Continuo a pensare a Cassandra che grida ai troiani: non toccate quel cavallo! Nessuno le diede retta, perché era una profetessa maledetta e perché comunque le cose potevano andare in un modo solo, e così il cavallo fu accolto dentro Troia e la città venne distrutta.
A nessuno piace passare per pazzo, ma è ancora peggio passare per mostro, per persona senza cuore, ed è per questo che mi sono trattenuta così a lungo dall’intervenire sul tema dei costanti arrivi di migranti e delle tragedie in mare. Ho scoperto di essere più estrema persino di Salvini, e questo è un fatto davvero inquietante. Me lo sono tenuta per me, non ho detto niente, ma adesso non ce la faccio più.
Io penso che l’Italia sia più che piena, straripante, che per non morire tutti di fame o qualche altra catastrofe in un tempo non tanto lontano dobbiamo decrescere più rapidamente possibile sia di numero che come consumi, e uno dei modi meno crudeli di farlo sia dire: basta, adesso non entra più nessuno. Nemmeno i richiedenti asilo.
Il diritto di asilo è una creazione umana, e come tutte le creazioni umane può finire quando le circostanze lo richiedono. Se può essere un’idea generosa accogliere qualcuno che è perseguitato nel suo paese, adesso i perseguitati sono troppi e i numeri non lo consentono più: tra guerre, crisi economiche, disoccupazione di massa e catastrofi ambientali i potenziali richiedenti asilo solo miliardi, e ognuno con, dal suo punto di vista, ottime ragioni per scappare e venire accolto. Mi sembra evidente che tutti i richiedenti asilo attuali, per non parlare dei potenziali, non ci possono fisicamente stare né in Italia né in Europa. L’Italia e l’Europa, contrariamente alla percezione degli aspiranti migranti, sono terre stremate dalla distruzione dell’ambiente, dalla crisi economica, dal crescere delle disuguaglianze, da una complessità ormai ingestibile, da ideologie sbagliate e soprattutto dallo sfruttamento eccessivo delle risorse: sono vampiri che vanno avanti solo succhiando il sangue altrui; chiunque abbia occhi per vedere si è accorto che sono ormai carcasse spolpate, e il fatto che una carcassa spolpata sembri un paradiso a masse enormi di esseri umani è solo una prova di quanti errori ha commesso nella sua storia la mia specie, fino al punto di impazzire completamente. L’Europa ha bisogno di un periodo di riposo per poter di nuovo sostenere una civiltà, di qualcosa di simile al Medioevo dopo l’Impero Romano, e invece cosa fanno i suoi abitanti? Dicono: avanti, ancora, di qua, c’è posto, di più, di più! Tornerà tutto come prima, più di prima, avanti, c’è posto anche per voi!
Si parla di migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di persone pronte a partire dalla Libia per venire qui e restarci; per non parlare di quelle che giungono quotidianamente, invisibili ai più, attraverso il confine orientale, cioè quello che è a pochi passi da dove sto io. Ma, al di là di queste previsioni che rimbalzano sui media, non è possibile sapere davvero quante persone sono “pronte a partire” – se chi è già partito ce la fa, magari anche i suoi parenti, amici e conoscenti vorranno seguirlo. Le migliaia già pronte potrebbero moltiplicarsi per cento, per mille… E allora cosa succederà, ci ritroveremo l’intera umanità su barconi fatiscenti nel Mediterraneo o ad arrancare nel deserto tra Stati Uniti e Messico?
Si sente spesso dire che gli italiani sono stati migranti, e quindi adesso dovrebbero essere generosi. Innanzitutto, noi non abbiamo né meriti diretti né colpe per quello che è stato fatto dai nostri antenati. E poi, se è per questo, gli italiani oltre che migranti sono stati colonizzatori, invasori, massacratori, hanno portato la mafia, gli attentati anarchici, il cattolicesimo (non da soli), e, persino quando lavoravano e basta, in posti come la Francia e il Belgio erano spesso malvisti e sgraditi perché erano disposti a tutto e rubavano il lavoro – ricorda qualcosa? La grande epopea della migrazione italiana nelle Americhe, additata come esempio di migrazione “buona” e desiderata, che ha portato prosperità a entrambe le controparti, è stata resa possibile solo grazie a una serie di genocidi su scala continentale derivanti dall’avidità e dalla sovrappopolazione del continente europeo e da alcune dinamiche locali di cui gli italiani, ignoranti in senso lato e disperati proprio come i migranti che bussano alle nostre porte, non sapevano nulla e se ne fregavano altamente. Gli italiani sono andati in America, in Australia e in Canada solo perché qualcuno aveva violentemente ripulito per loro questi paesi dagli abitanti precedenti (che a loro volta, parrebbe, avevano procurato col loro arrivo l’estinzione di gran parte della fauna di grosse dimensioni che vi avevano trovato, giusto per dire che forse sarebbe meglio che gli esseri umani non andassero mai da nessuna nuova parte).
