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L’anno del topo e un desiderio per l’anno che viene

Creato il 27 dicembre 2012 da Unarosaverde

S illuminata

tavo beatamente seduta, in una notte di tarda primavera, su una panchina di fronte al lago.

Era appena terminata una lezione di inglese e, con un’amica, avevo deciso di indugiare in chiacchiere e indulgere in gelato. “Vieni”, le avevo detto, ” ci scegliamo un posticino di fronte all’acqua e ci godiamo la quiete e il passeggio dei topi”. Scherzavo, non sulla quiete ma sui topi: mi avevano raccontato che col buio se ne uscivano a passeggiare anche loro ma ero convinta fosse uno scherzo, incompatibile con la composta eleganza del borgo medievale che sorge sulle rive. Quand’ecco che, tra una leccata alla vaniglia e una al cioccolato, dai massi frangiflutto di fronte a me comparve una testolina grigia, seguita da un corpo peloso altrettanto grigio e da una codina grigissima e mobile. Ritta sulle zampe posteriori l’immonda creatura se ne stava tranquilla ad osservarmi, sfregando le zampine anteriori. “Cambiamo panchina?” – chiesi supplice trattenendo urletti isterici a stento. La mia amica, essendo stata costretta a buttarne uno in avanzato stato di decomposizione la settimana precedente – ha un cane che omaggia i padroni con questi trofei di caccia – benignamente acconsentì.

Ho letto anni fa da qualche parte che chi utilizza la parola schifo è soggetto da psicanalisi. A me i topi non fanno schifo. Fanno schifissimo. Mi suscitano ribrezzo, li associo con lo sporco, con la sensazione di dentini che mordono carne senza requie e con l’odore delle fogne. Ho letto troppo, sono stata suggestionata da film, di sicuro ma, visto che la cosa riguarda solo me e i topi, mi tengo il problema ed evito i luoghi in cui la mia strada potrebbe incrociarsi con la loro.

Fino alla pantegana panchinara i miei incontri si erano limitati, in quarant’anni, a tre: uno con un topino della legna minuscolo che si era avventurato fino in casa e aveva reso ebbra di istinti primordiali la mia gatta; il secondo, trovato morto stecchito in giardino e il terzo, anzi i terzi, poiché si trattava di un branco, in un lunghissimo viale di Bangkok, mentre scorrazzavano di notte tra i vagabondi addormentati sui marciapiedi e cercavano resti di cibo sotto misere bancarelle di legno. Che schifo.

Mi sembrava potesse bastare.

Non so per quale motivo ma, quest’anno, io e i topi abbiamo continuato ad incontrarci.

A Dublino in una teca, nella Christ Church Cathedral, c’erano i corpi di un gatto e di un topo mummificati, trovati in una delle canne dell’organo nel 1860. Erano indiscutibilmente morti e morbosamente raccapriccianti.

Un ratto, questo autunno, grosso come un gatto, mi ha attraversato la strada di notte mentre guidavo verso casa. Che schifo.

In giardino si è scatenata una battaglia all’ultimo sangue tra mio padre e ignoti roditori che – testimonia il vicino che li ha scorti – paiono proprio dei bei topoloni che si divertono a scavare buche nel prato. Che straschifo.

In ufficio, la settimana scorsa – per fortuna che ero in Spagna – il mio capo ne ha ammazzato uno che ha avuto l’ardire di intrufolarsi tra le scrivanie e ripararsi sotto il termoconvettore. Forse avrei evitato di urlare e salire sul tavolo, come prevede il copione, ma non avrei resistito alla scena dell’uccisione dell’animale. L’idea di un corpo di topo spappolato sotto i miei occhi è in grado di suscitarmi immediatamente conati di vomito. Che superschifo.

E se la parola topo al femminile può anche farmi ridere per le goliardiche allusioni che sottintende e se da bambina trovavo simpaticissimi i topolini di Richard Scarry e i celeberrimi colleghi disneyani, e se Firmino, avido parassita lettore metropolitano mi aveva catturato il cuore, io preferisco che certe creature rimangano nel mio mondo letterario immaginato e non infestino quello reale.

Ecco, io vorrei esprimere un desiderio per l’anno che viene. Posso per favore incontrare farfalle, gattini, cagnolini, mucche o cavalli e non sorci schifosi?


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