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L'aspra stagione di Tommaso de Lorenzis e Mauro Favale

Creato il 05 giugno 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Stefania Auci

«E questa è la storia di un uomo che ha sognato e poi s'è svegliato. Un uomo che ha vissuto, creduto e capito, che ha scritto e raccontato. E che se n'è andato un attimo prima che la nave salpasse». 

Cari lettori, oggi Diario vi presenta un libro diverso. Di solito non ci dedichiamo, se non marginalmente, alla saggistica. Tuttavia, L'aspra stagione di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale,  pubblicato da Einaudi Stile Libero Extra è un libro che sfugge agli schemi e che, grazie a una scrittura scorrevole e dal piglio giornalistico, delinea un quadro estremamente efficace dell'Italia nell'ultimo scorcio degli anni Settanta.
L'aspra stagioneTrama
Un cronista di ieri che non poté vedere l'oggi, ma ne sentí il fetore in avvicinamento. Ossimoro vivente e ambulante, smarrito e attentissimo, inflessibile e piegato nel morale, Carlo Rivolta raccontò lo sbandamento dei tardi anni '70, il grande e cupo impazzimento prima della risacca, tra sequestro Moro, inchiesta «7 Aprile» e storie di crimine organizzato. Nei suoi articoli, voci gridano prima di cadere nel silenzio, pallottole spaccano cuori, l'eroina invade le strade ed entra persino in fabbrica, tempio violato dell'integerrima classe operaia. Trent'anni piú tardi, De Lorenzis e Favale, segugi a caccia di un segugio, fiutano l'usta in giro per Roma, intervistano, incollano ritagli e scrivono una storia centrifuga, frullata in un rotor da luna park, dove nessuna complessità è sacrificata alla reticenza, nessun dolore viene taciuto. Un libro scritto col coraggio della verità.