Nell’epopea migratoria italiana ci sono un sacco di storie interessanti e un sacco di crimini che l’hanno seguita o anche solo resa possibile. Va studiata, ma non glorificata. Inoltre, avvenne in un mondo ancora in espansione economica e molto meno popolato ed esaurito di ora. Il mero fatto dell’emigrazione italiana non ci aiuta in nessun modo a capire cosa fare ora, se non nella comprensione delle motivazioni di chi sta arrivando, o meglio: di chi ci sta invadendo.
Noi stiamo subendo un’invasione vera e propria, ma siccome è un’invasione pacifica, anzi supplichevole, non la riconosciamo come tale. La storia sembra insegnarci che esistono le invasioni violente, gli Unni o i nazisti per capirci, e poi i richiedenti asilo e i poverini. Ma la divisione non è così netta. Alla lunga, un’invasione pacifica può avere conseguenze devastanti tanto quanto un’invasione violenta. Perché i barbari premevano alle porte dell’Impero Romano (nei confronti dei quali, lo sottolineo, sono tanto anti-imperialista quanto può aver senso essere anti-imperialista nei confronti di un fatto ampiamente concluso)? Per una serie di motivi tra cui la crescita demografica eccessiva rispetto alle risorse e la mancanza di opportunità in patria (Longobardi, Vichinghi), la fuga da aggressioni che loro stessi subivano, la debolezza del nemico, l’individuazione di opportunità… nei nostri tratti, nelle nostre lingue, portiamo le tracce di queste invasioni. I nostri discendenti probabilmente porteranno allo stesso modo le tracce delle invasioni che stiamo subendo ora – non nutro molte speranze che si possano fermare, come vedete. Pochi fanno questa analogia, perché i barbari, lo dice il nome stesso (iron.), erano violenti e cattivi, nonché non civilizzati (tranne che secondo i leghisti), per cui “invadevano”, mentre i migranti attuali sono disarmati e imploranti, per cui “bussano”.
Ma l’attuale immigrazione non sempre è pacifica: i richiedenti asilo non vogliono farci del male, anche perché non ne avrebbero alcun vantaggio, ma chi li porta qui non si fa scrupoli a violare le nostre leggi e la loro dignità e ultimamente, parrebbe, anche a tirar fuori le armi.
Al di là di questi episodi, finora isolati, l’arma più potente brandita dagli attuali invasori sono le nostre istituzioni – e il nostro ampiamente giustificato senso di colpa collettivo. Come ho già raccontato, mi è capitato di assistere a un’assemblea di richiedenti asilo eritrei ed etiopi a Roma. Sono rimasta colpita non solo dalla terribile situazione in cui si trovavano, ma anche da come il loro linguaggio fosse pieno di pretese, soltanto pretese. Non ci fermeremo finché non otterremo i nostri diritti, dicevano. Erano venuti qui per pretendere un trattamento, senza offrire nulla in cambio – cosa potevano offrire? Nemmeno volevano rimanerci, in Italia. Puntavano al nord, dove avevano già parenti ad aspettarli. Erano arrabbiati, perché non avevano quello che volevano, quello che attraverso le leggi e i trattati internazionali l’Italia si era già impegnata a dare e però non stava dando. La questione dell’essere graditi o meno, del poter contribuire o meno alla comunità che li accoglieva, non sembrava porsi nemmeno – avevano altri problemi. Si stavano comportando, sostanzialmente, da parassiti. È brutto da dire, e non voglio in nessun modo negare la loro umanità e la loro sofferenza, ma la mia impressione fu quella e non fu solo la mia.
Certo, molti dei richiedenti asilo sono disposti a lavorare, con grande buona volontà e nonostante le regole non lo permettano, tra l’altro. Ma anche il numero crescente di italiani disoccupati è disposto a lavorare. Chi viene prima?
