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L’Italia dei macachi

Creato il 23 marzo 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43                                                                                                                                                            Google+

Italia divisa

A T T E N Z I O N E !

Il “macaco rhesus” è la scimmia più intelligente, il “macaco”, invece, è l’essere umano che si presta con apostolico zelo alle operazioni che si risolvono a suo danno. Manca del reticolato che collega un’idea al contesto e non sa elaborare il futuro, ma non va confuso con l’ingenuo. Da questo innocente tipo umano si differenzia per l’attivismo da guastatore del buon senso, sabotatore del confronto, agente infettante il malcontento collettivo. 

Il revisionismo dell’Unità d’Italia 

Con la questione_Crimea sbucano dalle crepe di un dibattito mai seriamente condotto sull’ Unità dell’Italia quel genere di revisionisti fervorosamente intenti a ridurre l’unificazione della penisola a semplice conquista territoriale del ricco e pacifico meridione da parte dell’indebitata e aggressiva orda nordista.

Dal furbesco «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi» del re sabaudo, passando per il magniloquio del fascismo che fantasticava di un’Italia coesa al punto da farsi imperiale, fino al contemporaneo j’accuse contro la piemotesizzazione (?) del sud non c’è narrazione che tenga conto della condizione culturale della penisola.

Dall’800 a oggi, soprattutto grazie alla televisione, gli italiani hanno imparato a esprimersi 

contadini del 1800
tutti con lo stesso idioma, invece di brandire il proprio dialetto. All’inizio erano scontri di vocali, le larghe e strascicate del nord e le contratte del sud, duellanti con diffidenza perché l’udito è uno dei sensi più importanti nel suscitare le emozioni, solo di recente soverchiato dalla vista.
E sono diventati un popolo alfabetizzato: da Milano a Palermo nessuno è più costretto a bussare alla porta del signorotto o dello zio prete per farsi dire cosa pensare.

In sostanza, però, il  popolo della penisola, come nell’800, continua a farsi dire che cosa pensare; non più dal banditore o dal nobile locale, ma dai media e dai social media. Con la fine della conoscenza diretta della fonte e l’eliminazione della decisione personale di procurarsi l’informazione, la rete e la tv inviano in ogni istante raffiche di proclami.
“Vergogna!” è lo slogan, espresso o sottinteso, che offre alla generica insofferenza un motivo per cui militare o un capro espiatorio da incolpare. Nei giorni scorsi la notizia che per disposizione di legge i Rom avrebbero viaggiato gratuitamente sui mezzi pubblici è diventata virale nel web. Nonostante si trattasse di una palese assurdità è stata creduta. Da
 un’ indagine che il magazine Wired  ha condotto sugli utenti di Facebook risulta che le affermazioni prive di fondamento si diffondono quanto le informazioni verificate.
Non si tratta di aspetti sociali privi d’importanza nell’andamento complessivo del paese, tenendo conto che i molti che abboccano alle bufale per mancanza di capacità di discernimento sono altrettanti elettori. 

Confessioni religiose e livelli culturali 

Dal saggio sulle differenze nazionali e regionali  Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale

i paesi più alfabeti, secondo le statistiche ministeriali della fine dell’Ottocento, erano i paesi dell’Europa Germania, Inghilterra, Scozia, Belgio, Olanda, Francia, i più industrializzati e pressoché tutti di tradizione protestante, o largamente influenzata dal protestantesimo. L’autore poté così formulare l’ipotesi che l’industria e lo sviluppo economico abbiano favorito o addirittura richiesto e causato un maggiore alfabetismo e istruzione anche nella classe operaia e nei ceti umili lavoratori, e che il protestantesimo, con l’insistenza tipica sul dovere di accesso personale alla parola di Dio, sia stato uno stimolo determinante perché le persone frequentassero le scuole, e le autorità pubbliche le istituissero con abbondanza.”.

Al contrario, per un secolo almeno dall’Unità, gli italiani hanno pregato in una lingua straniera, poiché solo una minoranza conosceva il latino ed era in grado di capire il significato di quello che stava recitando. La nostra emergenza vera potrebbe essere “l’ignoranza dell’ignoranza”  che induce alla credulità?  

Le diffuse riletture parziali e pedestri della storia italiana che stanno, proprio ora, ampiamente diffondendosi aggiungono legna al fuoco autonomista. Andarsene  è bello , dicono i risultati del “referendum” alias “plebiscito” in Veneto, i bollori indipendentisti di Trieste, il “governo provvisorio” del Sud, le rivendicazioni d’indipendenza della troppo bistrattata Sardegna.

La crisi dello stato moderno  

Questa febbrile voglia di smembramento spacciata come soluzione è la semplificazione arbitraria e l’amplificazione populista della crisi reale dello stato moderno, che non riguarda solo l’Italia.
Non mancano  la riflessione e il dibattito su come strutturare in modo diverso gli stati [Quali modelli alternativi allo Stato (moderno)? ] però non è questo serio modo d’ interrogarsi a tener banco per formare il sentimento collettivo.

Che il centralismo dello stato non sia più funzionale in epoca moderna è ipotesi fondata, ma ristrutturare le istituzioni non consiste nell’ andarsene per crearne altre più piccole ma identiche, così come rilanciare l’economia non consiste nel dare semplicemente un calcio all’euro.
Inserire le aspirazioni localistiche nei meccanismi del mondo globale che le soverchia richiede un pensiero “non debole”.
Vi è certamente ragione di rallegrarsi che il racconto dell’unificazione italiana esca infine dalla retorica e dalle falsificazioni. Conoscere il passato è un dovere, però c’è motivo di grande preoccupazione se il recupero degli aspetti taciuti non avviene a livello culturale ma come componente urticante del clima sociale del momento, vicino quanto mai prima d’ora a rendere meno impensabile  lo s_fascio d’Italia.   

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