Magazine Famiglia

L'amore assoluto

Da Mammacattiva
L'amore assoluto
La prima grande balla che il mondo ci racconta da femmine piccole è che un giorno, sull'orizzonte, si staglierà la sagoma di un bel principe azzurro sul suo cavallo bianco: arriverà, ci solleverà e ci porterà via nel suo castello incantato. Nonna Cattiva da qualche parte, credo nel suo Talismano della Felicità, conserva un mio tema scritto alle scuole medie (sul foglio protocollo, con lo spazio laterale per le correzioni, ma si usa ancora oggi?), in cui parlo proprio di questo mito. Rivelatorio come nello svolgimento io esprima la mia preferenza per la figura del "cavaliere", figura più combattiva, uomo self-made, più proattivo rispetto al principe, figlio di papà, nato con la pappa pronta, servito e riverito. Molto coerente con questo aspirational, i miei fidanzati non sono mai stati ricchi possidenti e quelli che poi lo sono diventati, impegnandosi, me li sono persi per strada.
Il doc non se la prenda di questa considerazione. Che lui non sia un ricco possidente ma un cavaliere con la maschera che lascia visibile solo il suo sguardo a me piace molto e non lo cambierei con nessun regnante.
La grande bugia però galleggia per lungo tempo sulla superficie del nostro inconscio femminile e, più o meno consapevolmente, passiamo un lungo periodo della nostra adolescenza e del nostro diventare adulte alla ricerca di un salvatore. Almeno per me è stato così e, appigliandomi a questa speranza, ho commesso degli errori che hanno lasciato delle belle cicatrici.
Questa non-verità te la raccontano tutti. Non diamo la colpa solo alla nostra mamma.
Cresci scontrandoti con migliaia di etichette e pre-concetti di genere e ti convinci che essere una donna è solo che un limite e quindi ti conviene dotarti dell'uomo giusto che tutto può e tutto potrà.
Da questa certezza nasce secondo me il concetto di amore assoluto. In questo concetto io sono stata impanata, fritta e rifritta. Mi è stato insegnato che amare significa esprimere e donare sentimenti di amore, lealtà, fedeltà, integrità senza alcuna condizione. Ami infinitamente indipendentemente da quello che ricevi in cambio. Se ci pensate bene, detto così, suona anche bene: io amo qualcuno e non mi aspetto nulla in cambio. Trascorrono le giornate, una dietro l'altra, a litigare e il giorno dopo l'amore assoluto ti regala l'oblio e fai finta di nulla; un giorno quella persona ti tradisce e l'amore assoluto ti permette di perdonare e di ricominciare daccapo; un altro, qualcuno che ami compie un crimine ma visto che la ami in modo assoluto, cerchi di capirlo, l'aiuti e continui ad amarlo. La persona si riscatta e l'amore assoluto ti fa dimenticare ogni sgarbo, ogni parola scomposta, ogni gesto sconsiderato.
Fino a qualche anno fa per me questo era tutto molto logico, radicato nel mio inconscio e qualsiasi voce interiore che mi allontanasse da questa certezza generava enormi sensi di colpa. Perché l'abitudine ai sensi di colpa ci appartiene prima ancora di avere dei figli.
A 25 anni ho scelto liberamente di sposarmi, con un uomo che conoscevo da meno di due anni. Mi sono laureata poco prima e mi sono trasferita a Bologna. Per amore, questo il motivo per cui ho lasciato Roma. La vita scorreva tranquilla, non avevo nulla di cui lamentarmi: avevo una casa, un marito bello e innamorato, gentile e generoso, fedele e premuroso, un lavoro, una città a misura d'uomo, la mia indipendenza tanto anelata. E poi c'era l'amore, quello a prescindere da chi sei tu, da quello che vuoi e dove vuoi andare. Cambiando le carte nulla sarebbe dovuto cambiare. Le carte non cambiavano eppure io non mi sentivo felice.
Quando la mente non trova risposta è il corpo che inizia a dare i suoi segnali. Il mio corpo espresse il desiderio di separarsi dall'anima. Fu il corpo a capire che quella vita non era la mia: un corpo eternamente in fuga che si rese conto di aver scelto l'uomo sbagliato, quello giusto e perfetto per un'altra ma non per quel corpo.
La cosa che feci più fatica a capire è che arriva un momento in cui la volontà non è più in grado di comandare. Oltre un certo limite "volere è potere" sono solo parole. Intorno ti dicono "devi ricominciare a nutrirti", tu ti dici "ma io voglio mangiare, non sono malata". Non si trattava di una consueta e di tutto rispetto storia di anoressia. Soffrivo tecnicamente di disturbi dell'alimentazione ma non sono mai stata definita anoressica. Iniziai e proseguii a non mangiare più perché dovevo punirmi per aver fatto del male a una persona buona e innocente e a tutte le persone che dicevano che infondo potevo essere felice.
L'esperienza è durata diversi anni e non si è risolta al primo turno. Mi sono curata con impegno perché la mia mente è sempre stata lucida e volevo guarire. Il mio corpo però non ne voleva sapere e ogni tanto ricadeva con me incredula, incapace di capire perché fosse così complicato riprendere il controllo della mia volontà. Ci sono riuscita, al solito, a piccoli passi, con l'aiuto di persone e cose.
Mi ricordo che la mia psico-analista mi prestò immediatamente un libro: Le brave ragazze vanno in paradiso e le cattive dappertutto di Ute Ehrhardt. Sosteneva evidentemente che la mia lotta perenne per essere una "brava ragazza" mi impedisse di essere me stessa, di capire che potevo farcela da sola anche senza l'appendice di un salvatore, di qualcun altro che facesse le cose meglio di me.
La vera svolta però fu capire, visceralmente e inequivocabilmente, che non esiste l'amore assoluto. Nulla è più vero dell'amore relativo, quello che si nutre di responsabilità, di coscienza, quello per cui ogni giorno ti guadagni quello che ti torna indietro.
E' una balla che qualsiasi cosa fai, l'altro ne esce indifferente. Nel mio caso non solo mi punivo per non riuscire ad essere quello che gli altri volevano per me, ma nelle relazioni mi permettevo di dire e fare qualsiasi cosa pensando che l'altro avrebbe accettato, mi avrebbe comunque amata. Non è così. Non è mai così. Possiamo raccontarcelo ma, alla lunga, qualsiasi nostra azione genera una reazione.
Lo scenario, per quanto suoni fisico e razionale, non cambia quando hai dei figli. Ci vendono lo stereotipo dell'amore assoluto e trasfigurato e se quindi ti trovi a vivere sentimenti contrastanti pensi di essere malvagia, di essere una mamma cattiva. Se invece capissimo che bilateralmente l'amore è sempre relativo, ci concederemmo dei momenti di pausa, vivremmo i momenti di difficoltà come provvisori e superabili e soprattutto, proprio perché bilaterale, responsabilizzeremmo i nostri figli a dosare parole, opere e omissioni.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog