Anche lui, il Cavaliere, aveva pianto sugli immigrati, salvo fare un patto di ferro con la Lega xenofoba e lasciarsi andare a battute sulle belle ragazze. La commozione, come diceva Piero Gobetti, giustamente ripreso da Ferrero, serve a stemperare l’aridità delle intenzioni, ma fa parte, credo, anche di un istinto teatrale, di un metodo Stanislavskij applicato alla politica. La domanda se le lacrime e la voce rotta siano sincere o meno non coglie nel segno, non è appropriata alla situazione: è come l’istinto del coccodrillo che si dice pianga dopo aver divorato le proprie vittime: piange non per quello che ha fatto, ma per essere così crudele.
Così ho trovato persino oscena la commozione di Elsa Fornero, mentre procedeva al deguello dei pensionati, presenti e futuri perché la signora che gode di emolumenti che si avvicinano al mezzo milione annuo (netti, ça va sans dire) da molti anni non fa che predicare le cose che ha messo in pratica. E chi avesse dubbi può leggere qui alcuni capitoli di questa erodiade previdenziale. Quel pianto è osceno perché non è altro che l’emozione di una persona che ha realizzato l’iniquità prima teoricamente predicata, navigante tra pagine e parole che trattano la vita degli altri come merce scadente. Ricorda il pallido delinquente di Nietzsche che piange su cosa è diventato, senza però saper essere altro.
Naturalmente il pianto è anche molto funzionale a distrarre un Paese emotivo e spaurito, a far credere che non si voglia, ma si debba. Questo nonostante il 90% degli economisti avverta che questi tagli saranno un’ulteriore mazzata sull’economia. Il pianto della Fornero è ancor peggio di quello di Berlusconi, perché tende a far credere che la strada fosse obbligata, mentre l’assenza di provvedimenti sostanziosi in fatto di patrimoniale, di grandi ricchezze, di evasione fiscale sono state elusi. Lei potrà piangere per ciò che è, io piango per ciò che fa.