Magazine Talenti

L'auriga

Da Gio65 @giovanniparigi

L’AURIGA

In una notte di fine estate, in una piazza italiana, cui la luce lunare e un'arietta tiepida facevano da cornice, si incontrarono, per puro caso, un vetturino, un cavallo e due turisti giapponesi che si erano perduti (cercavano un indirizzo, ma ignoravano addirittura di aver sbagliato città). I due venuti dall'oriente in quell'angolo d' Italia, guardavano la bella piazza prima di accorgersi che non erano soli. Tirarono un sospiro di sollievo quando si accorsero del vetturino, da cui andarono per avere informazioni.

L'uomo fumava assorto un mozzicone di sigaro e osservava i due turisti incuriosito data la tarda ora. Che si fossero persi era evidente, ma non poteva certo immaginare che a quell'ora cercassero addirittura un albergo fuori città. In un buon inglese, i due turisti chiesero informazioni al vecchio, non rinunciando a dare occhiate compassionevoli al cavallo che, con il suo pelame opaco, la criniera inesistente e una lordosi penitenziale, formava una sincrona coppia con il vetturino fermo con l'abbigliamento ai primi del '900. Il vetturino, con un po' d'inglese e molto italiano, rispose alle loro domande circa l'albergo e il paese e disse loro di accomodarsi che ce li avrebbe portati lui. I due turisti, dopo un timido sorriso in risposta alla generosità del vecchio, si persero nei calcoli della convenienza, certamente non economica, ma quella che nasce dal buon senso: come potevano accettare la corsa fatta da una bestiola che poteva morire di lì a due passi, tanto era mal ridotta? Il vetturino, dal canto suo, con gesti decisi li invitava a salire e a non temere né la sua età, né quella del cavallo, ancora capace - a suo dire- di correre come un fulmine se necessario.

«No problem, no problem» ripeteva con un sorriso sicuro il vecchio. La coppia cedé all'invito del cocchiere, certi che fosse meglio per loro, vista l'ora e la situazione, accettare quel mezzo di fortuna. Magari, per rispetto della vecchia bestia, avrebbero intimato al cocchiere di procedere lentamente: nessuno sforzo quindi. Inoltre tutto suggeriva loro l'onestà dell'uomo, che a quell'età e con quel cavallo non poteva certo dirsi lì per truffare gli sprovveduti. E così aprirono lo sportello della carrozza e salirono: prima la signora, poi il marito, che non poté fare a meno di notare sia gli ottoni lucidissimi della maniglia sia l'ottimo stato della carrozza e farlo notare alla moglie, nel tentativo di far apparire la faccenda nient'affatto rischiosa: da un uomo così preciso non c'è che aspettarsi del bene disse alla moglie che annuì deglutendo.

«Oh, Metello» si udì nella piazza deserta. A quell'incitamento al lavoro il cavallo reagì stancamente, come cigolando sulle vecchie zampe; ora un passo ora un altro, coprì i primi metri della strada a fatica. I due turisti, dimenticando gli ottoni lucidi, la carrozza e la gentilezza del vecchio tirarono un sospiro di pentimento misto ad angoscia: si chiedevano come fosse possibile, senza portarne il ricordo per sempre, inaugurare il loro viaggio in Italia con la morte della povera bestia.

I minuti che occorsero al cavallo per percorrere la piazza furono interminabili. Inoltre il vetturino, tra lo sconcerto dei due turisti, non mancava di indicare i palazzi che a suo giudizio erano degni di essere ammirati. Cosa che, date le condizioni della bestia, appariva agli occhi dei due turisti di un cinismo o una follia inaccettabili. Stavano quasi per ordinare al vetturino di fermarsi e farli scendere, quando, svoltato un angolo e imboccata una dritta e ampia via, furono distolti dai loro pensieri da due vigorosi e improvvisi strappi che il cavallo dette al cocchio. I due clienti si guardarono l'un l'altro chiedendosi cosa fosse stato a interrompere quella processione di piccoli e incerti passi con cui il cavallo fino ad allora li aveva spinti. Poi , d'un tratto, il cavallo inalò una quantità inverosimile di aria, tanto che i suoi polmoni si videro gonfiarsi a dismisura. A questo fece seguito un getto potente, con cui espulse tutto quanta l'aria. Il cavallo scosse la testa come a liberarsi dalle briglie e nitrì con tutta la forza di cui disponeva, emettendo un suono che infranse la coltre di silenzio in cui era immersa tutta la via. Si accese addirittura la luce in qualche finestra, per poi subito spegnersi. Ora la bestia non si trascinava più sulle scarnite zampe, ma procedeva a un passo ritmico cui ben presto fece seguito un trotto veloce, poi velocissimo. Il suo pelame era divenuto lucido e la sua nera criniera un folto e lungo ornamento a un esemplare che non avrebbe certamente sfigurato nelle manifestazioni e nelle mostre. Sembrava in piena corsa agonistica quando il vetturino disse: “Allacciatevi le cinture e reggetevi! Si volaaaa. Dimenticavo signora , se sento urlare suo marito significa che ha sbagliato la presa” disse il cocchiere compiacendosi della battuta e calzandosi il cappellaccio prima di spiccare il volo.

