di Salvatore Denaro
Articolo per LiquidLab – L’Italia e il mondo Nuovo (Firenze, 10 maggio 2012 h 10- Polo delle Scienze Sociali Novoli)
Dopo la caduta di Saddam Hussein e l’istituzione di un regime repubblicano, lo sviluppo di una profonda riforma dell’apparato legislativo oltre a rappresentare un passo decisivo per la ricostruzione di un Paese come l’Iraq, così duramente colpito nelle sue fondamenta civili, sociali ed economiche, appare fondamentale per attrarre capitali e investimenti stranieri in un’area certamente complessa dal punto di vista della sicurezza, ma così importante dal punto di vista strategico.
Dal 2003 ad oggi, le città sono più sicure, i salari pubblici sono nettamente cresciuti, i consumi sono ripartiti e le compagnie straniere sono tornate a guardare con interesse le evoluzioni politiche ed economiche dell’Iraq. La legge sugli investimenti n. 13 del 2006 ha rappresentato sicuramente un momento determinante, grazie al quale l’Iraq ha cominciato a guadagnare fiducia nei confronti degli investitori stranieri. Presso l’ufficio del Primo Ministro è stata istituita una Commissione nazionale per gli investimenti, con il compito di valutare tutti i piani di investimento che non superano i 250 milioni di dollari e, nello stesso tempo, di monitorarne l’attuazione (il settore degli idrocarburi non è disciplinato da questa legge ma bensì da leggi speciali). Mentre per quanto riguarda i progetti di importo superiore, l’ultima parola spetta al Consiglio dei Ministri. La legge n. 13 ha, inoltre, introdotto alcuni importanti vantaggi fiscali per gli investitori, come ad esempio l’esenzione totale dagli oneri fiscali per dieci anni dall’inizio dell’attività commerciale e delle imposte doganali per tre anni per i beni importati.
Il crescente grado di apertura di Baghdad all’accesso del mercato interno è confermato dall’idea di istituire delle duty free zones, oltre che nell’area della capitale, anche in importanti snodi strategici come nei pressi del porto di Bassora e di Al Faw, nella provincia di Ninive ed infine nell’area di Al Qaim vicino il confine con la Siria.
Nonostante gli sforzi e i progressi che l’Iraq sta portando avanti, l’elevato grado di corruzione (nel 2009 si è dimesso il Ministro del commercio Abdel Falah al Sudani, accusato, appunto, di corruzione amministrativa e finanziaria), le difficoltà di accesso al credito e l’inadeguatezza delle infrastrutture per molti investitori rappresentano ancora un elevato livello di rischio.
Una volta migliorate le condizioni di sicurezza, il fattore infrastrutturale rappresenta forse il freno più importante alle potenzialità economiche irachene. Infatti, secondo recenti stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, nella classifica mondiale dei produttori di greggio l’Iraq potrebbe addirittura essere secondo solamente all’Arabia Saudita, scavalcando così l’Iran. Tuttavia la condizione deficitaria delle infrastrutture legate all’estrazione ed all’esportazione del greggio, pongono l’Iran in una posizione di netto vantaggio nei confronti di un Paese come l’Iraq che, secondo recenti stime, vanta riserve petrolifere per 120 miliardi di barili. Oltre a ciò, le imponenti riserve di gas stimate in circa 3.200 metri cubi pongono Baghdad al decimo posto tra i produttori mondiali. Per cercare di colmare il gap con le altre potenze petrolifere, lo scorso anno il governo iracheno ha messo a punto un piano ambizioso per aumentare sia la produzione petrolifera, sia le esportazioni: un progetto che punta a triplicare l’attuale produzione entro il 2017. Per questo motivo, ha intensificato gli sforzi per favorire gli investimenti per la costruzione di nuove raffinerie soprattutto nelle zone di Maysan, Kerbala, Nassiryia, Kirkuk.
Detto ciò, come si pone l’Italia, ed in particolare le imprese italiane, di fronte alle opportunità e alle prospettive che l’economia irachena dimostra di fornire?
I dati del 2011 circa le relazioni commerciali tra i due Paesi forniti dal Ministero degli Esteri e dal Ministero per lo Sviluppo Economico, sembrano delineare un quadro particolarmente incoraggiante. In particolare, secondo recenti elaborazioni ISTAT, l’Italia rappresenta il primo Paese europeo per interscambi commerciali (import-export), mentre si colloca al terzo posto, dopo Germania e Francia, per quantità di prodotti esportati.
