Il partito Radicale è stato definitivamente sbattuto fuori dal Parlamento dai cittadini alle ultime elezioni politiche. La loro leader, Emma Bonino, è riuscita comunque ad accaparrarsi la poltrona del ministro degli Esteri, chissà altrimenti cosa avrebbe fatto il politicamente (e non solo) fallito Marco Pannella che nel periodo di elezione del Capo dello Stato ha distrutto lo studio di Radio 24 perché i due conduttori si sono permessi di dire che l’elezione della Bonino non sembrava necessaria.
Galvanizzati da questa elezione, il partito Radicale dei necrofili italiani ha pubblicato un nuovo video necrofilo in cui sfruttano l’esistenza di una donna malata terminale che s’è fatta uccidere in un centro specializzato in Svizzera accompagnata dal dirigente radicale Marco Cappato. Sergio Romano aveva già messo in guardia da questo comportamento: i Radicali «si sono serviti degli handicap fisici di alcuni fra i suoi più tenaci militanti per creare il “martire” [...] hanno introdotto un elemento emotivo e spettacolare nel dibattito politico, hanno cercato di commuovere anziché di convincere, hanno reso più difficile il confronto argomentato e dialettico su temi importanti come quello del suicidio assistito e del testamento biologico».
Non contenti, i radicali dell’Associazione Luca Coscioni hanno pure manipolato i risultati di uno studio scientifico del «Mario Negri», prestigioso istituto di ricerche farmacologiche di Milano con il quale volevano ancora una volta ingannare quei pochi italiani che danno loro retta per avallare la tesi che nelle rianimazioni italiane si pratichi l’eutanasia clandestina, argomento principe per la legalizzazione.
Silvio Garattini, direttore del «Mario Negri» ha voluto replicare all’Associazione Luca Coscioni: «I dati di quella importante ricerca sono stati riportati in maniera distorta e scorretta, travisando completamente la loro portata e il loro significato». E ancora: «E’ frutto di ignoranza, di superficialità o peggio di malafede porre sullo stesso piano l’eutanasia e la desistenza da cure inappropriate per eccesso, come purtroppo si è visto fare in queste ore. Questa campagna di grave disinformazione non solo è lesiva di un comportamento virtuoso da parte di tanti medici intensivisti, ma impedisce lo sviluppo di una corretta discussione su temi tanto delicati e sensibili all’interno della società civile».
Il 62% citato dai radicali come vittime di eutanasia clandestina, sono in realtà pazienti terminali che non ricevono cure accanite e spropositate quando non c’è più nulla da fare, venendo invece supportati con un’adeguata terapia palliativa per accompagnarli in modo dignitoso alla fine della vita. In questi casi, infatti, i trattamenti intensivi «hanno l’unico effetto di prolungare di giorni o settimane l’agonia del paziente. Diviene allora doveroso desistere dalle cure massimali e mettere in atto quegli interventi, come il controllo del dolore, ma anche il sostegno psicologico e sociale ai parenti, che sono dovuti ai malati nell’ultima fase della vita».
Paola Ricci Sindoni, ordinario di filosofia morale nella facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Messina, nonché vicepresidente di Scienza&Vita, ha affermato: «Di fronte alle persone che hanno paura di soffrire e che pensano a farla finita, il richiamo alla morte cercata appare come l’ultima resa di un umanesimo ormai sconfitto. Non è questa la risposta. Non si può spettacolarizzare il dolore per fini ideologici. Occorre invece restituire dignità al malato, sostenendolo con le cure palliative, con l’accompagnamento dei familiari, la cui speranza è che il proprio caro affronti il momento del distacco non sentendosi mai solo. Il messaggio che viene lanciato è colmo di abbandono e di resa, può apparire anche lesivo della dignità di coloro che ogni giorno affrontano con coraggio e speranza una patologia degenerativa o una diagnosi inguaribile».
Adriano Pessina, docente di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano ha commentato così l’ennesima strumentalizzazione di una persona depressa da parte dell’Associazione Luca Coscioni: «E’ un modo con cui si fa propaganda, utilizzando una persona che ha avuto dei problemi molto seri nel confrontarsi sul suo fine vita e utilizzarla in qualche modo, facendola diventare vittima della propaganda oltre che vittima della malattia. Quando una persona perde anche di coraggio nei confronti della sua situazione, il primo atteggiamento dovrebbe essere quello di aiutare a vivere questa situazione. La nostra cultura ha sviluppato e stiamo sviluppando tutta una serie di attenzioni, che vanno dalla terapia del dolore all’assistenza domiciliare: abbiamo sviluppato un’idea per cui, in qualche modo, il tempo anche della malattia sia un tempo degno di essere vissuto». E ancora: la morte non è un diritto, «questo è un vero paradosso della nostra epoca, perché la morte è la cessazione di qualsiasi diritto. Noi abbiamo sicuramente il diritto di essere assistiti, di essere curati, ma la morte come tale è la cessazione del diritto, la cessazione della cittadinanza. Non è un caso che uno dei segni più grandi – come dire – di esclusione dalla cittadinanza è stata la pena di morte».