A questo punto della storia non è importante descrivere cosa accadde in volo, ma cosa accadde il mattino seguente, quando i due giapponesi presero la malaugurata decisione di rivelar a tutti ciò che era loro successo, compreso il Commissariato di polizia del paese in cui si trovava l'albergo cercato. Perché nonostante quell'avventura ci arrivarono all'albergo e ci pernottarono, sebbene come chi sceso da un aereo si fosse imbarcato su un cavallo, anzi un cocchio con gli ottoni lucidi, lucidi.

Ecco di questo si parlava, all'ora di chiusura, al bar «L'angolo». Bar che era veramente situato all'incrocio di due strade e per questo, senza troppa fantasia, così era stato chiamato dal proprietario. Nel bar si stavano consumando, anzi, si erano già consumati gli ultimi focolai di polemiche, opinioni e supposizioni circa l'accaduto, senza che qualcuno, comprese le autorità, avesse detto se i giapponesi avessero bevuto, mentissero o dicessero la verità. Infatti, la questione si era trascinata per circa un mese tra mille polemiche, complice sia l'ostinata resistenza dei giapponesi nel dire che avevano volato per giungere all'albergo «Aurora», sia la morte improvvisa -anzi la notte stessa dell'accaduto- di cavallo e cocchiere, trovati inspiegabilmente senza vita nei loro rispettivi letti: uno in camera, l'altro nella stalla.

Alla scomparsa del loro principale testimone i due turisti avevano reagito salendo sul palazzo più alto della piazza del paese dove avevano spiccato il volo e mostrarono, a chi assisteva alla scena, un lenzuolo con scritto “Unicolno, unicolno” suscitando l'ilarità della folla che lentamente si era radunata e dalla quale partivano strali del tipo: “Diteci la verità, siete andati a Siena e avete preso un colpo di sole sulla torre del Manga!”.

Insomma per un intero mese non si era fatto che parlare di tutto questo e, se volessimo dare delle cifre, dovremmo dire che il partito dell'unicorno, seppur agguerrito, era in netta minoranza.

Nel bar «L'angolo» anche quella sera tutti avevano detto la loro, tranne “Penna” (soprannominato così per via dei suoi trascorsi nella stampa locale). Avvezzo a poche righe e alla precisione nel descrivere i fatti, se ne era stato in disparte e in silenzio. Era come un bicchiere opaco lasciato per tutta la sera in disparte sia dall'avventore sia dai clienti. Nessuno aveva voluto conoscere la sua opinione fino alla domanda del proprietario del bar che gli chiese: “ Penna com'è che non hai detto nulla?“

“Perché la faccenda non è chiara, non è chiara per niente” rispose secco senza distogliere gli occhi dal giornale che stava leggendo.

“Toh, sei anche tu del partito dei ciuchi volanti?” commentò sarcastico l'avventore continuando a lustrare i bicchieri appena lavati.

“Sarà stato un ciuco, come dici tu, ma io ci andrei pianino a dire che è tutta fantasia. Vedi, tu sei giovane e tante cose non le puoi sapere”.

“Quali cose Penna?” chiese quasi sfottendo il barista che intanto aveva strizzato l'occhio all'altro unico cliente di quella tarda ora.

“Cose da nulla, da nulla... ma che fanno pensare” disse indifferente all'accento ironico che traspariva dalle domande del giovane barista.

“Dai Penna, non ti far pregare! Dicci tutto. Offro io, prendi un birrino"

“No ora è tardi, domani forse” rispose alzando la testa e guardandolo bene in faccia con due occhietti scavati nelle rughe. “Poi che c'è da dire... se avessi sentito come il vetturino declamava l'Apocalisse quando era più giovane capiresti che qualcosa di strano c'è. Era il capitolo sui cavalli, ora non mi ricordo... uno nero, uno rosso... uno verde e uno bianco, mi sembra. Lo stavano tutti ad ascoltare. Una volta fece capannello con il vescovo a discutere di quelle pagine”.

