L’Italia dei gaffeurs. Silvio, ospite per un decaffeinato a Strasburgo, salta l’incontro con i pm di Napoli
Creato il 13 settembre 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Nei primi anni ’70 l’inquilino del Quirinale era il già senatore a vita Giovanni Leone. L’esimio giurista napoletano era stato eletto Presidente della Repubblica dopo una serie interminabile di scrutini (23) e con i voti fondamentali dei grandi elettori del Msi di Giorgio Almirante. Già candidato alla presidenza della repubblica nel 1964, con un gesto nobile (non riusciva a raggiungere il quorum), aveva ceduto il posto a Giuseppe Saragat che lo ringraziò nominandolo senatore a vita. Vuoi il carattere fumantino, vuoi che per molti versi incarnava lo spirito goliardico del popolo napoletano, di Giovanni Leone restano impresse nella storia più le gaffe che le imprese. In visita ufficiale in Francia, il nostro presidente ebbe la grande pensata di portarsi appresso, per la cena di gala a Versailles, il vasellame del Quirinale griffato Capodimonte. Quando il collega francese Valéry Giscard d’Estaing gli fece presente che loro avevano quello di Limoges, Leone rispose “Limo...che?”. Ancora una visita ufficiale, questa volta in Africa. Al presidente dello Zambia, prendendolo sottobraccio, disse: “Qui in Zambia bisogna stare attenti perché ci si lascia lo zambino”. Celebrando la vita e le opere di Sant’Agostino, il presidente Leone ebbe a dire: “Anche a Napoli abbiamo un Agostino, Agostino 'o pazzo”, personaggio assurto agli onori della cronaca per l’abilità con la quale borseggiava in motorino. Agli studenti della Normale di Pisa che lo contestavano, il presidente Leone fece le corna (immortalate dai fotografi) e disse: “Fetenti, ‘a mmuorte vostra”. Di un simile gaffeur l’Italia avvertiva il bisogno. Di un uomo che esportasse l’ironia, il sarcasmo, la comicità e la leggerezza del Belpaese, il nostro ministero del turismo era andato alla ricerca per anni, fino a quando non si è materializzato sulla scena politica Silvio Berlusconi. E la storia non è stata più la stessa. Al contrario di Giovanni Leone, napoletano purosangue e portatore sano di quella inarrivabile capacità di vivere la vita giorno per giorno, Silvio è un portatore insano di bugie, di frottole, di paraculate, di meneghinate che lo hanno reso famoso in ogni parte del mondo, su qualche contrada della Luna e nel cantone italiano di Marte. La sua arte migliore non è la recitazione pulcinellante tendente al vacuo dell’avvocato napoletano, ma il discorsetto agli operai della fabrichetta durante la pausa mensa del cummenda brianzolo. La sua filosofia non è la difesa ma la fuga quando, lungo la strada, non cambia una vocale, altrimenti è davvero un’altra storia. Così, per sfuggire ai giudici napoletani che vogliono conoscere il suo pensiero sull’affaire Tarantini-Lavitola, Berlusconi inventa di sana pianta un vertice europeo con il presidente del Parlamento di Strasburgo, Jerzy Buzek e un incontro con quello della Commissione, José Manuel Barroso. Buzek però fa sapere che a Silvio potrà dedicare “solo un paio di minuti”, perché l’appuntamento gli è stato richiesto la settimana scorsa, mentre lui ne ha in programma uno previsto da sei mesi con il presidente polacco. Non è un caso che la richiesta dell’incontro di Berlusconi con il Parlamento Europeo sia avvenuta proprio il giorno in cui era stata calendarizzata la visita dei pm napoletani a Palazzo Chigi, e non è un caso che, data la ristrettezza dei tempi, quella di Silvio non sarà una “visita ufficiale” ma “informale”, “solo cortesia”, precisano fonti vicine alla presidenza. Il problema è che il Ppe teme che in aula scoppi il finimondo e che non solo Silvio, ma lo stesso Partito Popolare Europeo esca fuori da questa storia con le ossa rotta e l’immagine offuscata. Una visita assolutamente inutile, quella di Silvio a Strasburgo, ma soprattutto dannosa perché i vertici europei, che leggono i giornali, si sono sentiti un po’ “usati” dal premier italiano che ha preso a pretesto la visita per non rispondere alle domande dei giudici di Napoli, prova inequivocabile che, pur di salvarsi, Berlusconi è disposto a giurare la propria innocenza perfino sulla testa dei figli. E in effetti questa è forse l’unica occasione nella quale la fuga, alla fine, risulta essere la scelta strategica migliore. Parliamoci chiaro. In qualità di testimone, Silvio avrebbe dovuto affrontare i pm napoletani da solo, senza la tribù dei legali che lo assiste ogni volta terrorizzata da ciò che il premier potrebbe dire. Considerato il suo attuale stato mentale, che non gli permette neppure più il solito, fluido eloquio, immaginiamo per un momento cosa avrebbe potuto dichiarare agli inquirenti il presidente del consiglio senza il filtro dei suoi avvocati pronti a tirargli un calcio negli stinchi. Lo ha pensato Ghedini e lo pensano tutti: come minimo da testimone si sarebbe trasformato, ancora una volta, in imputato cosa che, Sir Biss, avrebbe auspicato perché lasciare Silvio da solo con i giudici, significa ritrovarselo in manette caricato sul furgone della polizia penitenziaria. La manovra economica della quale Silvio si è assunto la piena paternità, ha avuto intanto un altro incidente di percorso. Milano ha chiuso a meno 4 per cento, lo spread è tornato a 380. Tutti gli analisti danno per certo il default dell’Italia nel 2016 e la Bce, attraverso le parole di Trichet, torna a chiedere una nuova manovra. La Grecia intanto, alla quale sembra ci stiamo legando a filo doppio, sta pensando seriamente di abbandonare l’euro e tornare alla dracma. Se un fatto del genere dovesse verificarsi anche in Italia, sarebbe bancarotta di Stato con conseguenze inimmaginabili. Ma non preoccupiamoci più di tanto. Siamo il paese con il maggior numero di cellulari, la prima casa di proprietà, i maggiori fruitori di crociere e di possessori di barche da diporto e di suv. E poi, c’è sempre quel geniaccio di Pierferdinando Casini pronto ad intervenire in caso di necessità. Siamo in buone mani, mica palle!
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