Negli ultimi anni le esportazioni italiane in Iraq sono aumentate in modo esponenziale raggiungendo il picco nel 2009 (578,9 milioni di euro) per poi avere una lieve flessione nel 2010 (445,6 milioni di euro). La maggior parte dei prodotti esportati riguarda il settore degli idrocarburi: motori, generatori e trasformatori elettrici, turbine idrauliche e termiche, caldaie, strumenti di precisione per misurazione ed osservazione e molte altre apparecchiature per estrazione e trattamento del greggio. L’eccellenza tecnologica italiana è molto apprezzata in Iraq, tanto che molte imprese italiane stanno iniziando a collaborare direttamente con il Ministero del Petrolio per la progettazione e costruzione di terminal petroliferi nelle aree meridionali e per il riassetto dei maggiori oleodotti presenti nel Paese. Per quanto riguarda le importazioni di greggio, l’Italia, seconda solo agli Stati Uniti, nel 2010 ha superato la soglia dei 3 miliardi di euro. Si tratta di una cifra che in futuro potrebbe subire variazioni al rialzo. Infatti, il prossimo luglio scatteranno le sanzioni petrolifere dell’Unione Europea nei confronti dell’Iran e ciò potrebbe mettere in discussione l’approvvigionamento petrolifero di molti Paesi tra cui proprio l’Italia. Una prospettiva che ha spinto molti osservatori ad indicare nel petrolio iracheno una possibile soluzione alle conseguenze delle tensioni tra Teheran e la comunità internazionale.
Nel campo degli investimenti italiani nel settore degli idrocarburi l’Eni rappresenta una delle compagnie che ha investito di più, tanto che insieme all’americana Oxy ed alla coreana Kagas ha ottenuto lo sfruttamento del giant field di Zubair, un’area capace di produrre addirittura 195.000 barili di petrolio al giorno. Inoltre, il gruppo Eni, attraverso la società Saipem, lo scorso settembre si è aggiudicato un contratto da ben 342,4 milioni di euro per l’ampliamento del porto petrolifero di Bassora, uno dei più importanti terminali per gli idrocarburi dell’intero Paese. A tal proposito, è d’attualità la notizia di un’indagine in corso che ha condotto entrambe le società ad essere iscritte nel registro degli indagati delle Procura di Milano per presunte tangenti che hanno coinvolto alcuni manager dell’Eni nell’affare degli appalti in Iraq e Kuwait.
Ma gli interessi che ruotano intorno all’economia irachena non riguardano solo il petrolio. Come detto in precedenza, il gap infrastrutturale dell’Iraq con le altre potenze petrolifere rappresenta un’importante opportunità per le imprese italiane del settore. Ad esempio, diversi consorzi di imprese italiane sono in prima fila a Baghdad per la progettazione di importanti opere come il passante ferroviario e la costruzione della metropolitana. Tuttavia, sembra che il “Sistema Italia” abbia individuato nella costruzione del nuovo porto di Al Faw un progetto strategico per continuare ad essere un partner privilegiato nello scacchiere economico iracheno. Infatti, i lavori di progettazione del nuovo porto sono stati assegnati al Consorzio italiano delle Grandi Imprese a cui fanno parte Impregilo, Fincosit, Todini, Moratti, Technital, Progetto Europa, Sima, Rsg Progetti, per un contratto del valore di 47 milioni di euro. I numeri di quest’opera maestosa, che potrebbe diventare la più grande infrastruttura portuale dell’area mediorientale, sono impressionanti:
- costo: 5 miliardi di euro;
- volume di traffico previsto: 20.000 container al giorno;
- realizzazione di oltre 10 km di banchine;
- area stoccaggio merci di 4,6 milioni di metri quadri;
- un milione di metri quadri di strade, ferrovie e servizi vari.
Per la fase successiva di costruzione l’Italia parte da una posizione privilegiata, in quanto sono già stati avviati importanti contatti tra autorità irachene ed alcune imprese italiane, in previsione di concludere accordi di project financing.
In prospettiva del progetto del porto di Al Faw, nell’ambito della cooperazione Italia-Iraq, qualche settimana fa circa venti ingegneri iracheni, che si trovano in Italia frequentare un Master in Ingegneria marittima finanziato dal Ministero degli Esteri, hanno visitato il Laboratorio di Idraulica Ambientale e Marittima, del Dipartimento di Ingegneria delle Strutture, delle Acque e del Terreno (DISAT) dell’Università degli studi dell’Aquila, un’eccellenza nel settore riconosciuta a livello internazionale. Un chiaro esempio di come il know-how italiano, insieme al sostegno alla ricerca scientifica e tecnologica, possano rappresentare un fattore determinante per affermazione del “Sistema Italia” all’estero.
Ma lo sviluppo di intensi interscambi a carattere economico-commerciale, rappresentano una conseguenza alle ottime relazioni politiche ed istituzionali.