RECENSIONE Talvolta le catalogazioni di genere sono insufficienti. Mancano di quella flessibilità che sarebbe necessaria per aiutare il lettore a comprendere che tipo di volume sta sfogliando o pensando di acquistare. L’aspra stagione rientra a pieno titolo nel novero che sfuggono a facili etichette, poiché il contenuto è così vario e di diversa interpretazione da non poter essere inquadrato. Prima facie, potrebbe essere considerato una biografia. A un tempo, L’aspra stagione costituisce la biografia di un uomo e di un paese, oltre che un malinconico canto d’amore verso un certo modo di intendere il mestiere. Si parla della storia di Carlo Rivolta, un giovane giornalista che con i suoi appassionati articoli raccontò l’evoluzione politica della sinistra in Italia diventando un columnist di grande prestigio in pochissimo tempo. Le tematiche da lui trattate vanno dal movimento operaio fino alla nascita e alla drammatica ascesa delle Brigate rosse, passando per le proteste all’Università della Sapienza nel 1977. I più giovani forse non conosceranno queste vicende, ma il libro è talmente appassionante e ben scritto da guidare per mano il lettore in un cammino di conoscenza e autocritica che la coscienza civile italiana tende a rimuovere.
Carlo Rivolta fu un giornalista che fece la differenza. Credeva profondamente nel suo lavoro e in un certo modo di fare giornalismo, di leggere la realtà fornendo non considerazioni (più o meno politicizzate), ma la mera, pura verità dei fatti. E questo principio lui lo applicò sin dall’incarico a Paese Sera e poi a Repubblica, il neonato quotidiano che oggi è la seconda testata nazionale, e infine a Lotta Continua, espressione dell’estrema sinistra. Paese Sera era un giornale stampato nel pomeriggio e distribuito nelle periferie urbane con l’aiuto di nugoli di galoppini. Diversa era la concezione dell’informazione: il focus era sul microuniverso, sulla realtà locale. Fu attraverso Repubblica e il Corriere della Sera che avvenne la rivoluzione copernicana del Giornalismo, seguendo l’esperienza portata avanti dalle grandi testate giornalistiche americane: procedendo dal particolare si risale al quadro generale. Carlo Rivolta, così, è un pioniere di questo modo di concepire il giornalismo: la storia del singolo è lo spunto per la grande inchiesta. Con l’orecchio a terra, pronto a cogliere i sommovimenti e le pulsioni della sinistra e dell’estremismo, sempre più frammentata e meno coesa, attraverso la lettura delle spaccature dell'autonomia riesce a raccontare l’anima di un paese che cambia nel periodo che va dal 1977 fin quasi al 1979. 
La Repubblica durante il sequestro Moro E mentre la nazione si arrotola su se stessa scoprendo il fascino del cinismo e della spettacolarizzazione del dolore, Carlo Rivolta comprende di non poter più accettare i cambiamenti che la società e il suo mestiere stanno vivendo. Assiste impotente alle trasformazioni: quell’epoca eroica e meravigliosa del giornalismo si consuma in una fiammata intensissima, piegandosi verso logiche politiche. Non si trattava di un asservimento a logiche di partito, quanto piuttosto di una linea di comportamento da assumere in un momento storico dolorosissimo per l’Italia: il sequestro Moro.
Carlo Rivolta, da sempre vicino al movimento operaio, crede fermamente che si debba trovare una via, un dialogo con le Brigate rosse per consentire una soluzione pacifica della vicenda. Il giornale, i colleghi, il mondo politico, invece, rifiutano questa linea preferendo seguire la linea della fermezza. Un comportamento più che giustificato in quella fase storica, in cui ogni cedimento poteva divenire sinonimo di contiguità. E Carlo cede. Molla il colpo. Nel frattempo, durante una delle sue indagini “on the road”, ha acquistato dell’eroina per un lungo servizio sul mondo della tossicodipendenza romana. Tiene per se una parte di quella roba maledetta e per lui, quell’episodio, rappresenterà l’inizio della fine. 
L’aspra stagione ha molti meriti. Emoziona, coinvolge, spiega, ci aiuta a conoscere un mondo, quello del giornalismo da barricata, che le generazioni successive non hanno mai conosciuto, se non per timidi sprazzi come in occasione di eventi come il G8 di Genova. Ci fa conoscere un giornalista – e un uomo – che avrebbe potuto diventare un grande professionista della carta stampata prima che vi fosse l’invadenza del mezzo televisivo e la presentazione dei casi umani sempre meno umani. Da Alfredino Rampi a oggi, l’informazione è divenuta spettacolo, un frugare senza pudore nel disagio e nella disperazione altrui. La purezza dei reportage di Rivolta, la limpidezza della sua cronaca e la prosa rapida ed efficace rappresentano un raro esempio di giornalismo, difficile ormai da trovare. Soprattutto, questo libro ci restituisce il quadro di una società, quella italiana, e di una città – Roma – fortemente dilaniate dalle tensioni politiche, e lo fa a trecentosessanta gradi: attraverso emozioni, suoni, colori, voci. L’Italia, uscita dall’ubriacatura e dal benessere degli anni Sessanta, si trova a dover affrontare una crisi economica senza precedenti, oltre che un’inflazione galoppante. Molti passaggi di questo volume inducono riflessioni amare, specie se si tiene conto che molte situazioni (crisi economica, disoccupazione, frammentarietà del tessuto sociale) sono spaventosamente simili alla realtà odierna.  L'aspra stagione di Tommaso de Lorenzis e Mauro FavaleCarlo Rivolta morirà nel 1982, a seguito di una caduta dovuta a una crisi d’astinenza. Non aveva smesso di pensare al suo mestiere, mai, anche se i colleghi fingevano di ignorare le siringhe che affioravano dal taschino della giacca. L’eroina ha distrutto la sua vita, le sue relazioni sociali, ha bruciato i ponti con molti colleghi, ma non è stata in grado di eliminare la passione di Carlo per il suo mestiere. Pensava a grandi reportage sul sud, su Napoli e Bari e sulla malavita organizzata. Testimonianza, questa, di una lungimiranza e di un coraggio straordinario, di un modo di vedere le cose che avrebbe potuto fare di lui un grande del giornalismo, come divennero molti dei suoi colleghi (oggi direttori di testata o commentatori di fama). Il volume riporta alcune degli articoli più famosi di Carlo, accostandoli alle testimonianze di chi lo conobbe e lavorò con lui. Con grande pudore viene raccontata anche la storia privata di quest’uomo e delle sue donne: della madre, delle due compagne, dei pochi amici che ebbero la forza di restargli vicino quando l’eroina lo aveva ormai abbrutito. Costruito per blocchi temporali, grazie a una prosa sciolta e graffiante, a un fraseggiare sincopato, con grande chiarezza i due autori restituiscono ai lettori delle istantanee di vita di un paese diverso, di cui ci siamo dimenticati ma che assomiglia in maniera sottile e inquietante alla nostra società.
INTERVISTA Abbiamo intervistato uno degli autori di questo volume, Tommaso de Lorenzis. Ecco cosa ci dice su questo volume che consiglio caldamente.