Ricordiamoci una cosa: gli italiani hanno un legame con l’Italia. I migranti, a meno che non siano qui per interesse culturale specifico o per amore, non ce l’hanno. Per loro l’Italia, la Svezia, l’Inghilterra… è tutto uguale. Basta scappare e potersi rifare una vita. Anzi, alcuni di loro, in Italia, dicono apertamente: questo è un paese di merda, vogliamo andare via. Anche gli italiani dicono lo stesso, e infatti: ben ci sta che il paese stia effettivamente andando a puttane, con questo genere di atteggiamento. Ma sentir dire “questo è un paese di merda” da persone che comunque da questo paese stanno ricevendo qualcosa in cambio di nulla, e chiedono ancora di più, fa francamente incazzare.
Solo che queste cose non le racconta nessuno perché chi parla di immigrazione o non ha interesse a farlo, perché ci lavora, oppure è talmente rimosso dalla realtà, perché privilegiato, che pensa di poter applicare categorie astratte e misericordiose a una realtà che invece è concreta e terribile.
Io mi rendo perfettamente conto che nascere in Italia da genitori italiani è un caso e, per lo meno fino ad ora, un privilegio. Nulla mi rende migliore di un migrante su un barcone, lo so benissimo, però al tempo stesso questa è la mia terra e non la loro, e mi aspetterei la stessa cosa, a rovescio, se io andassi nel paese di provenienza di queste persone. Ci andrei a vivere solo se avessi la sensazione di essere gradita – così come essere accettata nel paese in cui sono è per me fondamentale. Chi è nato in un posto ci è nato per caso, è ovvio, eppure, se oltre ad esserci nato ci è anche vissuto, ha un legame maggiore con quel posto di chi non ci è nato e vissuto, e quindi può avanzare delle pretese quando si tratta di decidere a chi dare la priorità – ci ho messo tanto ad arrivare ad accettare questo tipo di discriminazione, ma ora la accetto. Ha dei limiti, ma ci credo ed è una discriminazione basata sull’esperienza reale e non su idee astratte.
Cerco anche di essere coerente, anche se è più facile non essendo nata in Siria o in Eritrea. Ma io ho scelto di stare qui nella buona e nella cattiva sorte, perché anche se non muoio di fame o non ho la guerra in casa, per ora, non è facile neanche per me. Ho fatto già delle rinunce e voglio credere di poterne fare ancora se necessario, di saper restare con la mia gente, la mia comunità e la mia terra, per difenderle. Anche se la mia gente e la mia comunità spesso maltrattano questa terra e ignorano questi legami che professo e io ogni tanto mi chiedo se si meritino tutto questo.
La parte più terribile e più inconfensabile della mia opinione sulle migrazioni di massa è che faccio fatica, e me ne vergogno, a empatizzare con chi abbandona la propria terra per salvare se stesso e la propria famiglia. Lo so, è naturale, lo so, non si può pretendere che tutti siano eroi. So anche che la responsabilità che si sente nei confronti dei propri bambini può essere più grande di quella che si sente nei confronti del proprio popolo, soprattutto quando questo popolo si comporta in maniera folle o si ritorce contro di noi. Ma perché diavolo fare bambini se moriranno di fame, se dovrai trascinarteli nel deserto per scappare dalla guerra?? Perché ci sono così tante donne incinta o con bambini su quei barconi? Tutte solo vittime di stupro? Sono un mostro io, o chi mette al mondo creature in condizioni del genere?
Restare per difendersi è possibile. Guardiamo i curdi. È vero, tantissimi sono già da un pezzo stabiliti in altri paesi; tanti fuggono ora. Ma tanti anche rimangono, o addirittura ritornano, e muoiono per difendere la loro terra. Anche molti ucraini, in una guerra strana fraintesa da tutto l’Occidente, vanno a combattere per patriottismo. Mi si dirà: brava, tu vuoi che combatta ancora più gente della tanta che c’è già con le armi in mano. Bella soluzione. No: io voglio che la pace sia qualcosa che si crea, non qualcosa che si prende, e che ognuno cerchi di portarla nel proprio paese anziché approfittarsi di quella altrui, rischiando così peraltro di distruggerla. I tanti migranti che stanno venendo qua in cerca della pace si stanno comportando in modo comprensibile, non lo nego, ma estremamente egoistico. Perché non lasciano che noi teniamo faticosamente in piedi la nostra pace e loro non ci chiedono semmai consigli per costruire la loro? E non è forse possibile che, anziché trovare la pace, ci portino la guerra? Abbiamo visto cosa succede nei barconi, i conflitti che si trascinano fino alle coste italiane, con conseguenze raccapriccianti (mi riferisco ai migranti buttati in mare in seguito a una lite per motivi religiosi, se le cose sono andate effettivamente così). Non dico che chi viene dalla guerra andrebbe isolato come un appestato, ma le persone non sono tabule rase, hanno una storia che si portano dietro. Ho letto che recentemente il PKK si è scusato con la Germania per alcune azioni compiute in quel paese. La Germania avrebbe avuto tutto il diritto di dire: i vostri problemi non li portate qui.
Certo: tra colonialismo, globalizzazione, sfruttamenti vari noi siamo tra i responsabili delle disgrazie africane e medio orientali, anche se non i soli responsabili, e non possiamo far finta che non sia così. Delle responsabilità ce le abbiamo. Tra l’altro, i profughi che avrebbero più diritto di tutti forse sono quelli ambientali. Non è colpa degli abitanti delle isole del Pacifico se il mare sta salendo – sono troppo pochi per aver causato loro i cambiamenti climatici. Anche i bengalesi potrebbero rivendicare il diritto di andare nei paesi non sommersi ora che il mare comincia a salire e mangiarsi il loro paese, e non per colpa loro visto che emettono molta poca CO2 pro capite, ma: se avessero fatto meno figli, e ci hanno provato ma troppo tardi, non sarebbero in questa situazione; inoltre, una volta arrivati qui contribuiranno a sostenere economie ad alto tasso di emissioni tanto quanto noi, o poco meno. E i poveri che distruggono le loro foreste per sopravvivere, o fanno tanti figli perché sperano che guadagnino qualcosa emigrando in economie che sfruttano l’ambiente in cui loro stessi vivono, sono forse meno colpevoli di noi? È davvero sempre colpa degli occidentali e basta? Non ne posso più di questa semplificazione.
Una delle espressioni più utilizzate per criticare chi si oppone agli arrivi dei migranti è “guerra tra poveri”, come a dire che i poveri sono così manipolabili ed egoisti da lottare contro chi è nella loro stessa situazione piuttosto che allearsi contro il comune nemico: il ricco.
Il fatto è che sono davvero i poveri dei paesi ricchi che subiscono di più le conseguenze dell’immigrazione massiccia. Nei quartieri romani degradati dove l’economia locale è schiacciata dalla concorrenza dei soldi cinesi e della disponibilità disperata dei bengalesi; nel meridione d’Italia e d’Europa, alle prese con problemi gravissimi e irreversibili e ora anche con gli sbarchi, nella concorrenza tra disoccupati e disperati in tutta Europa, nelle liste d’attesa delle case popolari… i ricchi invece traggono beneficio dalla migrazione di massa: hanno badanti, colf e inservienti a basso costo, operai per le loro fabbriche, schiavi per le loro piantagioni, e, se si tratta di ricchi particolarmente senza scrupoli, riescono a fare anche il colpo grosso, come abbiamo visto di recente, e a guadagnare soldi a palate sulle spalle di profughi e rom – mentre, magari, li additano ai loro seguaci poveri come vero nemico, traendone un vantaggio politico. La botte piena, e la moglie ubriaca!
Una vera lotta ai ricchi passa anche per una limitazione dell’immigrazione che li favorisce così ampiamente, ed è per questo, e non solo per populismo/razzismo/ignoranza, che i voti di sinistra negli ultimi decenni si sono spostati dalla parte opposta. Pensare che le classi medio-basse d’Europa votino a destra perché sono stupide e cattive è uno dei più grossi errori della sinistra, una delle sue grandi arroganze e uno dei motivi per cui è diventata ormai una compagine elitaria che non capisce niente o quasi del mondo in cui stiamo vivendo.
Ovviamente, però, quello che l’altrettanto colpevole destra non dice è che anche le nostre classi basse, globalmente parlando, fanno parte dell’elite mondiale. Un povero metalmeccanico Fiat sull’orlo del licenziamento è quello che un povero africano sogna di essere. Gli basterebbe questo per sentirsi ricco – mentre l’operaio italiano punta ad essere Berlusconi.
Ed è qui che la mia opinione riemerge assieme a tutto quello che sto facendo, e finalmente posso provare a convincervi che non sono un mostro. È facile dire: poverini, accogliamoli. Chi lo dice ha uno stipendio ben oltre quello che gli serve, una pensione che non ha guadagnato, una qualche garanzia che in futuro scomparirà. Magari pagherà qualche tassa in più per l’accoglienza agli stranieri, ed è disposto a farlo, ma non si sente minacciato perché vede attorno a sé le solide pareti della sua botte di ferro. Io invece guardo oltre, vedo che siamo tutti messi molto male e quella botte di ferro è solo un’illusione. Siamo tutti avviati verso la crisi della civiltà industriale globale basata sull’energia a basso costo e sullo sfruttamento insostenibile delle risorse naturali. Nessuno è al sicuro, anche se alcuni sono più esposti di altri. Chi è giovane adesso non può permettersi l’illusoria generosità di idee formulate nel passato, quando si sapeva meno e si credeva che queste idee fossero la soluzione. Dovremmo svegliarci e iniziare a capire che i nostri genitori hanno sbagliato. Ogni generazione dovrebbe prendere in considerazione l’idea che i propri genitori hanno sbagliato almeno in qualcosa, ma in questa particolare epoca la realtà e la gravità dell’errore sono più evidenti che mai.