L’Apocalisse? Ci manca la fine del mondo ora” disse l'avventore scuotendo la testa e dando maggior lena allo straccio con cui lustrava i pochi bicchieri ancora nel cestello...

“Sì, era bravo davvero, sai” replicò calmo Penna. “Poi - aggiunse grattandosi la testa- tanti anni fa girarono un film in cui era prevista una scena con delle botticelle... sì insomma...  cavalli e carrozze. La girò lui e quattro suoi amici. Prima di girare la scena sai cosa fecero per divertirsi? Una corsa nelle vie della città dove c'era il set. Vedessi che roba! Meglio di Ben Hur. Era tutto un sorpassarsi! Ora l'uno ora l'altro con quei cavalli che sembravano macchine tanto erano precisi nel rispondere ai comandi e veloci. Gli stranieri, per farti capire, scendevano dalle grondaie con l'assegno in bocca pur di comprare uno di quei cavalli, ma nessuno ne vendé uno. E pensare che avrebbero fatto i signori anche vendendone uno soltanto”.

“Davvero Penna? Quando è successo?” chiese il barista interrompendo il lavoro che stava facendo.

“Mah, quaranta, e più anni fa. Tu non eri nato. E ti dico anche che quando aveva bevuto un po' diceva che aveva corso all'olimpiade del 776 avanti Cristo, la prima di cui si abbia memoria scritta, capisci? Ecco perché tutti lo chiamavano «L'auriga». Mi è dispiaciuto che di questo soprannome nessuno abbia scritto niente sul giornale. Stavo quasi per scrivere al direttore, ma poi ci ho ripensato, a che pro farlo? Di chiacchiere su questa storia se ne son fatte sin troppe. Scommetto che non sapevi niente di quello che ti ho detto”.

“No Penna, non sapevo niente, ma di qui e dire che ha fatto volare due giapponesi alle due di notte ce ne corre, via Penna... ” disse il giovane barista come per esortarlo a un maggior realismo. Poi aggiunse “E' troppo grossa e... vai eccolo! buonasera Sguesh”. disse rivolto a un cliente che inutilmente cercava di entrare aprendo una porta che già era stata chiusa dal barista che aveva intenzione di andarsene a casa.

“Aspetta che aproooo!” quasi urlò incamminandosi verso la grande porta a vetri.

Sguesh era alticcio, per non dire ubriaco, anche quella sera. Molleggiava sulle gambe come era suo solito quando aveva bevuto o diceva di averlo fatto magari con la scusa che fuori era un gran freddo. Infatti anche quella sera si stringeva nel cappottino leggero che indossava come alibi. Appena entrato disse che faceva freddo e che: “Un bicchierino di bianco ci vuole proprio”. Se lo fece versare fino al punto ritenuto sufficiente e poi esclamò: “Sguesh” per dire che il vino era bastante. Accompagnò la parola col solito gesto secco del polso e con le dita della mano destra strette l'una con l'altra come in un saluto militare.

“Se è da stamani che bevi avrai certamente fatto sguesh e risguesh” disse sorridendo il barista, mentre Penna ebbe una smorfia di ilarità e scosse la testa.

“Allora di cosa si discute stasera?” chiese Sguesh.

“Di ciuchi che volano” rispose il barista. Poi aggiunse “Ma potrebbero essere anche qualcos'altro, vero Penna?”

“Potrebbe, io non lo so.”

“Dammi retta Penna, oggi se vola qualcosa sono i piccioni, quelli volano!” e prendendo le chiavi dopo aver sistemato le ultime cose aggiunse “Sguesh, io chiudo. Penna, andiamo a letto” mentre con tono gentile disse all'altro cliente che ormai si era fatto tardi e che il bar chiudeva. Tempo di spegnere le luci e tutti erano lungo la via deserta, spazzata da un leggero venticello.

Il rumore della serranda che si abbassò apparve un po' a tutti come il sipario su una vicenda che aveva infiammato la fantasia di molti. Quel rumore brusco diceva che ormai gli ultimi focolai di opinioni e polemiche si erano spenti, in attesa di qualche altro piccolo o grande incendio che ravvivasse lo stanco ménage tra la città e i suoi abitanti. Quello di Penna, in fondo, era stato l'ultimo tentativo di salvare il partito dell'unicorno. Tentativo andato non a buon fine, ma, come vedremo, non del tutto inutile.

“Penna, vieni qua” disse Sguesh ormai all'angolo della strada “Ho da dirti una cosa”

“E' tardi Sguesh, proprio due parole” rispose Penna guardando l'orologio.

