Vorrei scrivere una recensione di una delle ultime letture che ho fatto, L’animale morente di Philip Roth (Einaudi – traduzione di Vincenzo Mantovani), ma credo che non scriverò propriamente una recensione, perché non sono in grado di farlo, e perché il romanzo di Roth è quel genere di letteratura che disturba la vita, forse perché è esso stesso così impregnato di vita, così slegato dagli orpelli letterari, dalle ipocrisie della tecnica narrativa, e quindi la mia vita ne ha risentito, e tutto questo non mi pone nella migliore condizione possibile per tracciare un bilancio critico della lettura. Perché? È semplice, L’animale morente di Roth non si è posto all’interno della mia vita come una lettura, cioè non ha occupato una di quelle nicchie vuote che mi ritaglio negli spazi del tempo e che via via riempio con i romanzi, L’animale morente è una parte della mia vita, non l’ho letto, è successo, ma non perché racconti qualcosa di me, o meglio, qualcosa che rievoca fatti o situazioni della mia vita, bensì perché ho vissuto questa lettura come un’esperienza di vita. L’ambizione massima di ogni libro dovrebbe essere questa, vagheggiare l’idea che è possibile trasformare la lettura in un fatto di vita, in una situazione reale, e non di ultra-vita, o di iper-vita. Sono cosciente di aver abusato nelle righe precedenti della parola “vita”, ma è un’impulsiva forma di difesa, perché L’animale morente è un libro che parla per lo più di morte, perciò credo che non interverrò, nel momento in cui farò il piccolo editing di questo testo, cercando soluzioni che schivino il problema, sinonimi, equivalenti, quel che sia; sarebbe un po’ una mistificazione, e io non voglio mistificare un bel niente. Quindi, se ora incominciassi la pseudo recensione scrivendo “Ho letto L’animale morente di Philip Roth” sarebbe una formula del tutto ingannatrice. D’altro canto dovrei dar conto di quello che mi è successo, di cosa mi ha lasciato l’esperienza di questo libro, come se raccontassi la gita dell’ultimo fine settimana, o la visita a un parente. Certi libri sono così, quando va bene, sono momenti di bellezza sfavillante, come quelli di un mattino qualsiasi di primavera, ma che verranno completamente dimenticati e dissolti dal tempo. Per questo è inutile raccontarli a chi non li ha letti.
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