E allora io cerco di fare la mia parte, nella disapprovazione generale – con abbastanza eccezioni da rendere questa disapprovazione più sopportabile. Sto cercando di eliminare le cause delle guerre e delle disuguaglianze globali, consumando pochissimo e importando il meno possibile. Sto cercando di trovare un modello sostenibile, e poi di condividerlo con l’esempio e la scrittura. Non sto facendo figli che vadano ad aggravare la sovrappopolazione del pianeta. Credo di compensare con queste mie azioni l’apparente crudeltà delle mie posizioni. Tanti di quelli che vorrebbero fermare i migranti non si pongono il problema di come il proprio stile di vita sia legato a queste migrazioni, e parlano quindi davvero solo per egoismo personale, e spesso anche ignoranza.
Ma io cerco di mantenere una visione d’insieme e, anche se le mie parole possono sembrare crudeli, io penso che sia più crudele, alla lunga, fare finta che le cose siano diverse da quello che sono.
Se si accettano allora queste premesse, si pone il problema di cosa fare. Qui, lo ammetto, mi trovo in difficoltà – ma non sono la sola. Sentite le notizie? È un gran proclamare, indignarsi e blaterare parole altisonanti di opportuna vaghezza. Tutti vogliono additare colpevoli, tutti vogliono invocare soluzioni e far credere di averle, tutti vogliono dire qualcosa davanti all’immane sofferenza che si dispiega giorno dopo giorno, alle vite umane perse in annegamenti che tutti pensano che si possano prevenire – ma come?
Sentiamo un rimpallo costante di accuse, ognuno crede di aver trovato il responsabile, e di solito si tratta di responsabili piuttosto astratti: l’indifferenza, la guerra, la povertà, l’ipocrisia occidentale, il “buonismo” (?), la religione, la sovrappopolazione, e così via. Nessuna di queste spiegazioni, presa da sola, è corretta: non si possono ricondurre fenomeni così complessi a una sola causa. E, anche se se ne trovassero due o tre più pertinenti di altre, si porrebbe poi il problema ancor più difficile di che cosa fare. Pensare di risolvere le vere e molteplici cause alla radice di questi flussi, e di farlo rapidamente, è pia illusione; invece che ammettere una parziale impotenza meglio allora tirare fuori il solito nemico già pronto, che sia un’ideologia che non ci piace o il partito al governo, l’Europa o il Vaticano, l’Occidente o l’Islam, e dare la colpa a quello. Puntiamo un dito al nemico di sempre, non si sa mai che ci faccia prendere più voti o avere qualcosa da dire al bar; il nemico vero, in ogni caso, è al di sopra delle nostre forze. Ed è strutturale, e a noi esseri umani non piace l’idea che ci siano cose che non possiamo controllare. È sempre colpa di qualcuno di specifico, mai di tutti insieme.
Qualcuno, se non altro con più precisione, dà la colpa agli scafisti e ai trafficanti, ma anche qui si esagera: per quanto approfittatori, per quanto gli scafisti costrigano i migranti a partire quando dicono loro e in condizioni non ideali, non stanno obbligando nessuno a migrare. Gli scafisti offrono un servizio che è richiesto indipendentemente da loro. Non è propriamente una tratta di schiavi, perché gli schiavi sono consenzienti.
Una delle cose che mi perplimono di più del dibattito collettivo è che le richieste di soccorso, gli annegamenti, i salvataggi, vengono ancora gestiti come se si trattasse di incidenti imprevisti. Una barca affonda, bisogna salvarla, così vuole la legge del mare. Ma si tratta di un semplice incidente: quella barca era destinata ad affondare, perché sovraccarica, perché fatiscente, perché guidata da gente a cui non importa niente delle vite altrui. Qualcuno è salito su quella barca nonostante non sapesse nuotare e sapesse benissimo, non può essere altrimenti, che la barca sarebbe potuta colare a picco. Non è magari colpa anche un po’ sua?
