L’amore che resta(USA 2011)Titolo originale: RestlessRegia: Gus Van SantCast: Henry Hopper, Mia Wasikowska, Schuyler Fisk, Ryo Kase, Jane AdamsGenere: super dramaSe ti piace guarda anche: 50/50, I passi dell’amore, Love Story, Non è mai troppo tardi, Romeo + Juliet, One Day
Vogliamo commentare ancora una volta il solito fantasioso titolo italiano?L’originale Restless significa: inquieto, irrequieto. Strano che da noi il film non sia quindi uscito come “Gioventù irrequieta” o qualcosa del genere. Ci si è preferiti buttare invece sulla parola amore, che nel paese con la forma di stivale fa rima non con cuore bensì con successo.E in più ho scoperto cazzeggiando su Google che L’amore che resta è anche il titolo di una canzone di - mioddio! - Michele Zarrillo…
NO, IL VIDEO DEL PEZZO (DI MERDA) MI RIFIUTO DI INSERIRLO
Invenzioni del marketing nostrano a parte, il film è comunque a tutti gli effetti una storia d’amore. Una grande, bella, tragica, romantica storiona d’amore. E in più la protagonista femminile di questa love story è una ragazzina malata terminale di cancro…
Mia: "Sto morendo."
Henry: "Io invece l'altra sera ho visto il Grande Fratello."
Mia: "Ok, mi hai battuta. Sei messo molto peggio tu di me!"
Hey, dove siete finiti tutti?Perché vi siete dileguati più veloci della luce?Siete spaventati?Ce n’è nessunooooossunoooounoooo?
Vi capisco, in effetti amore tragico + malata terminale può essere un mix letale per molti.Però cerchiamo di vedere gli elementi positivi: alla regia c’è Gus Van Sant, talento capace di combinare una produzione più orientata sul mainstream ma comunque parecchio interessante e a suo modo indie (Will Hunting, Milk, il sottovalutato ma splendido Scoprendo Salinger Forrester) a un’altra corrente più alternative e indipendente: dai primi Drugstore Cowboy e Belli e dannati ai più recenti Last Days e Paranoid Park. In mezzo c’ha messo dentro progetti folli come l’autostoppista dai pollici giganti Uma Thurman di Cowgirl - Il nuovo sesso o il remake copia fotogramma per fotogramma di Psycho.Ho dimenticato qualche cosa?Ma certo che sì, i suoi due film che amo di più: Da morire, commedia nera esilarante quanto spietata, una riflessione amara sui media e sulla popolarità con una Nicola Kidman alla sua intepretazione più incredibile e notevole di sempre. E poi Elephant. Un film (enorme) che mi fa stare male al solo pensarci.In tutte le sue pellicole, riuscite o meno riuscite (ma sono di più quelle riuscite), Van Sant riesce sempre a inserire una visione obliqua. Possiede un tocco magico, capace di rendere in qualche modo strambe e originali anche le storie più hollywoodiane e tradizionali girate nel corso della sua carriera.È per questo che L’amore che resta fa restare di stucco. È un film molto carino e piacevole, però manca qualcosa… manca appunto il caratteristico tocco strambo di Van Sant. Dov’è finito?
"Che è successo? Siamo finiti dentro un film di Malick?"
È presente un senso dell’umorismo molto nero, persino macabro, che aleggia fin dall’inizio della pellicola. Eppure il tema del cancro non viene affrontato con la stessa forza ironica e dissacrante di un’altro più riuscito film recente: 50/50, appena uscito (pur)troppo in sordina nelle sale italiane. Il percorso di avvicinamento alla morte da parte della protagonista femminile viene vissuto con grande coraggio e senza mancare di scherzarci su, però l’attaccamento alla morte da parte del protagonista maschile sembra persino troppo morboso e un filo inquietante.
La storia tra i due è comunque dolcissima ma non stucchevole, romantica ma non twilightiana, disperata ma non angosciante. Lui è l’emergentissimo Henry Hopper, figlio 21enne del grande Dennis, qui alla sua prima vera prova cinematografica e si vede, sia detto sia come cosa positiva (la sua è un’interpretazione parecchio istintiva) sia detto come cosa negativa (la sua è anche un’interpretazione acerba e per essere considerato un grande attore il fanciullo di strada deve ancora farne parecchia).Lei è la fantastica Mia Waginowska, volevo dire Mia Wasikowska. Scusate, ma è un cognome molto difficile da scrivere. Da quando l’ho vista nel cortometraggio I Love Sarah Janes (del regista di Hesher, Spencer Susser) e nella serie In Treatment, ho capito che questa ragazzetta di origini polacche aveva qualcosa di particolare, di difficile da definire: diciamo un tocco strambo, un po’ come Gus Vant Sant. Dopodiché ha fatto Alice in Wonderland, I ragazzi stanno bene, Jane Eyre, Albert Nobbs e insomma la sua carriera si è leggermente lanciata. Fino ad ora ha alternato però film pessimi a film carini, ma ancora nulla di davvero eclatante e in grado di lasciare il segno. Se è riuscita a brillare pure in pellicole non sempre esaltanti, allora, possiamo solo immaginare cosa combinerà quando azzeccherà finalmente il film memorabile.
L’aspetto positivo da segnalare è però una notevole vena di freschezza nella regia del Van Sant. L’amore che resta assomiglia a un’opera d’esordio, anziché alla 14esima pellicola di un autore sulla soglia dei 60 anni. E anche da un’affermazione del genere ne conseguono tutti i pregi e i limiti del caso. Una visione bellina, che pur trattando un argomento parecchio pesante riesce a far mantenere (quasi sempre) il sorriso sulle labbra, ma che tuttavia lascia con l’impressione che si poteva fare un film più originale e lontano dal classico tema (strange) boy meets (almost dead) girl. Si poteva viaggiare ancora più lontani dai drammi degli amori romantici tra Love Story e I passi dell’amore, o qualunque altra storia alla Nicholas "strappalacrime e strappapalle" Sparks.E allora, come se fosse un promettente regista esordiente, auspichiamo a questo “giovane” Gus Van Sant un futuro più maturo e focalizzato. Il ragazzo ha talento, si deve solo applicare un po’ di più.(voto 7-/10)