Da questo punto di vista, dopo la fine della seconda Guerra del Golfo l’Iraq ha manifestato più volte la fiducia nei confronti dell’Italia soprattutto in relazione al sostegno del processo di stabilizzazione del Paese. Viceversa, l’Italia ha posto in cima all’agenda di politica estera la necessità di intensificare le relazioni con il Governo iracheno e stringere accordi di partenariato.
Meritano di essere menzionate alcune importanti collaborazioni tra i due Paesi, come ad esempio la formazione dei funzionari di Stato, l’addestramento della Polizia federale irachena ad opera dell’Arma dei Carabinieri ed, infine, tutta una serie di progetti di varia natura promossi perlopiù da IPALMO (Istituto per le relazioni tra l’Italia e i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo oriente).
Per quanto riguarda il sostegno italiano allo sviluppo economico dell’Iraq, oltre alla cancellazione di ben 2,4 miliardi di Euro dal debito iracheno, il Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione del 2007, che ha previsto un credito d’aiuto totale di 400 milioni di euro, rappresenta un fattore decisivo per la collaborazione e il dialogo su molteplici aspetti di carattere economico sociale e culturale.
Lo scorso dicembre la Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (DGCS) della Farnesina, ha approvato una prima linea di credito di 100 milioni di euro da impiegare nel settore agricolo, il secondo traino dell’economia irachena dopo quello degli idrocarburi. Grazie a quest’intervento e all’annuncio di ulteriori 100 milioni da parte di Baghdad, per quest’anno è stato stimato un incremento del 20% delle esportazioni italiane per il settore agricolo rispetto all’anno precedente.
Particolarmente interessante per i nuovi scenari che potrebbero aprirsi di fronte a molte imprese italiane, è il Project Iraq 2012, la manifestazione fieristica più rilevante in Iraq, che si terrà ad Erbil (Kurdistan) dal 17 al 20 settembre prossimo. Il “Programma Iraq 2012” di Unioncamere, oltre a sostenere dal punto di vista organizzativo la presenza delle imprese italiane all’evento, ha previsto l’istituzione di una Italian Business Desk, patrocinata dall’Ambasciata d’Italia, con il compito di fornire un supporto permanente ad aziende, università, centri di ricerca ed a tutte le istituzioni presenti in Iraq.
Infine, dal punto di vista della collaborazione culturale, l’Italia è da tempo impegnata a supportare le attività di recupero e conservazione dell’immenso e prezioso patrimonio culturale di un’area che dagli addetti ai lavori è chiamata “la culla della civiltà mesopotamica”. In concreto, il Ministero degli Esteri ha contribuito in modo determinante alla riapertura del Museo di Baghdad ed all’allestimento del Museo virtuale dell’Iraq tramite il CNR, ha sostenuto il Programma delle attività post-belliche in campo archeologico eseguito dal Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino (CRAST) e ha fornito borse di studio e di ricerca a studenti iracheni, dando loro la possibilità di formarsi in Italia nel campo della conservazione dei beni culturali.
Lo scorso marzo, nel sito di Abu Tbeirah nei pressi di Nasiriyya, un team di quattro archeologi dell’Università La Sapienza presente in Iraq per la prima missione di scavi autorizzata dopo la fine delle Guerre del Golfo, ha portato alla luce il sepolcro del “piccolo principe” del Terzo millennio a.C. insieme a tutto il corredo funerario. Si tratta del fiore all’occhiello di una serie di ritrovamenti, in un’area che nasconderebbe un ricco ed articolato insediamento del Terzo millennio a.C., ovvero quando la Mesopotamia vide fiorire il primo impero universale.
Il quadro testé delineato sembra dunque fornire interessanti opportunità di sviluppo nei rapporti bilaterali Italia-Iraq sul piano economico, commerciale e, in ultima analisi anche, su quello culturale, dato l’interesse e la necessità di entrambi i Paesi di salvaguardare le ricchezze di un patrimonio culturale unico. Dal punto di vista commerciale si registra uno spiccato interesse da parte delle imprese italiane nei confronti dell’evoluzione politica ed economica che ha contraddistinto l’Iraq del dopo Saddam, soprattutto nella regione del Kurdistan, definita da molti addetti ai lavori come la nuova frontiera del business italiano, in virtù di progetti ambiziosi sia nel settore degli idrocarburi che in quello agricolo. Tuttavia, vista la complessità del contesto iracheno, appare imprescindibile una forte presenza delle istituzioni italiane come punto di riferimento ed interlocutore privilegiato di un Iraq dalle fondamenta democratiche ancora fragili, ma desideroso di recitare un ruolo fondamentale nell’affollato, e sempre più in fermento, scacchiere mediorientale.