Gli annegamenti non sono imprevedibili. Chi parte se ne assume il rischio. Io penso addirittura: ma possibile che persino davanti a questo, al rischio molto probabile di una morte orrenda, di arrivare in un continente dove non si è voluti e di vivere come schiavi o barboni, queste persone partano lo stesso? Sono irrazionali, non sanno a cosa vanno incontro? Qualcuno gli ha mentito? Non posso pensare che il loro destino su quei barconi o aggrappati a qualche camion sia preferibile non dico a subire la guerra in patria, ma all’idea di provare almeno a fermarla, a lottare per avere lì un futuro migliore. Preferiscono rischiare di trascinare i propri figli e fratelli in fondo al mare che provare a costruire la prosperità e la pace? Io questo davvero non riesco più a capirlo. Non dico che non capisco il fatto che se ne freghino degli europei: è difficile provare compassione per chi sta dieci volte meglio di te. Sarebbe dignitoso porsi il problema, ma forse chiedo troppo. Ma la terra, la famiglia che resta, il paese e la cultura, la propria stessa sopravvivenza e i rischi del viaggio… tutto questo non conta niente?
Bisogna iniziare a pensare che la fuga non è una reazione umana inevitabile. I partigiani non scappavano. I curdi non scappano. C’è anche chi non scappa. Il diritto d’asilo alla fine significa dire: hai fatto bene a non lottare. Forse sono un mostro sul serio, ma questa istituzione mi mette a disagio. Non mi sembra del tutto morale. Ci sono casi e casi, certo, non lo nego, ma in generale vorrei che si parlasse anche delle alternative. Adesso diciamo a chi ci chiede aiuto: sì, vieni qui e non pensarci più. Preferirei che si dicesse: dimmi cosa ti serve e vedo se posso darti una mano, così che tu possa tornare a casa.
Cosa fare, dunque? Non lo so. Azzardo delle ipotesi.
Qualcuno propone i corridoi umanitari, il che se ho ben capito equivarrebbe ad andare a prendere gli aspiranti migranti prima ancora che partano. Questa è pura follia. L’Africa ha oltre un miliardo di persone. Se anche solo una su dieci volesse fuggire dalla propria condizione… fate voi il conto. In più c’è il Medio Oriente, molti paesi asiatici, e chissà quanti altri in futuro. Qui non c’è posto, spero che possiamo essere d’accordo almeno su questo.
Ogni tanto qualcuno sottolinea che i paesi limitrofi a quelli da cui provengono i migranti li accolgono in quantità molto maggiore di quanto sembriamo disposti a fare noi. Sì, ma:
– non credo abbiano molta scelta
– questo causa enormi problemi – vedere il caso dei palestinesi in Libano. E poi quando un paese, come lo Yemen che aveva i rifugiati dal Corno d’Africa, crolla a sua volta, cosa si fa? Si spostano i rifugiati vecchi e quelli nuovi in un altro paese, e poi?
– anche l’Italia accolse, tra fatiche, sofferenze, e anche alcune cattiverie da parte della popolazione, i profughi istriani, giuliani e dalmati che non volevano o potevano (punti di vista) rimanere nella nuova Yugoslavia. Non fu facile, ma si trattava di italiani, simili per lingua e cultura, identici per apparenza e religione, e si integrarono presto. Adesso difficilmente riconoscereste un discendente di questi profughi, a meno che non vi racconti la sua storia. Inoltre, l’Italia era il paese più adatto ad accoglierli e il più colpevole, assieme alla Yugoslavia stessa, della loro fuga. Era corresponsabile e dovette accollarsi l’esodo. Fu doloroso, ma non eterno: la somiglianza facilita la convivenza, che piaccia o no. Inoltre, si trattò di una cosa una tantum: finiti gli italiani da quella parte del Mediterraneo, finiti i flussi. Arrivarono in un paese depopolato della guerra e che comunque andava ricostruito, non un paese formalmente stabile ma barcollante sull’orlo dell’abisso, com’è l’Italia ora.
Il problema creato dai flussi apparentemente inarrestabili a cui ci troviamo davanti ora è molto più grande e difficile. Me ne rendo conto. Io ogni tanto rispondo ai tanti che semplificano la questione, ai numerosi cittadini comuni poco rappresentati politicamente e dai media che dicono apertamente che migranti non li vogliono: va bene, ma cosa fai? Ti prendi la responsabilità di farli annegare? Spari ai barconi? Sei disposto a questo?
Nessuno mi risponde perché nessuno vuole dire: sì, che muoiano. Nessuno vuole lasciar annegare un altro essere umano davanti ai suoi occhi, nessuno vuole macchiarsi le mani di sangue. Ma se non fai niente, annegano. Se fai qualcosa, tipo Mare Nostrum, se li vai a prendere, peggio ancora: i trafficanti risparmiano sul viaggio, mettono meno benzina nei barconi e ci guadagnano solo di più. Il viaggio conviene: più viaggi, più pericolo.
