“L’Italia in coma berlusconiano”. Chiesta al tribunale dell’Aja l’autorizzazione per staccare il respiratore
Creato il 22 settembre 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Silvio vive in un mondo tutto suo. Alice, al confronto, è una dilettante. Lei si accontenta di giocare con Bianconiglio, il gatto del Cheshire e il Cappellaio Matto, Berlusconi lo fa con sessanta milioni di italiani che di tutto avrebbero bisogno meno che di una favola. Sono ormai 17 lunghissimi anni che Silvio racconta favole, solo che erano e sono frottole; la differenza che passa fra i due termini gli amici leghisti andassero a trovarla sul dizionario. Il problema è che sessanta milioni di italiani, con qualche rara eccezione, alle frottole di Silvio ci hanno creduto fin dall’inizio. Alla politica del “supermercato”, quella che basta passare con il carrello e prendere tutto ciò che si vuole perché tanto alla cassa si paga con la carta di credito, gli italiani hanno creduto e continuano a credere nonostante i fatti, e le crescenti difficoltà economiche, stiano dimostrando esattamente il contrario. Abbiamo vissuto per anni oltre le nostre possibilità perché Silvio, le sue tivvù, il suo credo consumistico, il suo stesso regime di vita, ci hanno fatto credere che sarebbe stato possibile vivere come lui pur non avendo lo stesso conto in banca. Negli anni ’60, l’Italia basava la sua economia sulle cambiali. Bastava firmarne un pacco e a casa arrivavano il frigorifero, la lavatrice, il televisore e la famiglia poteva andare al mare con la Seicento. Oggi al posto delle cambiali ci sono le finanziarie che prestano soldi a tassi da usura ma consentono di comprarsi il suv, la barca, i pacchetti turistici esotici, le crociere, le seconde e terze case, le multiproprietà e soprattutto i cellulari, madonna quanti cellulari, sempre quelli di nuova generazione perché con i vecchi oltre che telefonare non puoi. Non ti chiedi a che cazzo serva un cellulare oltre che a telefonare, ma se non ti presenti con l’IPhone sei uno sfigato. L’altro giorno, uscendo di casa, ho incontrato due ragazzine che stavano parlando fra di loro e una delle due stava dicendo all’altra: “Mia madre va a vedere ‘Amici’ ma a me non mi porta. Ha detto che prima devo dimagrire”. In quel momento ho avuto la conferma che se ci sono tante zoccole ventenni, la colpa è delle mamme vissute nel mito di Berlusconi, e non delle figlie, per salvare le quali occorrerebbe rompere i coglioni, a tutte le ore del giorno e della notte, al Telefono Azzurro. Quando tempo fa abbiamo scritto che Silvio dovrebbe essere processato per “genocidio delle intelligenze”, non stavamo facendo una battuta, perché far credere a milioni di italiani, e alla maggioranza dei deputati, che lui ha telefonato alla questura di Milano per non causare un incidente diplomatico con l’Egitto, sentiamo che la nostra intelligenza sta lentamente morendo sotto i violenti colpi delle puttanate del presidente del Consiglio. Che il cervello di Silvio non sia più connesso con la realtà, e che stia vivendo in un mondo che non esiste, ce lo dimostrano i fatti accaduti nelle ultime ore. Riassumiamoli. Vertice con Bossi a Palazzo Grazioli. La domanda di Silvio a Umberto è: “Che dici, mi devo proprio dimettere? Se anche tu sei di questa opinione lo faccio, vado al Quirinale e mi dimetto”. Risposta di Bossi: “A me interessa solo la Padania. Arriviamo a fine anno e vediamo quello che succede”. Più che un colloquio fra statisti, quello intercorso fra Bossi e Berlusconi sembra una chiacchiera fra dementi, ma tanto basta a Silvio per chiamare l’autista, allertare la scorta, salire in macchina e andare da Napolitano per dirgli con il sorriso più smagliante che ha: “Caro Giorgio io non me ne vado. La maggioranza è solida. Il parlamento non mi sfiducerà mai. E poi ho il piano per salvare l’Italia e incentivare la crescita”. Il presidente Napolitano lo ascolta attentamente mentre i funzionari del Quirinale, preoccupatissimi, gli mostrano gli ultimi lanci d’agenzia: “Sette banche italiane declassate”. “Lo spread torna a 400”. “La borsa sta perdendo il 4 per cento netto”. E mentre il premier gli elenca (sempre per punti senza mai approfondire, sempre gli stessi da 17 anni, sempre derivanti dal libro dei sogni di Forza Italia), i rimedi per la crescita, Giorgio Napolitano si alza dalla poltrona presidenziale e, guardandolo fisso negli occhi, gli dice: “Silvio, ma te ne vai affanculo”. In un paese normale, il “vaffanculo” sarebbe stato la conclusione più decente, in Italia non si può perché “fino a quando ci saranno 316 pirla che continueranno a votare a suo favore, Silvio resta dov’è”. Ora ci si sono messi anche i “maroniti” che solo fino a ieri sembrava volessero votare a favore delle manette a Marco Milanese. Roberto Bobo Blues Maroni si è fatto i conti, e ha preso atto che non può accollarsi da solo la responsabilità della caduta del governo. Incurante anche lui di quello che pensa la base del suo partito (alla faccia del “popolo che ha sempre ragione”, come ha detto Reguzzoni tirando un calcio fra le palle di Napolitano), Bobo non ha nessuna voglia di tornare a fare il turnista in sala d’incisione, per cui, meglio viaggiare ancora per un po’ con la scorta e a spese dello Stato. Stamattina abbiamo dato un’occhiata alle prime pagine delle testate internazionali. A parte le vignette del Sun e dell’Indipendent, tutti gli altri giornali (americani e giapponesi compresi), evidenziano una sola notizia: “L’Italia è in coma berlusconiano”. Fra chi ironizza sul governo di Silvio e sui suoi rimedi anti-crisi, ci sono anche gli spagnoli El Mundo e El Pais. Quando anche Athens News, Ta Nea ed Eleutherotupia lo faranno vorrà dire che siamo alla frutta perché il dessert, a Silvio, non mancherà mai. Neppure a San Vittore.
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