“Vi prometto che la nostra energia, i capitali, le conoscenze e l’esperienza saranno destinati a una cosa e una cosa soltanto: consegnarvi il campionato che da tempo vi meritate. LeBron ha bisogno di andare in una squadra con altre due stelle per vincere un titolo, ma lo vinceremo prima noi degli Heat.”
Così la pensava Dan Gilbert, proprietario dei Cleveland Cavaliers dopo che il suo ex giocatore prediletto, LeBron James, aveva deciso questa estate di cambiare aria e maglia passando a Miami e portando il suo talento a South Beach.
Che la stagione di Cleveland sarebbe stata molto difficile si sapeva già nel momento in cui LBJ ha dichiarato quelle fatidiche parole allo spettacolo di ESPN chiamato “The Decision“; un’intera comunità, che nello sport fatica parecchio da sempre, era sulle spalle, anche piuttosto grandi dell’ex numero 23, e una volta partito lui è caduto tutto.
Alcuni addetti ai lavori e non pensavano che la partenza del Prescelto sarebbe stato sì un grossissimo problema ma che quello che è stato in questi anni il supporting cast sarebbe riuscito a cavarsela anche da solo, per lo meno giocarsela con le Indiana, Toronto e Philadelphia del caso, che al momento stanno lottando per l’ottava posizione nella Eastern Conference.
Niente di più lontano da questo, invece, perchè la squadra allenata da coach Byron Scott ora si trova all’ultimo posto ad Est, ha vinto una partita nelle ultime ventidue giocate… lo ripeto: 1 vittoria e 21 sconfitte ed è in un periodo di crisi incredibile e da cui è davvero difficile uscire, specialmente nella NBA dove si gioca di continuo e la possibilità di recupero fisico e mentale non esiste.
I giocatori presenti a roster, inoltre, stanno pagando parecchio il minor spazio a disposizione sul parquet rispetto a quanto ne avevano gli anni scorsi quando le difese erano più preoccupate di chiudere l’area per evitare che “quell’altro” facesse troppi punti. Jamison è l’unico che sta viaggiando a cifre discrete (16.1 punti e 5.9 rimbalzi) ma il suo impatto non è neanche lontanamente paragonabile a quello che aveva quando è stato chiamato per l’All-Star Game solo qualche stagione fa (21.4 punti e 10.2 rimbalzi).
Williams e Gibson, poi, si stanno dimostrando per quello che sono, due buoni giocatori (il primo meglio del secondo) ma di certo non in grado di prendersi sulle spalle una squadra intera, o meglio, una franchigia intera. Perchè James era La Franchigia e non un semplice giocatore. Williams viaggia a 14.1 punti e 7.2 assist in confronto ai 15.8 punti e 42.9% da tre, mentre Gibson segna 13.7 punti e tira con il 41.2% dal campo rispetto ai 6.3 punti e al 46.6%.
L’anno scorso a questo punto i Cavaliers erano 28-10 di record, mentre oggi sono 8-30, un confronto davvero improponibile e che rafforza, ovviamente, la posizione di LeBron James.
Scott può fare poco, il materiale che ha in mano è quello che è e la franchigia sembra scontato stia pagando lo scotto di una serie di buone stagioni e ora dell’inevitabile ricostruzione. Gilbert potrà dire quello che vuole ai tifosi dei Cavs, ma anche loro sanno benissimo che il bel sogno di questi anni è finito e da settembre si è ufficialmente entrati in un incubo.