“Anche meno di due, ascolta!” disse invitandolo con una mano ad avvicinarsi “Come sai mio nonno faceva il ciabattino, insomma aggiustava e faceva le scarpe, ma poi...”

“Dai Sguesh, falla corta” disse stizzito Penna.

“Insomma conosceva bene anche quello che fa le scarpe ai cavalli... come si chiama? “

“Maniscalco si chiama, maniscalco” disse Penna in procinto di perdere la pazienza.

“Ecco, bravo Ma -ni-scal- co. E' importante sai, senza il maniscalco i cavalli ...insomma non camminano. Ecco , mio nonno conosceva il maniscalco del cavallo che dicono che sia volato, il cavallo dell'Auriga, insomma”.

“Toh, e tu come che sai che lo chiamavano così? Neanche sul giornale c'era scritto” chiese sorpreso Penna. Sguesh rimase un attimo come assorto. Poi disse “ Mio nonno me l'ha detto, anzi da bambino mi diceva sempre di portare uno zuccherino a Metello. Ma lasciamo andare. Il fatto è che le cose bisogna saperle, non si può chiacchierare e basta come hanno fatto tutti. Bisogna saperle ed io le so Penna” disse queste ultime parole con una lucidità che sorprese Penna, tanto da farlo dubitare che fosse ubriaco, perché il suo tono era tranquillo, freddo, insomma del tutto diverso da quello chiacchierone sin lì usato da Sguesh.

“Che sai” chiese serio Penna.

“ Mi hai detto di farla corta ed io te la faccio corta. Sotto lo zoccolo della zampa posteriore destra il cavallo aveva una stella d'oro, Penna, una stella d'oro”. Sguesh si strinse nel cappottino e lentamente si girò, lasciando Penna nello sconcerto.

“Ti ho detto tutto cronista- disse Sguesh voltandosi di nuovo-, ora sta a te risolvere il caso, e un modo c'è. Io vado a letto”.

“Ascoltami” chiese Penna con gli occhi sbarrati “Ma sei ubriaco o che?” e come risposta ebbe un laconico: “Sgueshhhh...” che lasciò Penna ancor più attonito. Un dubbio si era ormai fatto strada nella sua mente. Tutto quanto aveva riferito sull'Auriga al barista e che lo induceva a credere ai due giapponesi aveva trovata la sua conferma nelle parole di Sguesh, un alcolizzato. Che fare? Credere o meno alle parole di un ubriaco? E ammesso che dicesse la verità come provarla? Il cavallo era stato cremato, per cui la sua eventuale stella d'oro era sicuramente andata perduta, e di giorni ne erano passati tanti. Ma se quel pazzo ubriaco aveva detto quella storia incredibile proprio ora un motivo doveva esserci come doveva esserci il modo di sincerarsi di ciò che Sguesh aveva detto.

“Aspetta un attimo, vecchio rincoglionito!” disse ”Se il cavallo aveva una stella d'oro sotto lo zoccolo l'avrà sicuramente battuta con forza nel trotto e se l'ha battuta con forza può darsi che abbia lasciato traccia nel selciato! Potrebbe essere ancora lì l'impronta”. Convinto che quella fosse la soluzione s'incamminò velocemente verso la strada in cui si diceva che il cavallo avesse preso il volo. Intanto si frugava nelle tasche alla ricerca dell'accendino che lui, nonostante non fumasse, portava sempre con sé. Giunto alla via la osservò con attenzione. Calcolò all'incirca il punto dove il cavallo poteva aver raggiunto la sua massima corsa e si piegò. Accese l'accendino e comincio a guardare il selciato in contro luce ala ricerca di tracce. A un tratto gli sembrò di vedere brillare. Si mise gattoni e percorse con l'accendino acceso alcuni metri, fino a quando non trovò una vera e propria stella ben impressa in terra . Cosa che lo spinse a procedere più speditamente alla ricerca dell'altra. E ogni volta che ne trovava una aumentava la sua andatura. Non volendo stava mimando la corsa del cavallo, quando a un tratto un refolo di vento fece sollevare una carta lungo la strada. Il foglio si alzò in un volo di pochi centimetri.

“Bravo Penna. Ha preso il volo proprio in codesto punto” si sentì dire alle spalle. Era Sguesh che dall'inizio della via aveva assistito a tutta la scena “Proprio in codesto preciso punto. Sei un segugio Penna!” disse sorridendo Sguesh

«Ascolta, te l'ho chiesto prima e ora te lo richiedo: ma sei ubriaco o prendi in giro?»

«Sgueshhhh...» rispose mimando, con il braccio teso verso il cielo, un aereo, anzi, un cavallo che prende il volo.

 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine