diciassette, pomeriggio assolato caldo e umidiccio.
mi siedo accanto a un uomo, l’autobus è strapieno e non è solo l’unico posto a sedere, è proprio l’unico posto libero.
l’uomo puzza. molto. deve aver fatto un lavoro pesante per tutto il giorno, perchè puzza di sudore intenso, tremendo, irrespirabile e inevitabile. senza scampo, giro il viso verso il finestrino fingendo interesse per il marciapiede, ma non basta. il signore puzza, puzza puzza e puzza, non c’è verso.
mi sento in colpa. non può non puzzare. ha lavorato come un ciuco ed ed ancora accaldato dalla giornata terrificante. sono cresciuta col libro cuore e il “lavoro che non sporca mai”, mio nonno faceva il muratore e quando tornava dal campo e puzzava di sudore, zolfo, rame e cipolle arroventate dal sole mi spiegava che quando si lavora tanto si puzza, è normale e giusto così.
e col senso di colpa faccio tutto il viaggio schiacciata verso il finestrino, implorando una finestra aperta, un refolino d’aria che mi sollevi, anche solo per un attimo, dall’atmosfera mefistofelica.
penso anche di alzarmi, ma non c’è verso, l’autobus è un muro umano, pieno come un uovo, non avrebbe molto senso, non potrei andare lontano.
piano piano arrivo a santa maria novella, scendo e respiro a pieni polmoni il diesel dell’autobus di fronte con un sospiro di sollievo.
corro al bus per lucca, sono pure un pochino in ritardo.
il bus per lucca non c’è.
orario estivo mi dicono.
“ma se cambia il venti giugno…” ribatto.
“ci siamo portati avanti col lavoro”.
corro verso la stazione, c’è indicato un treno al binario sette che doveva partire alle cinque e mezzo ma che è in ritardo.
corro a perdifiato e lo prendo.
non parte.
parte alle 18:08, mettono insieme due treni, sapete, per risparmiare. finanza creativa.
mi siedo al sole e provo a sdraiarmi sul filo di aria condizionata che esce dalla grattugia alla mia sinistra.
appena un filo sottile.
inizio a sudare, la corsa, la tensione, il sole, il treno parcheggiato sotto la canicola.
la giornata mi arriva addosso come uno schiaffo, le corse, la stanchezza, i pensieri, il caldo, tutto mi fa da coperta e mi accalda.
non riesco a prendere fresco in alcun modo, spero solo che il treno parta presto.
salgono tedeschi rosa porcello e francesi dal nasino all’insù e il cappello di paglia, ma si siedono lontano.
piano piano il treno si riempie.
arrivano due ragazze piene di borse di negozi.
si siedono di fronte a me.
una delle due dopo due secondi esclama:
“certo che quando si sale su questi treni c’è una puzza!”