di Paolo Gila
Cado in piedi
Le agenzie di rating vivono un palese conflitto di interessi. Hanno partecipazioni di fondi il cui scopo è quello di investire sui mercati. Emettono giudizi su realtà di cui sono esse stesse azioniste. Negli ultimi anni, nonostante la crisi, hanno visto incrementare il loro valore
Che ruolo e che attendibilità possono essere attribuiti alle agenzie di rating?
"Dividiamo il discorso in due parti. Il ruolo che le tre agenzie di rating Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch oggi hanno nella rete della finanza globale è pesante, perché si spartiscono tra loro il 95-96% di un mercato, quello dei giudizi, che vale circa 5 miliardi e mezzo di dollari all’anno. Insieme, emettono mediamente ogni anno qualcosa come 2,5 milioni di rating, danno le pagelle agli stati, alle società, alle banche, a tutte quelle realtà che emettono titoli obbligazionari per finanziare dei progetti o per finanziare il debito.
L’attendibilità è, nello specifico, il fattore critico: quello che le agenzie emettono non è un giudizio scientifico, ma è un’opinione. Peraltro, questo è un fatto che talora consente la sopravvivenza stessa delle agenzie le quali, in caso di critiche, spesso si appellano alla Costituzione americana che, come tutte le Costituzioni democratiche oggi esistenti, sancisce la libertà di espressione e di opinione. Quindi, da un lato, l’etichetta di opinioni attribuita ai loro giudizi si traduce in un vantaggio; dall’altro, però, le agenzie sono oggetto di critiche proprio perché le loro valutazioni sono di fatto opinioni, non suffragate da metodologie scientifiche. Le agenzie infatti non spiegano come costruiscono i loro giudizi e, molto spesso, troviamo dei casi, come quello degli Usa, in cui ci sono rating molto positivi a fronte di debiti elevati e situazioni critiche, e altri casi invece in cui, a fronte di debiti contenuti e situazioni difficili ma non critiche, ci sono dei giudizi pesanti. C’è il fondato sospetto che esistano due pesi e due misure che tengano conto del soggetto che si va a valutare, ed è questa la ragione per cui la loro attendibilità è da mettere in dubbio."
Che significato hanno, dunque, i declassamenti a catena che colpiscono l’Europa?
"Il significato dei declassamenti è strettamente legato alle ripercussioni che producono. Quando recentemente S&P’s ha tolto la tripla A alla Francia , i centri studi dell’economia francese hanno calcolato che questo declassamento costerà alla Francia da qui ai prossimi anni, sino al 2015 circa, 10 miliardi di Euro in più di interessi da pagare. Ciò vuol dire che, con un giudizio di solvibilità inferiore, per ottenere prestiti sul mercato internazionale la Francia dovrà alzare il tasso di interesse e dunque sborsare più soldi per poter finanziare il proprio debito. È ovvio che ogni volta che le agenzie di rating annunciano che emetteranno un giudizio, magari negativo, a qualcuno tremano i polsi: chi è addetto ai conteggi dello Stato, ma anche i piccoli risparmiatori che investono sui titoli di Stato, si trovano di fronte a un abbassamento del valore dei titoli stessi, il che significa un incasso di gran lunga inferiore in caso di vendita. Risultano avvantaggiati, invece, coloro che andranno a prendere sul mercato i titoli che vengono emessi, perché avranno dei rendimenti maggiori, sebbene questo si accompagni a un aumento del rischio.
Quindi le agenzie di rating, che dovrebbero funzionare come regolatori del rischio all’interno dei mercati, molto spesso invece lo alimentano. C’è il sospetto che in determinate occasioni le agenzie di rating non lavorino con finalità propriamente tecniche, bensì mirino a rendere più o meno buona la reputazione di un determinato paese o di una determinata area."
C’è il sospetto che dietro le agenzie di rating si nascondano imponenti conflitti d’interesse…
"Il sospetto è fondato e viene suffragato da una serie di elementi. Se andiamo a vedere, come abbiamo fatto nel libro "I signori del rating", quali sono i principali azionisti delle agenzie di rating, troveremo che in particolare due, Standard & Poor’s e Moody’s, hanno partecipazioni di fondi il cui scopo è quello di investire sui mercati.
