Magazine Diario personale
Non rimpiango nemmeno un po’ la precedente, quella che, dopo qualche mese dal divorzio, si presentò in studio con i capelli tinti di un turchino brillante.
Forse avrei dovuto capire che non era più una persona affidabile, non solo per i capelli - ho sempre pensato, in contrasto con l’edonismo imperante, che l’abito non faccia il monaco - ma, più che altro, perché totalmente succube di facebook e internet.
Essere il primo cliente della giornata non serviva ad evitare un’attesa di almeno mezz’ora, durante la quale, l’emula della fata turchina, si perdeva nei meandri di facebook, farmville e post vari. Probabilmente anche le prestazioni risentivano della smania di riprendere ciò che era stato malamente interrotto da pazienti bisognosi di cure, tanto che ora mi ritrovo a dover risistemare praticamente tutto quello che ha incautamente fatto alla mia povera bocca.
Per questo non posso che apprezzare la velocità e l’uso generoso dell’anestesia di questa nuova dentista che, incredibilmente, appare come un incrocio fra quella vecchia e Rosy Bindi se fosse più magra di una ventina di chili.
E apprezzo pure l’obbligo di transitare davanti a tre librerie prima di arrivare al suo studio. Cosa che mi consente di consolarmi - come un bambino piccolo - acquistando un piccolo regalino ad ogni seduta.
L’ultimo è stato Le cazzate che dice mio padre di Justin Halpern, libro nato come sempre per caso, nel quale l’autore racconta di un lessico famigliare composto da perle di comica saggezza elargite dal vecchio padre. Tanto per dirne una: “A volte la vita ti lascia una banconota da cento dollari nel cassetto, e solo molto più tardi scopri che era un ringraziamento per avertela messa nel culo”.
Lo so che a un occhio ipocrita possono sembrare bizzarrie volgari e di basso livello ma, tanto per mettere le cose in chiaro, pare che il vecchio genitore si occupasse addirittura di medicina nucleare e tenesse conferenze nelle università.
In effetti è una cosa che non mi meraviglia più di tanto, visto che è più o meno lo stesso modo di parlare che ho sempre avuto anch’io, anche se posso capire che non è la norma nella maggior parte delle famiglie che, però, mi permetto di giudicare un tantino ipocrite e perbeniste.
Ma quello che più mi ha conquistato di questo libro è che, benché il padre possa apparire burbero, scostante, cinico e sboccato, ha grande considerazione del figlio, lo sprona, gli dice che è una persona in gamba e, anche i castighi che gli infligge, sono sempre accompagnati da un dialogo franco, alla pari.
Allora il linguaggio volgare non ha più grande importanza, anzi, crea una maggiore risonanza all’amore verso i figli, alla voglia di insegnare loro che la vita è bella, ma a volte fa anche schifo, è una bastarda e bisogna sempre combattere senza paura di quelli più grossi di noi. “Non ti devi spaventare per quanto è grosso un buco del culo, ma dalla quantità di merda che è in grado di produrre”.
Ecco perché avrei preferito un padre che dicesse parolacce e raccontasse metafore sconce, che parlasse col proprio figlio, gli dicesse di volergli bene, che era in gamba, invece di un padre che non c’era mai se non nel momento del castigo serio, quello di quando l’avevi fatta grossa, o almeno, grossa agli occhi di mia madre, anche lei priva di un linguaggio anche lontanamente scorretto, ma che attraverso un’opera di sottile plagio, mi riduceva a un pupazzetto voodoo nelle sue mani.
Insomma, trattami male, usa un linguaggio scurrile quanto vuoi, dì pane al pane, ma cagami, considerami come un essere umano con la sua personalità, le sue debolezze e fragilità, ma pur sempre una persona, non un’icona da portare nel cuore perché tanto sei sempre fuori casa, o come un pupazzetto, un bambolotto stuprato da una bambina viziata e stupida.
Ecco forse qual è il destino peggiore: l’indifferenza, la falsa comprensione, l'ipocrisia, il perbenismo, le belle parole non seguite dai fatti. Gheddafi è un mostro, un dittatore, un povero pagliaccio sanguinario, ma al di là delle parole, la comunità internazionale gli permette di massacrare il suo stesso popolo in nome di interessi o paure. Il Giappone è in ginocchio; i cadaveri galleggiano sul mare, infestano le spiagge, marciscono sotto le macerie, un terremoto, uno tsunami e un disastro nucleare hanno gettato questo popolo che, forse ingiustamente, ho considerato stupido e xenofobo, in un incubo da dopoguerra fatto di fame, paura e incertezza verso il futuro. Ma ci si preoccupa solo di dire che il nucleare è l’unica via, anzi, come dice quel povero vecchio presuntuoso di Umberto Veronesi, è l’energia pulita del futuro. A proposito, primo o poi racconterò - per esperienza diretta - di quanto fosse stronzo il profeta del cancro che in televisione sorride a ottanta denti. Come chiamare tutto ciò se non indifferenza? La stessa che uccide i popoli e rovina i bambini.
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