tempi della crisi ( non solo economica)

di Marina Solimine All rights reserved

Se pensavate che il vostro Prince Charming sarebbe (finalmente) arrivato su un cavallo bianco in tempo per San Valentino, vuol dire che le favole hanno rovinato anche voi.

Non che l’happy ending sia infattibile nel nuovo millennio – giammai essere così cinici! – ma forse è tempo di aggiornare i fairy tale ai quali tutti siamo ormai abituati. Ci hanno già pensato, negli ultimi anni, film, romanzi, saggi e cartoni animati dissacranti a tal proposito.

Pensiamo al principe Azzurro di Shrek: quale fanciulla desidererebbe un ragazzo così? Meglio l’orco (e meglio mai fermarsi alle apparenze: questa è, in fondo, l’immancabile morale)! Chi di noi, poi, non ha presente le divertenti quanto attendibili regole de La verità è che non gli piaci abbastanza? Dall’episodio della mitica serie Sex and the City che ispirò questo film [gli sceneggiatori sono gli stessi, ndr], al più impegnato, ma non meno brillante, lungometraggio (500) Days of Summer (arrivato da noi col titolo (500) giorni insieme), che si conclude con un interessante dialogo su anima gemella e dintorni, gli esempi non sono certo mancati.

Per prendere “con filosofia” (passatemi il termine) e con spirito freak questi temi, abbiamo pensato di presentarvi le opere di Dina Goldstein, fotografa che vive a Vancouver e che ha ottenuto – grazie ai suoi originali lavori – numerosi premi e riconoscimenti.

Molti l’hanno conosciuta grazie al progetto Fallen Princesses, apparso nel 2009 e diventato subito un vero e proprio successo in rete: dai blog alla stampa internazionale, tutti ne hanno parlato, molti lo hanno analizzato e studiato – e parliamo anche di esperti di letteratura e di insegnanti.

In the dollhouse è, invece, un suo lavoro più recente che riproduce la vita di B e K (basterà dare un’occhiata alle foto per capire di chi stiamo parlando) in modo ben diverso da come la maggior parte delle bambine l’ha immaginata nel corso della propria infanzia. Non è tutto rosa quello che luccica – verrebbe da dire in questo caso. L’idea pressoché geniale della Goldstein è stata, infatti, quella di creare un set coloratissimo, patinato e perfetto (da fare invidia a tutti i neonati esperti di cake design per le cromie utilizzate e la ricerca nei dettagli) in cui immortalare due modelli alle prese con la rappresentazione dei personaggi di cui sopra. Toy Story 3 ci aveva già fatto venire dei dubbi sulla sessualità di Ken e le foto della Goldstein sembrano proseguire su questo filone. Non si tratta di essere politically incorrect, ma soltanto di illustrarvi una nuova ed originale forma d’arte che smitizza gli idoli della nostra infanzia. A letto, K legge riviste del tutto simili a quelle di B e non è chiaro se l’entusiasmo per quel nuovo capo fuxia à la page sia per il futuro guardaroba della storica compagna o per il suo. In una perfetta sala da pranzo (ovviamente) rosa, vediamo B in un delizioso tailleur Chanel alquanto perplessa di fronte ad un K che indossa dei tacchi di una nuance perfettamente abbinabile all’arredamento. Come se non bastasse, K si rade nella vasca da bagno e non c’è da stupirsi se ritroviamo B sconsolata ed in compagnia della sola bottiglia di vino, quando guardiamo la fotografia che palesa il tradimento (e l’identità sessuale) di K.

Del resto, a molti di voi saranno venute in mente le fotografie di Mariel Clayton – spiritosissime e spesso splatter – che in alcuni casi si erano spinte ai limiti del porno, ironizzando sulla virilità di Ken – solo apparentemente macho ed uomo dei sogni.

 Il tema di fondo, al di là delle battute e dei sorrisi che nascono guardando queste foto, è quello di un matrimonio finto, infelice, basato non soltanto su ipocrisie, ma anche su fragilità – probabilmente. La faccenda si fa inevitabilmente più seria, se pensiamo a quanto spesso i matrimoni sono ben diversi dalle favole che ci hanno raccontato da bambini. Non mi riferiscono soltanto ai pregiudizi ed alle persecuzioni che, anche negli Stati Uniti degli anni Cinquanta (ed il richiamo alla vita ed alla casa perfette di Barbie e Ken è inevitabile), hanno portato molti gay a nascondersi dietro un’esistenza che non era la loro, fino a quando non abbiamo visto nascere l’istituzione del matrimonio omosessuale. Quante donne e quanti uomini si sono ritrovati a vivere una realtà sentimentale ben diversa da quella sognata nell’infanzia?

È così che Fallen princesses ci permette di sorridere su temi in realtà seri e di grande attualità. Guardiamo la moderna Biancaneve: alle prese con i vari figli e le innumerevoli faccende domestiche, mentre il principe se ne sta beato e stravaccato sulla poltrona a bere birra e guardare la televisione (vi ricorda qualcuno?). E che dire di Cenerentola? Scordatevi un ragazzo che vi venga a prendere e vi riporti a casa – sembrerebbero gridare le foto della Goldstein: la fanciulla si ritrova da sola ad ubriacarsi in un bar pieno di uomini, è costretta a fare l’autostop e ad affrontare una vita ben diversa da quella che i racconti ed i cartoni animati ci hanno fatto immaginare. Immaginare, sì, perché – se ci fate caso – le storie si concludono assicurandoci che i protagonisti “vissero per sempre felici e contenti”, ma non ci narrano mai cosa accade dopo l’idillio del matrimonio, del salvataggio o dell’incontro che cambia la vita. Proprio questo elemento è stato colto dalla Goldstein, che ha così trasferito le più famose ed amate principesse dal contesto soave delle fiabe (non nelle versioni dei Fratelli Grimm, certo) a quello ben più realistico della vita moderna.

Ritroviamo, infatti, Belle che – paradossalmente – si sottopone ad un intervento chirurgico (e sulla società che spesso, più delle insicurezze personali, spinge a queste decisioni ci sarebbe molto da dire, ma questa è un’altra storia). Cappuccetto Rosso – non esattamente una taglia 42 – passeggia nel bosco con un cestino pieno di cibi e bevande da fast food (anche qui si dovrebbe aprire un altro capitolo).

Queste meravigliose foto sembrano illustrare il sottotilo di un bestseller di Marcia Grad Powers (La principessa che credeva nelle favole): “come liberarsi del proprio principe azzurro” – cosa da fare quando qualcuno (principe o principessa che sia) ci porta a vivere un amore infelice ed una vita che non vogliamo. Ancora una volta, ci viene in mente Mariel Clayton. Nelle sue fotografie, Barbie sembra aver applicato alla lettera questo consiglio: appare spesso, infatti, come una sanguinaria omicida. Le sue opere, dunque, sono per alcuni aspetti simili a quelle della Goldstein, ma l’immagine che la Clayton ci propone della famosissima bambola della Mattel è più ampia e – per molti versi – lontana da quella della sua collega. Per questo, infatti, prossimamente si parlerà di lei e del suo lavoro in modo più dettagliato su The Freak.

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