Due anni or sono fu sufficiente l’eruzione di un vulcano dal nome impronunciabile nel luogo più remoto d’Europa (lasciamo perdere la Groenlandia che geograficamente fa parte del continente americano) per mandare in tilt il traffico aereo dalla Scandinavia alle sponde del Mediterraneo e provocare l’assalto al treno e al pulmino, a prezzi esorbitanti, da parte di innumerevoli viaggiatori improvvisamente appiedati.
La libertà e la rapidità di movimento, vanto della nostra civiltà tecnologica, è stata improvvisamente annullata da un semplice sussulto geologico, neanche lontanamente paragonabile ai grandi sconvolgimenti che hanno segnato la storia dell’Umanità. Uno per tutti, l’eruzione di Santorini, che contribuì alla fine della civiltà minoica e, secondo i soliti visionari, in base a una mal digerita lettura del Timeo e del Crizia di Platone, avrebbe addirittura provocato la scomparsa della civiltà atlantidea.
Nel 1883, nello Stretto della Sonda, vi fu la catastrofica eruzione del vulcano Krakatoa, che provocò in tutto il mondo curiosi effetti meteorologici. Secondo alcuni studiosi, gli irreali e inquietanti colori dell’Urlo di Munch, dipinto dieci anni dopo l’eruzione, non sarebbero il riflesso del suo tormentato mondo interiore, ma riprodurrebbero realisticamente il cielo norvegese sotto l’effetto provocato dalle ceneri del vulcano.
Una chiave di lettura forse discutibile, l’angoscia di Munch viene dal profondo e non ha bisogno di essere stimolata da occasionali fenomeni naturali, ma non priva di fascino e che ci induce a rileggere quella che possiamo considerare l’icona più rappresentativa e sconvolgente della “disperazione“, alla luce del rapporto fra la forza della natura e la costituzionale debolezza della creatura umana.
La nostra civiltà e le più ambiziose delle sue conquiste possono essere messe in discussione o addirittura vanificate da un qualunque fenomeno naturale, anche di lieve entità, di fronte al quale ci riconosciamo come quegli esseri inermi che siamo. La nostra superbia e la nostra illusione di onnipotenza non reggono neanche al cospetto del minimo sussulto o del minimo rigurgito di quel puntino azzurro, alla deriva nell’universo, che è la nostra casa.
I nostri aerei supersonici, i nostri treni ad alta velocità, i nostri bolidi a quattro ruote, che ci hanno dato l’illusione di annullare le distanze e di dominare lo spazio, possono diventare oggetti inutili, a causa di un evento imponderabile che si verifica a migliaia di chilometri di distanza, come un’eruzione vulcanica, o a causa di una frana o del crollo di un abete che interrompe una linea elettrica o di una qualunque crisi energetica, come quella del ’73.
E allora torniamo ad essere quei bipedi lenti e impacciati che, per di più, hanno perso l’abitudine di camminare e, all’occorrenza, non possono ricorrere neanche a un cavallo o a un somaro, come i nostri antenati.
Ci troviamo paralizzati, impotenti, come mai sarebbe potuto accadere nei tempi passati, in cui il rapporto fra spazio e tempo era regolato da ritmi naturali e non stravolto da quello della macchina, senza la quale ci troviamo oggi in una condizione che ci fa piombare in uno stato di inferiorità anche nei confronti di un Sumero o di un Egizio.
Federico Bernardini
Illustrazioni: Edvard Munch, fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Edvard_Munch_1933-2.jpg
Krakatoa, fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Anak_Krakatau.jpg