Dal nulla con le palle alle palle con il nulla. Così potrebbe essere sintetizzato l’anno trascorso che comincia con la caduta rovinosa di Bersani sulla buccia di banana del M5S, messa sul suo cammino dall’uomo del Colle ossessionato dalle larghe intese e dai governi di Palazzo come cambiale di garanzia all’Europa dell’austerità e termina con Renzi che deve forzare la mano per nuove elezioni prima che gli italiani si accorgano che la musica del rottamatore è sempre la stessa, cambia solo la tonalità e si fa più stonata. Come il maestro Berlusconi almeno sa di essere un animale da campagna elettorale e fuori da quella rischia di di venire in alto rilievo solo il primo termine.
Un anno che sembra denso di eventi e di cui tuttavia non c’è nulla da ricordare se non la surreale commedia del cambio di nome dell’Imu, la danza dionisiaca del salva roma e milleproroghe, roba che non si era vista nemmeno nei più scadenti governi balneari della Dc. Nei primi cento giorni Letta aveva promesso di mettere in moto politiche per il lavoro per i giovani, di risolvere la questione dell’ Imu, di impostare agevolazioni fiscali e di fare la legge elettorale. Ma passa un giorno, passa l’altro la disoccupazione è aumentata, le tasse sono cresciute, l’Imu è ancora in alto mare e solo la sentenza della Corte costituzionale ha costretto l’arco politico a smuoversi un po’ per sostituire il porcellum.
Un anno buttato, come del resto sarà probabilmente – a meno di eventi imprevedibili al momento – anche il 2014 nel quale un nuovo personaggio, sempre che riesca a scardinare le resistenze di Letta, riproporrà le stesse cose, perseguite con gli stessi criteri da anni ’80 e nel contempo farà nuovi massacri, particolarmente per ciò che riguarda i diritti del lavoro. Del resto, come ho già avuto modo di dire, l’accelerazione del gattopardismo italiano è necessario per dare l’impressione di movimento all’immobilismo del nulla. Così in questo trasformismo accelerato, nel cambio di parti e personaggi che si bruciano rapidamente sul rogo del declino, è più difficile cogliere con chiarezza che gli interessi sono sempre gli stessi, le non idee le medesime, i padroni sempre quelli. Che cambia solo il look. Questa è la stabilità mortifera e animata come i cartoons che ci tocca.
E tuttavia il 2013 è stato importante da un altro punto di vista: è l’anno in cui la sinistra è definitivamente e ufficialmente scomparsa dalla scena, non tanto dal punto di vista concreto perché in questo ambito la resa al liberismo data da almeno 17 anni, ma dal punto di vista forse più psicologico che ideale: fino ad ora si era conservata la traccia di un sistema di valori, una sorta di antagonismo sotto anestesia che ha avuto un qualche sussulto solo sulla questione morale, prima di esservi essa stessa implicata a pieno titolo e la cui prassi di lotta è stato il battutismo fluviale.
Con l’ascesa di Renzi por gracia de Dios y voluntad del pueblo tutto questo è finito, messo in un cassetto, irrecuperabile dalle piccole èlite della sinistra residuale. Tra cui una come Sel punta addirittura ad affiliarsi a quel gruppo di socialisti europei blairiani e schroederiani che hanno dato inizio alla deregulation della finanza e del lavoro. Mentre altre più vaghe aspirazioni ancora non intendono privarsi dell’euro (vedi Tsipras) auspicando una riforma della moneta unica, non si capisce bene in che senso, ma impossibile in tutti i sensi e lasciando così spazio alla destra.* E’ una storia tutta da ricominciare raccogliendo le correnti carsiche che si muovono inquiete sotto la superficie della stabilità bancario – liberista. E forse questa non è del tutto una cattiva notizia: quanto meno mette fine sia a una stagione di equivoci e di impotenze, sia a quella della nostalgia.
*Su questo tema mi propongo di tornare più avanti sulla scorta di nuove proposte simili a quelle del Bancor di Keynes, per un ritorno comune alle divise nazionali, lasciando però l’euro come moneta non più unica, ma comune di fronte alle divise extraeuropee. Ed è quella verso la quale si sta orientando la Linke.