Allora, cosa si fa?
Io penso che la prima cosa che dovrebbe fare l’Italia sarebbe dichiararsi piena e dire ufficilamente che non intende accogliere più nessuno. Inutile pensare a come fermare un flusso e al tempo stesso continuare a promettere asilo. L’Italia dovrebbe dire: ci dispiace, non ci stiamo più. Ma con il Papa, con i democristiani in tutte le istituzioni, con la nostra cultura cattolica e la nostra sinistra elitaria e benpensante che ha gioco facile contro una destra ignorante ed egoista, per non parlare di tutti quelli che traggono guadagno dall’emergenza dell’immigrazione, con tali premesse questo l’Italia non lo farà mai.
I paesi del nord Europa hanno gioco facile. Sì, accolgono molti migranti, ma possono permettersi di rimandare indietro in Italia e in Grecia, dove per le regole europee sono costretti a rimanere, tutti quelli che non vogliono. L’ho visto fare con i miei occhi: da sud a nord, controlli a non finire; da nord a sud, ponti d’oro. Ho visto tirare giù dalle corriere chi era senza documenti, e portarlo via; ho visto fare il terzo grado a un giovane africano che entrava in Norvegia, fino a chiedergli il numero di telefono della persona che andava a trovare. Tutti stanno facendo i loro interessi. Gli austriaci accusano gli italiani di lasciar passare i clandestini, sottintendendo che neanche loro li vogliono. Le leggi europee bloccano i richiedenti asilo nel paese in cui sono arrivati, cioè, di solito, i più meridionali e malmessi d’Europa. E nel nord Europa, non crediate, anche i cittadini non ne possono più. Crescono i partiti anti-immigrazione, in varie forme, e persino coloro che non si definirebbero razzisti o xenofobi, come me, iniziano a dire: adesso basta. Sul sito del Guardian, rappresentante britannico di quella sinistra intellettuale che non capisce più il popolo a cui dovrebbe essere più vicina, iniziano a comparire commenti che accusano il partito laburista di aver rovinato il paese facendo entrare troppi immigrati, i quali stanno, anche se non lo vorrebbero, distruggendo la Gran Bretagna. I britannici non riescono a competere contro gli immigrati (spesso altri europei) per posti di lavoro sottopagati, le case costano troppo e non bastano mai, la cultura sta cambiando troppo velocemente e tante tradizioni stanno scomparendo, la popolazione sta aumentando ed è già a un livello insostenibile, si costruisce in zone a rischio allagamento, si distrugge la campagna e ancora non basta, storie di britannici di origine straniera che si uniscono all’Isis si susseguono nei media e il terrorismo ha già colpito… si tende a pensare, in Italia, che esistano dei modelli di integrazione dell’immigrazione che funzionano: basta copiare gli altri paesi europei. Il punto è che gli altri paesi europei non sono sottoposti al genere di pressione a cui siamo sottoposti noi e comunque, oltre un certo limite, non funziona più niente. Recentemente, Angela Merkel ha dichiarato che il multiculturalismo è fallito. In Germania.
Io penso, quindi, che il primo passo sia dichiarare che non vogliamo più accogliere nessuno, anche se questo potrebbe avere ripercussioni gravissime e ritorsioni internazionali. Un secondo passo sarebbe, e so che siamo all’utopia pura ma voglio dirlo comunque, avviare un serio percorso di decrescita. Stabilendo un numero massimo di abitanti che l’Italia può sostenere a un certo massimo di tenore di vita (quindi decisamente inferiore all’attuale), si può anche pensare di stabilire una quota di persone da accogliere purché si rimanga sotto a quel numero massimo. Mi verrebbe da dire al Vaticano, per esempio: se vuoi tanto che gli italiani accolgano gli stranieri, smettila di sgridargli perché fanno pochi figli. Che lascino spazio a tutti gli altri! Bisogna vedere quanto a lungo però gli italiani sopporteranno di non poter fare figli perché ne facciano gli stranieri. Questa è un’ingiustizia e la gente lo sa.
Riguardo a come affrontare l’emergenza in quanto tale, devo approfondire questa proposta del blocco navale anche se, vedendo la gente da cui proviene, sono piuttosto scettica. Una campagna di informazione potrebbe aiutare, magari coinvolgendo cittadini degli stessi paesi da cui partono i migranti, scegliendo persone che abbiano qualche credibilità nell’avvertire su cosa succede a chi sbarca. Il problema è: chi potrebbe essere portavoce di un messaggio del genere? Non chi ce l’ha fatta e ha successo, altrimenti è una presa in giro. E nemmeno un disperato, altrimenti si sospetterebbe che ci si approfitti della sua situazione. Forse qualcuno che è lì e prova a fare qualcosa, ma chi? Di nuovo, indico i curdi come esempio. Probabilmente molti curdi che lottano per la loro terra non approverebbero il mio pensiero, ma questo non mi impedisce di considerarli un esempio lo stesso.
Quello che dico può continure a sembrare abominevole, nonostante le mie chiarificazioni, perché nella nostra cultura iper-individualista, di cui molti dei diritti umani sono in realtà figli, certi concetti non esistono proprio più. Gli spartani che resistettero a Serse fino alla morte possono funzionare per un fumetto o un film, ma quel modello è completamente scomparso dall’Occidente. Altro che Termopili! Se le cose non vanno bene, fai i bagagli e vai a cercar fortuna altrove. Se sei ricco, prendi l’aereo e fai domanda in un’università; se sei povero, sali su una barca o ti nascondi in un camion. Lo fanno ‘loro’, lo facciamo ‘noi’. Non c’è molta differenza tra l’italiano che contribuisce all’invasione della Gran Bretagna per sistemarsi e fare famiglia, e l’africano che chiede aiuto da un barcone. Il concetto è lo stesso. Tu devi qualcosa a te stesso, alla tua famiglia, ma non al tuo popolo e alla tua terra. Siamo cittadini del mondo. Il mondo ha il dovere di accoglierci.
È difficile vedere se stessi come un problema, soprattutto quando le nostre circostanze sono effettivamente tremende. Forse pretendo un eroismo di cui io stessa non sarei capace. Fatto sta che l’Italia non può immolarsi per salvare il mondo, a maggior ragione se non è in grado di farlo. Probabilmente, data la sua geografia e la sua cultura, l’Italia non è in grado di fare nemmeno l’opposto: è indifendibile. Anche se decidessimo di bloccare l’immigrazione, non lo potremmo fare. Verremmo presi d’assalto comunque da tutti i lati e magari invasi da qualche benintenzionato altro paese europeo (non sarebbe la prima volta), oppure verremo isolati per punizione e, davanti all’insufficienza delle nostre risorse per l’attuale popolazione, precipiteremmo nella fame e nel caos. Chiudere le frontiere probabilmente non è fattibile. L’idea di risolvere i problemi dell’Africa e del Medio Oriente in tempo utile a fermare i flussi nemmeno, anzi farebbe ridere se non fosse così drammatica la situazione.
Ho scritto molto a lungo per proporre delle soluzioni ma voglio anche mostrare, a differenza di quasi tutti quelli che parlano di migrazione, di aver considerato anche le conseguenze delle mie idee. Si tratta di conseguenze molto gravi: sapere che un corso di azione sarebbe moralmente giustificato e teoricamente necessario non significa poter garantire che sia anche percorribile.
Quel cavallo pieno di uomini, alla fine, entrerà. Non penso che succederà qualcosa di così evidente, non penso che ne usciranno uomini armati e saccheggeranno il nostro paese – anche se alle volte, quando la situazione diventa insopportabile o non ottengono quello che vogliono, i migranti possono essere anche violenti; anche se tanti vengono proprio a rubare, o lo fanno quando non trovano altro. Ma il saccheggio vero è di un’altra natura, è il saccheggio legale perpetrato dalla nostra economia alla quale loro vengono a partecipare e di cui non possiamo accusarli finché ne siamo anche noi colpevoli.
Gli uomini nella pancia del cavallo distruggeranno la nostra città, e noi soffriremo ma non saremo innocenti, perché la stiamo distruggendo anche noi. La maggior parte di noi non capirà veramente cosa sta succedendo neanche quando starà succedendo, come non capisce le radici ambientali, storiche e strutturali della nostra attuale crisi e del nostro inevitabile declino. Il Papa continuerà a dirci di pregare e chi è pagato per fare promesse che non si possono realizzare continuerà a fare promesse che non si possono realizzare. Intanto noi preferiremo dare la colpa a questo o a quello, e continueremo a farlo, e non daremo mai la colpa a noi stessi. L’Impero Romano non crollò solo per via dei barbari, e l’immigrazione non sarà la rovina dell’Europa. Penso che contribuirà, questo sì, e quando ce ne accorgeremo sarà troppo tardi.