1. Ciao e benvenuto a Diario di pensieri persi. Innanzitutto, ti va di parlare un po' di te? 

La mia storia è un cliché. Sono uno dei tanti precari dell'industria culturale e – nello specifico – del suo comparto di editoria libraria. Credo di aver ricoperto tutti i ruoli della filiera, lavorando per piccoli e grandi editori, per gli indipendenti e per i marchi dei gruppi, come freelance, consulente o collaboratore con la scadenza bene in vista sui contratti. Ci tengo a dire che la mia formazione viene da un certo mondo controculturale. Ho cominciato – neanche ventenne, a metà dei Novanta – autoproducendo contenuti nei circuiti dei centri sociali. A quei tempi, negli spazi occupati si socializzavano saperi. C'era chi imparava a lavorare sui set, chi suonava, chi metteva le mani sui mixer. Io ho imparato a fare riviste e libri, a curare i testi, a trattare con i tipografi, a distribuire quello che stampavamo in canali improbabili. Per paradosso si potrebbe dire che nasco editore. Ancora oggi che, insieme a Corrado Melluso e Tommaso Giagni, mi trovo a fare il mediatore nel circuito come socio dell'Agenzia Letteraria Vicolo Cannery, continuo a ragionare più in termini editoriali che di mera rappresentanza. Noi scommettiamo sul rigore della selezione, facciamo un lavoro accurato sui testi e puntiamo alla più adatta collocazione di mercato per gli autori che abbiamo scelto di rappresentare. Pochi ma buoni, e nel posto giusto. Soprattutto: quelli che pubblicheremmo se fossimo editori. 
2. Come è nata l'idea de L'aspra stagione? E come è stato lavorare in coppia con Mauro Favale, il co-autore di questo saggio? 
È nata per caso nella primavera del 2007, a Bologna. La storia di Carlo Rivolta – leggendario cronista nella Roma a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, morto giovanissimo, a soli 32 anni nel febbraio 1982 – ci ha trovato prima che noi la cercassimo, saltando fuori dalle pagine di Ali di Piombo (BUR Rizzoli), un libro di Concetto Vecchio che racconta gli eventi del '77 assumendo l'originale prospettiva dei giornalisti di carta stampata. Leggere le pagine che Concetto dedica a Rivolta è stata un'illuminazione. Un pomeriggio di aprile, in un bar di piazza Aldrovandi, con Mauro ci siam guardati e ci siamo detti che era la “nostra” storia. Conosco Mauro da dieci anni. Anche lui, a Bologna, è passato dai giri d'una certa editoria underground, e avevamo già lavorato insieme. Poi, Mauro ha una notevole facilità di scrittura e sa bene come scrivo. Quindi il lavoro in coppia è stato più semplice del previsto. Ovviamente abbiam “passato” e “ripassato” il manoscritto un'infinità di volte. Oggi ci dicono che non si avvertono scarti derivanti dalle quattro mani. Spero che sia effettivamente così... 
3. Carlo Rivolta. Perchè?
Perché quella di Rivolta è una storia – al tempo stesso – unica ed esemplare. Carlo ha seguito come cronista de “la Repubblica”, fondata da Eugenio Scalfari nel gennaio del 1976, i principali eventi della seconda metà dei Settanta e dei primissimi anni Ottanta, raccontando la cacciata di Luciano Lama dalla Sapienza, la violentissima manifestazione del 12 marzo nelle strade della Capitale, il rapimento di Aldo Moro, il terremoto in Irpinia e perfino la tragica vicenda di Alfredino Rampi dai bordi del pozzo di Vermicino. Ma quella di Carlo Rivolta non è solo una grande firma sotto le cronache di celebri eventi. Rivolta ha raccontato fenomeni complessi, mischiando lucidità interpretativa e tragica preveggenza. È stato tra i primi ad occuparsi del traffico di eroina, scrivendone già nel 1976; ha raccontato dall'interno la bruciante ascesa e la rovinosa caduta del movimento del '77; ha documentato la dialettica interna al partito armato, rimediando una condanna a morte delle Brigate rosse. Soprattutto, ha intuito la drammatica fine di una stagione e l'inizio di un tempo nuovo: quei dannati Eighties che noi abbiamo definito il decennio durato trent'anni. Insomma, Carlo Rivolta era il cantore dell'origine dell'oggi, d'una transizione ribollente in cui tanti futuri alternativi sono stati abortiti e troppe possibilità scartate. 
4. L'aspra stagione è un libro complesso, costruito secondo una serie di blocchi temporali, in cui si alternano testimonianze e brani tratti da articoli di giornale. È un testo complesso nella struttura ma estremamente fluido nello stile. Come siete riusciti ad ottenere questo mix così particolare? 
Lavorando in modo ossessivo sulla definizione della scaletta: cioè sul modo di disporre in pagina i molteplici materiali che avevamo raccolto dopo un intenso confronto con le fonti. Ne L'aspra stagione sono impiegate le principali tecniche del montaggio cinematografico: dall'alternanza frenetica di campi e controcampi, per sottolineare la natura corale e centrifuga della narrazione, ai salti temporali in avanti o all'indietro realizzati mediante ellissi, sfocature o dissolvenze, dal montaggio alternato a quello parallelo, a seconda del tipo di legame temporale che volevamo istituire tra fatti differenti. 
5. Dal testo trapela una sorta di nostalgia per un'epoca eroica del giornalismo, quella fatta di telefonate in redazione, giornalisti on the road e articoli impaginati al minuto. Che sensazione hai provato nel descrivere un mondo temporalmente vicino ma in realtà molto lontano per forma mentis e metodo di lavoro? 
Non ho mai creduto alla retorica dei bei tempi andati. Anche perché la vita di Carlo, tra dipendenza da eroina e rottura con “Repubblica”, scazzi con i compagni del movimento e minacce delle Br, gronda noirceur. Di certo è impossibile non provare stupore e ammirazione innanzi a un mondo in cui i giornalisti erano giovanissimi – Rivolta diventa una firma di punta del quotidiano di Scalfari a soli ventisette anni –, i cronisti tenevano ancora il culo in strada e conoscevano direttamente ciò di cui scrivevano, la cronaca era una missione in cui occorreva profondere stile e rigore. Carlo diceva: «La cronaca non è soltanto scandalismo, ma anche storie appassionanti di vita della gente. Sono le storie che stanno alla base dei grandi romanzi: tutta la vita, tutta la politica possibile. Si misura lo spessore umano di un giornale da come dà la cronaca, se fa a brandelli la vita della gente o se cerca di aiutarla». 


