Il resto è semplicemente l’umanità. - Si deve essere superiori all’umanità per forza, per altezza d’animo – per disprezzo…
F. W. Nietzsche
La democrazia, dimenticando per un attimo il malinteso storico di Pericle, fiorisce sulle sponde delle colonie americane a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Alexis de Tocqueville ne descrive puntigliosamente il carattere originario: “la pigrizia e l’ubriachezza vi sono severamente punite (…) proibisce l’uso del tabacco (…) costringe ad assistere al servizio divino (…) la frusta punisce la menzogna quando può nuocere (…) nel 1649 si formò a Boston una associazione solenne avente per scopo di prevenire il lusso mondano dei capelli lunghi”. Pare insomma che l’animo tirannico dei travagliati inizi dell’epopea democratica abbia persino superato le fantasie di qualche signorotto feudale europeo. A noi però non interessa l’aspetto meramente politico ed istituzionale, bensì quella sfera più sottile ed altrettanto indecifrabile che pertiene forse esclusivamente ad una sensazione. Morale e filosofica, direbbe forse, non a torto, qualcuno. “Democratico”, in tal senso, è solo un altro aggettivo che qualifica la possibilità di un’opportunità, quel bisogno che spinge l’uomo ad avvicinarsi al proprio prossimo per occultare nella “comunità” i demoni della propria “singolarità”, quello che Nietzsche chiama “ironicamente”: ”immeschinimento dell’uomo, un suo mediocrizzarsi e invilirsi”. Per quest’uomo docile ed inoffensivo infatti: “vengono (…) messe e inondate di luce le qualità che servono ad alleviare l’esistenza ai sofferenti: vengono qui in onore la pietà, la mano compiacente e soccorrevole, il calore del cuore, la pazienza, la laboriosità, l’umiltà, la gentilezza – giacché queste sono qui le qualità più utili e quasi gli unici mezzi per resistere alla pressione dell’esistenza. La morale degli schiavi è essenzialmente morale utilitaria”. E così, anche in democrazia, è solo la pelosa convenienza a spingerla verso l’altro (a questo stitico genere di altruismo viene dato, di volta in volta, il beffardo nome dibeneficenza, compassione, sentimento). Appoggiare il proprio soggetto alle funzioni esistenziali di una comunità umana o a qualsiasi altra natura alienante e totalizzante che sia in grado di sopire il suo essere esistente sostituendosi ad esso, affidando a questo palliativo spersonalizzante il compito d’illuminare un’esistenza, la propria, che pare incapace di farsi luce da sé, pare essere il maggior incentivo che spinge la pecora alla ricerca del gregge. Questo topos umano ha rinunciato quindi ad essere sorgente di calore per sé stesso, ha abdicato dall’ideale interezza del proprio sentire per delegare il compito del suo sostentamento ad un’entità esterna eteronoma, nullificante l’esistenza, affinché si possa finalmente alleggerire dalle responsabilità di vivere integralmente, appiattendo sugli accomodanti “altri” ogni vicissitudine personale. “D’altra parte in Europa l’uomo del gregge si dà oggi l’aria di essere l’unica specie umana permessa, ed esalta le sue qualità, per le quali è mite, conciliante e utile al gregge, come le autentiche virtù umane: vale a dire civismo, benevolenza, rispetto, laboriosità, moderazione, modestia, indulgenza, compassione”. Un genere d’individuo che non può fare a meno dell’altro, gregario. Mediocre per necessità, dozzinale perché incapace di essere unico, laddove la mediocrità è solo l’ennesimo rimedio all’horror vacui, la garanzia di sentirsi parte di una società formata da altri mediocri suoi pari (per dirla col goriziano Michelstaedter: “si son fatti forza della loro debolezza, poiché su questa comune debolezza speculando hanno creato una sicurezza fatta di reciproca convenzione. É il regno della rettorica”). In questo modo il singolo che vive la sua vita nel mondo sociale, trovando che la libertà di esser schiavo della vita è sicura, è geloso di questa condizione in ragione della debolezza colla quale vi si era affidato. Per usare l’esortazione di Nietzsche: “soltanto i mediocri hanno speranza di continuare a perpetuarsi”. E’ in fondo la storia morale dell’uomo prodotto dalla democrazia, quello schiavo libero che ha trionfato sugli altri, quello che prima era un debole, soggetto ai forti di cui vuole vendicarsi, ma solo sostituirsi ad essi. Un uomo inoffensivo, quello orfano del “terzo stato”, ma profondamente risentito. Nietzsche è di nuovo chiaro e netto nella descrizione del “sentimento” di minaccia provato dal “gregge” nei confronti di quegli “uomini superiori” ormai in via d’estinzione: “l’alta spiritualità indipendente, la volontà di far parte di sé, la grande ragione vengono già sentite come pericoli; tutto ciò che solleva l’individuo al di sopra del gregge e fa paura al prossimo, viene da ora in poi detto cattivo; ai principi di equità, di modestia, di integrazione sociale, di uguaglianza, alla mediocrità dei desideri, vengono conferiti nomi e onori morali”. Anche per questo “rovesciamento morale” oggi ci sono solo personae e non uomini integri. Quando va bene si può inciampare su qualche fantasma, spesso ci s’imbatte solo in un informe e fetido gregge di simulacri che si tengono insieme solo perché spaventati gli uni dagli altri. E questa paura, frammista alla voglia di sicurezza, risultata spesso mortale per l’individuo, è’ il motivo per cui anche gli Stati assoluti e i regimi di ogni genere hanno avuto presa sugli esseri umani di tutte le epoche. Peccato che quello stesso voglia di abbracciare una comunità per paura del prossimo sia anche il motivo principale per cui la stessa democrazia ha avuto successo.
L'annichilimento da combattere: "idee moderne": Un'introduzione. La logica.