All’indomani della Giornata della Memoria, pare opportuno sfatare – o, meglio, sfatare nuovamente, dato che l’opera è già stata compiuta alla grande da fior di specialisti – la leggenda nera che vuole Pio XII, Eugenio Pacelli (1876 –1958), quale “Papa di Hitler“. E non solo perché Pio XII è stato effettivamente un eroe – «un grande servitore della pace» per dirla con Golda Meir (1898-1978), premier d’Israele – salvando svariate migliaia di ebrei da morte certa, ma anche perché non tacque affatto, come qualcuno seguita, per pura passione polemica, a sostenere.
Infatti non solo parlò e non se ne restò con le mani in mano, ma lo fece pure per tempo, senza cioè attendere il precipitare degli eventi. Lo documenta chiaramente un Dispaccio ufficiale del 4 aprile 1933 – e cioè prima che il Terzo Reich emanasse le leggi razziali e tre giorni dopo la “giornata del boicottaggio” nazista contro negozi e attività ebraiche – col quale l’allora cardinale Pacelli, senza mezzi termini, chiedeva al nunzio a Berlino di attivarsi in favore degli ebrei per adempiere l’«universale missione di pace e di carità verso tutti gli uomini, a qualsiasi condizione sociale o religione appartengano». Più chiaro di così!
C’è comunque dell’altro: nel ’38 – un mese prima di diventare Papa, per la precisione – Pacelli intervenne personalmente presso la nunziatura di Varsavia per denunciare l’ingiustizia d’una legge che proibiva la macellazione rituale dei capi di bestiame secondo l’usanza ebraica, giudicandola oltretutto persecutoria. E questo sarebbe stato un antisemita? Ma non scherziamo. Pacelli, dicevamo, agì e parlò in favore degli ebrei. Senza tentennamenti e a partire dal 1940, quando la Guerra Mondiale era appena iniziata e Hitler pareva invincibile. Pio XII, se fosse stato quel calcolatore vigliacco che qualcuno dice, avrebbe taciuto e sarebbe stato alla finestra. Invece lanciò un messaggio inequivocabile a tutti i cattolici proprio in riferimento alla persecuzione contro gli ebrei: «E’ di conforto per noi l’essere stati in grado di consolare, con l’assistenza morale e spirituale dei nostri rappresentanti e con l’obolo dei nostri sussidi, ingente numero di profughi, di espatriati, di emigrati, anche fra quelli di stirpe semitica».
Parole che verosimilmente non piacquero a Hitler, che infatti considerava Pacelli un suo «nemico personale», e che nel luglio 1943, colloquiando col generale Alfred Jodl, ebbe a dire: «Crede che il Vaticano mi preoccupi? Ce ne impadroniremo subito: là dentro vi è tutto il corpo diplomatico…quelle canaglie! Tirerò fuori di là quel branco di porci». Pare fondata addirittura l’ipotesi che Hitler volesse far rapire Papa Pacelli e ne avesse apertamente parlato con un generale delle SS, Karl Wolff, salvo poi rivedere le proprie intenzioni alla luce delle perplessità sollevate da quest’ultimo, che credeva che una simile operazione, a livello d’immagine, avrebbe arrecato alla Germania più danni che benefici. Detto ciò, potremmo continuare a lungo, con l’elenco delle azioni meritorie di Pio XII ma preferiamo, per tagliare corto, ricordare solo due episodi significativi.
Il primo. Già nel ’45, quando tutti i reduci dell’Olocausto erano in vita e dunque in grado di valutare lucidamente chi avesse o meno prestato loro soccorso, il Congresso ebraico mondiale donò la bellezza di 20.000 dollari alla Santa Sede «in riconoscimento dell’opera svolta per salvare gli ebrei dalle persecuzioni fascista e nazista». Il secondo. La Comunità Israelitica di Roma – si era, addirittura, nel ’44 – relazionò all’Unione delle Comunità Israelitiche italiane manifestando gratitudine «quanto mai grande e sentita verso la Chiesa cattolica e verso il suo augusto capo, Sua Santità Pio XII» (Bollettino Ebraico d’informazioni n. 15, 20/10/1944). Delle due l’una: o gli ebrei romani, proprio quando avrebbero dovuto attaccare Pio XII, impazzirono tutti quanti, oppure, ad impazzire, sono stati altri. A partire da quanti credono che il Pontefice strizzasse l’occhio al Führer.