6. Quest'anno il premio Pulitzer è andato a testate giornalistiche che fanno informazione on line. Credi che sia questa la nuova, vera strada del giornalismo? E in che termini può cambiare la ricerca delle notizie? 
Il fatto che si rompa il monopolio dell'informazione mainstream può essere un'occasione importante. In un recente passato, soprattutto se pensiamo ai movimenti, lo sviluppo della comunicazione indipendente e del cosiddetto attivismo mediatico ha irrobustito e tutelato le grandi mobilitazioni di massa, finendo per condizionare gli stessi media ufficiali. Io non metterei in concorrenza le due forme di comunicazione, piuttosto punterei a farle interagire conflittualmente. Rispetto al telematico credo che si andrà verso una convergenza tra carta e fibre ottiche. Basti pensare alle piattaforme on line delle varie testate. Le notizie, alla fine, si cercano sempre nello stesso modo, anche se poi vengono diffuse e divulgate in maniera diversa. La carta stampata non può giocare la partita in termini di tempistica, perché rischia di arrivare sempre dopo. Come cambierà l'oggetto-quotidiano, quei fogli che compriamo ogni mattina in edicola, resta un problema aperto. Io credo che sia indispensabile un ragionamento su come si raccontano le cose. 
7. Tornando a L'aspra stagione, qual è stato il momento più emozionante, quello con il maggior coinvolgimento emotivo che avete vissuto nella stesura di quest'opera? Perché si avverte una forte tensione emotiva che rappresenta il quid pluris di questo volume e che coinvolge il lettore lasciandogli addosso una sensazione di rimpianto. 
Senza dubbio la stesura degli ultimi capitoli. La storia si snoda come un climax ascendente che rappresenta una vera e propria cavalcata all'inferno tra eroina che scorre a fiumi, pistole che esplodono piombo, sconfitta catastrofica del movimento e inizio del riflusso. Senza retorica devo dire che, dopo tre anni spesi a ricostruire la vita di Carlo, le ultime cinquanta pagine facevamo fatica a leggerle ad alta voce. 
8. Un grande pregio del volume è la scrittura. Rapida, semplice ma curata. Come siete riusciti ad ottenere questo mix? 
La «rapidità» che riscontri, insieme all'uso della paratassi, dei periodi nominali privi di predicato, è un omaggio a una certa letteratura popolare, quella definita di genere: nello specifico un particolare tipo di crime story. Abbiamo fatto ampio uso delle tecniche d'un certo narrare romanzesco, impiegando i dispositivi della detection, tentando di creare l'effetto suspense e svelando i comprimari della storia in maniera progressiva. Nel libro, poi, ci sono diversi tributi ai nostri romanzieri preferiti: da Wu Ming a Giancarlo De Cataldo, da Giuseppe Genna a Girolamo De Michele. Comunque, rispetto alla lingua, in principio c'è James Ellroy. 
9. Ultima domanda di rito, prima di salutarci. Progetti per il futuro? 
La pubblicazione di un'antologia di articoli di Carlo Rivolta. E poi il “sequel” de L'aspra stagione, sempre con una biografia in punta di penna come lente per leggere un periodo: questa volta direttamente dal cuore nero degli Ottanta.


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