Queste agenzie infatti vantano tra i loro azionisti, coloro che sui mercati azionari e obbligazionari vanno a investire i capitali che hanno raccolto sul mercato. Questo è un primo grande conflitto di interessi, che fa rilevare come le agenzie non siano affatto neutrali. Di fatto, sono società per azioni che hanno fini di lucro e vantano all’interno della loro compagine azionaria dei soci che hanno precisi interessi sul mercato i quali, per loro stessa ammissione, entrano nell’azionariato delle agenzie perché queste, quotate in borsa, manifestano nel corso degli anni una crescita del loro valore. E’ un dato reale: Standard & Poor’s e Moody’s sono quotate al listino di New York e negli ultimi anni, nonostante la crisi e il deprezzamento di alcuni titoli, hanno visto incrementare il loro valore. Dunque, chi ha investito in titoli delle agenzie di rating, ha portato a casa dei guadagni e i soci azionisti (di fatto gli stessi) che hanno in mano il 30% dell’una e dell’altra, partecipano alle indicazioni delle agenzie di rating (due su tre) e nello stesso tempo investono sui titoli esistenti sul mercato.
Quindi esiste una filiera compositiva dove fondi di investimento entrano sul mercato, acquistano delle quote delle agenzie di rating, contemporaneamente acquistano delle quote di società quotate sui vari listini esistenti nel mondo, quindi per esempio ci sono dei fondi che partecipano a Standard & Poor’s, a Moody’s e poi in Italia investono su Eni, Banca Intesa, Banca Popolare di Milano, Unicredit. E’ come dire che le agenzie emettono i giudizi su realtà di cui hanno acquistato delle partecipazioni azionarie, quindi il conflitto di interessi, ma anche un certo condizionamento del mercato è insito nel meccanismo che ha consentito di portare avanti questo modello.
Un modello che ha potuto svilupparsi perché in America si parte dal principio che il mercato è il sovrano autoregolatore di sé stesso, quindi si lascia libertà al mercato di comporre al proprio interno le forze, le istituzioni, le società, le regole, in maniera tale che possa progredire nella libertà e nella deregolamentazione. In realtà, però, le cose non stanno esattamente così."
Quali previsioni si sente di fare per il futuro?
"Le previsioni per il futuro sono nella valutazione di alcune tendenze. Una tendenza conservatrice è quella che pone le agenzie di rating su una traiettoria di irrobustimento del loro valore, per cui finché non saranno contrastate avranno campo libero per poter andare avanti. Di contro, però, in America e nel mondo sono in corso delle indagini da parte della Magistratura, e stanno emergendo i conflitti di interesse che esistono all’interno di questo mondo.
Il rating in sé è una disciplina valida, corretta, che ha una funzione vantaggiosa per il mercato, dunque è auspicabile che non venga cancellata; occorre però sganciare questa disciplina da un oligopolio che si è concentrato su tre agenzie, e fare in modo che venga distribuita tra operatori diffusi a livello mondiale, quindi anche su scala regionale, affinché la cultura del rischio e della valutazione della sostenibilità di un debito, sia nello stesso tempo più diffusa e più condivisa a livello planetario.
Da una parte è auspicabile che alcune realtà come l’agenzia cinese Dagong si rafforzino, ma dall’altra è anche importante che si avvii un processo di costituzione di agenzie di rating anche in Europa, ponendo poi le valutazioni su un mercato competitivo e trasparente, e avendo cura che siano pubblicate anche le metodologie con cui si arriva a determinare un giudizio. L’agenzia di rating non deve dare solo giudizi, ma deve anche esporre all’opinione pubblica ancor più che agli addetti ai lavori, come questi giudizi sono stati costruiti. Oggi con il segreto che esiste sulle metodologie delle agenzie di rating, non sappiamo se la malattia è nel soggetto o è nel termometro che misura la febbre. Il compito del libro era proprio quello di mettere in rilievo che forse una certa malattia esiste anche perché il termometro non è tarato bene. Allora, bisogna condividere le scelte metodologiche di fondo che vadano a uniformare i criteri di misurazione, in maniera tale che di fronte a un Paese, come di fronte a un altro, non ci siano discriminazioni o favori."