In un tempo come il nostro, in cui il cinema che sia d'animazione o di personaggi reali in carne ed ossa appare sempre meno fantasioso e magico di un tempo, L'illusionista di Chomet, autore del pregevole Appuntamento a Belleville, si presenta come un'inaspettata, forse poi non tanto, eccezione, tanto da non tradire e deludere le aspettative con questo suo nuovo lavoro, mirabile e necessario recupero di una sceneggiatura dimenticata e mai realizzata di Jacques Tati, che rivive con gli adattamenti del caso grazie al tratto delicato e oggigiorno fuori dal tempo, come il suo protagonista, dell'autore francese.I maghi non esistono, come c'insegna l'illusionista e non è più tempo per trucchi di prestidigitazione, per quanto prodigiosi e rassicuranti essi possano apparire per chi li fruisce, ma Tatischeff impara col tempo e con il lento declino della sua arte e di coloro che come lui giocano su un'apparenza che non è fine a se stessa o ingannevole, ma un piacevole diletto che ci potrebbe donare un'ingenuità perduta, che è proprio a confronto con il mutare dei costumi e degli eventi, di un progresso inevitabile e necessario, il momento di comprendere la propria estraneità rispetto ai tempi moderni, come il Monsieur Hulot, alter ego di Tati che viene rievocato dai disegni dell'autore e anche in un cinema in cui lo stesso si rifugia.L'illusionista è un'opera intrisa di malinconia, cui difficilmente si può rimanere insensibili, perché non vi è ricatto, ma rispetto per una figura emblematica come quella del suo autore primigenio, in grado di rappresentare le assurdità di una vita moderna, ipercinetica, in cui i silenzi, le goffaggini del suo protagonista erano un perfetto contraltare ironico a tutta questa apparente perfezione.Chomet è rispettoso di questo aspetto e lo traspone, facendolo suo, come aveva saputo fare con il suo precedente lavoro, regalandoci una storia fuori moda, lontana dalle tecnologie vuote di senso e significato nella maggior parte dei casi, che si potrebbe consigliare più agli adulti che ai bambini, per riscoprire una magia, quella del cinema, che spesso pare perduta, imparando ad attendere la fine della storia e a guardare i silenzi di cui è intrisa sino alla conclusione dei titoli di coda per strapparci ancora per una volta un sorriso amaro.
Magazine Animazione
In un tempo come il nostro, in cui il cinema che sia d'animazione o di personaggi reali in carne ed ossa appare sempre meno fantasioso e magico di un tempo, L'illusionista di Chomet, autore del pregevole Appuntamento a Belleville, si presenta come un'inaspettata, forse poi non tanto, eccezione, tanto da non tradire e deludere le aspettative con questo suo nuovo lavoro, mirabile e necessario recupero di una sceneggiatura dimenticata e mai realizzata di Jacques Tati, che rivive con gli adattamenti del caso grazie al tratto delicato e oggigiorno fuori dal tempo, come il suo protagonista, dell'autore francese.I maghi non esistono, come c'insegna l'illusionista e non è più tempo per trucchi di prestidigitazione, per quanto prodigiosi e rassicuranti essi possano apparire per chi li fruisce, ma Tatischeff impara col tempo e con il lento declino della sua arte e di coloro che come lui giocano su un'apparenza che non è fine a se stessa o ingannevole, ma un piacevole diletto che ci potrebbe donare un'ingenuità perduta, che è proprio a confronto con il mutare dei costumi e degli eventi, di un progresso inevitabile e necessario, il momento di comprendere la propria estraneità rispetto ai tempi moderni, come il Monsieur Hulot, alter ego di Tati che viene rievocato dai disegni dell'autore e anche in un cinema in cui lo stesso si rifugia.L'illusionista è un'opera intrisa di malinconia, cui difficilmente si può rimanere insensibili, perché non vi è ricatto, ma rispetto per una figura emblematica come quella del suo autore primigenio, in grado di rappresentare le assurdità di una vita moderna, ipercinetica, in cui i silenzi, le goffaggini del suo protagonista erano un perfetto contraltare ironico a tutta questa apparente perfezione.Chomet è rispettoso di questo aspetto e lo traspone, facendolo suo, come aveva saputo fare con il suo precedente lavoro, regalandoci una storia fuori moda, lontana dalle tecnologie vuote di senso e significato nella maggior parte dei casi, che si potrebbe consigliare più agli adulti che ai bambini, per riscoprire una magia, quella del cinema, che spesso pare perduta, imparando ad attendere la fine della storia e a guardare i silenzi di cui è intrisa sino alla conclusione dei titoli di coda per strapparci ancora per una volta un sorriso amaro.
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