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L’orchidea del diavolo

Creato il 22 novembre 2012 da Theartship

L’orchidea del diavoloAndrea M. Campo. Nel giardino di Anna è spuntato un fiore.

Ha petali neri come il petrolio, incrociati come mani in preghiera che salgono giunte sul gambo, fino in cima. Gli speroni guardano la terra e il suo cuore non produce mai altro fiore. Spuntano per caso, improvvisamente, vicino a una casa annunciando la morte di chi vi abita.

Trasportati lì da un’ape esasperata dai sapori di un girasole morente.

Anna è troppo piccola perché comprenda ma sua madre, non appena visto il fiore, ha soffocato un pianto, amaro come il polline di quel fiore su cui nessun insetto vuole posarsi.

La leggenda narra che il fiore del Diavolo, in principio, fosse un’orchidea gialla con lunghi pistilli arancioni volti al sole. Ogni giorno una giovane portava l’acqua allo sventurato fiore, cresciuto tra due rocce in un terreno arido. Un mattino la Morte, in cerca di un’anima da falciare, vide la bella ragazza dormire accanto al suo fiore. Si avvicinò silenziosa ma, prima che potesse assestare il colpo, il fiore iniziò a cantare svegliando la giovane che fuggì ed ebbe salva la vita. La Morte, furiosa, invocò il Diavolo che portò pece e zolfo dagli inferi e ricoprì di fuliggine il piccolo fiore, condannandolo per sempre al suo presagio di morte.

“Mamma mi porti un po’ d’acqua” chiese la piccola Anna.

Cancellando le tracce del pianto, la madre trascinò le gambe fino su in cima tra gli scalini traballanti.

“Ciao Creaturina, come stai?” domandò con dolcezza. La voce tremante svelava il suo dolore. Accanto al letto della bimba, la finestra faceva da cornice al fiore maledetto. Avvolto da un’aura cupa, esalava un profumo zuccherino, mieloso ma privo di vita; l’odore artefatto della morte.

“Mamma io morirò?”.

“Non morirai, te lo prometto”.

Mentiva più a sé che alla piccola. Mentiva impotente davanti alla crudeltà del destino, mentiva per fuggire al cappio della paura: lenta e inesorabile le stringeva il collo lasciandola senza fiato. E lei provava a rifugiarsi in quei grandi occhi blu spaventati, innocenti e stanchi, segnati da un dolore troppo grande per un corpo ancora acerbo. Anna si addormentò e lei chiuse gli occhi tenendole la mano.

Passarono ore o forse mille anni. Misurare il tempo era impossibile e, quando riaprì le palpebre, Anna respirava affannosamente. Guardò fuori e il fiore non c’era più ma avvertì il freddo intenso del sonno eterno. Si voltò. Un manto nero copriva una figura esile e inquietante, un vuoto immenso da cui giungevano le urla delle anime dannate. Gli Occhi imperscrutabili del Nulla raccontavano la guerra, le malattie, l’odio delle epoche passate e l’incertezza dell’avvenire. Una voce profonda e grave parlò.

“E’ giunta l’ora. Devi venire con me”.

“Lasciala stare maledetta. Figlia del diavolo, invisa a Dio e alle creature viventi” urlò la madre disperata.

“Perché prendi lei, innocente e pura? Non è ancora giunto il suo tempo, perché non prendi me? Il mio corpo è stanco e invalido e la mia mente non è lucida ma cosa cambia per te che mieti le ombre, vivi nell’oscurità e risorgi solo per pochi attimi dal buio?”.

La Morte si fermò e sfiancata si sedette accanto alla madre.

“Quante volte una madre, un padre, un fratello o una sorella, un figlio o un amante, mi ha accusato di essere ingiusta. Se prendessi la tua anima anziché la sua, lei piangerebbe ogni giorno per la tua condanna. Sola e abbandonata si rimprovererebbe per il resto della vita di aver avuto indietro la sua vita per la tua. E voi umani non chiamate questo, egoismo? Tu soffri per il tuo dolore, non per il suo. Piangi lacrime per quello che dovrai patire ma lei sarà libera”.

Anna non aveva paura, non conosceva abbastanza la vita da temere la morte. Poggiò la guancia nivea sul cuscino e serena si rivolse alla tetra figura.

“Parlerò a mia madre e, rassicurata, non si opporrà; prima, però, vorrei avere una risposta da te”.

Persuasa dalla sicurezza della piccola Anna, la Morte chiese al Tempo un momento per esaudirne il desiderio. Secondo il libro del Destino la morte di una bimba sarebbe avvenuta allo scoccare della mezzanotte: al dodicesimo rintocco l’eterno debito verso Dio sarebbe stato saldato. Per undici volte l’antico orologio a parete lasciò riecheggiare il suo canto inesorabile attraverso le stanze della casa, poi, le lancette si fermarono.

“Parla piccola, chiedimi pure ciò che vuoi, ma concederò una sola domanda” disse la voce tenebrosa.

“Ho trascorso poco tempo su questa terra, la vita non ha né senso né valore per me, e ancora di meno ne ha la morte” disse Anna “Non mi è stata offerta la possibilità di guadagnarmi il paradiso o l’inferno. Il tempo è tutto ciò che ho per essere degna. O per meritare l’eterna condanna. Come può essere giudicato chi, come me, non ha avuto vita?”.

“L’essenza dell’eternità, che costituisce i mondi di cui tu parli, è per me incomprensibile. La nostra sostanza è diversa. Io sono figlia del Destino. E il Destino agisce attraverso le tre fanciulle che governano la vita. La più giovane fila lo stame, la seconda lo svolge dal fuso e infine la più anziana lo recide. Quest’ultima ha il compito più ingrato, piange senza sosta e con la vista offuscata dalle lacrime non vede dove feriranno le sue cesoie. Alcune volte le fanciulle generano una fibra densa, di valore e resistente, altre volte invece il filo non riesce a fare neanche un giro attorno al fuso. Così, alcuni uomini avranno un’esistenza lunga e felice, altri conosceranno solo il dolore, e altri ancora avranno così poco tempo a loro disposizione che non conosceranno né l’uno né l’altro. Al Caso non importa che tu abbia vissuto un minuto o cento anni, sarà la tua anima a essere giudicata e non il tuo corpo”.

Anna non comprendeva. Ogni singolo istante della vita perdeva significato.

Improvvisamente da una culla rosa salì il vagito disperato della sorella di Anna appena nata. La madre prese in braccio la neonata e l’adagiò sul petto della bimba per darle l’ultimo saluto.

“Non c’è più tempo ormai” disse la Morte e l’orologio batté il dodicesimo rintocco.

“Non ho paura” rispose sicura la piccola Anna “sono pronta” e chiuse gli occhi stringendo forte a sé la sorellina.

“Io non sono qui per te, sono qui per lei” precisò la Morte indicando l’esserino che piangeva nell’abbraccio. Sollevò la falce ma la madre mostrò il petto al fendente.

“Fermati ti prego, prendi me” supplicava la donna. La lama la trapassò senza ferirla e si conficcò nel cuore di Anna, che si era posta fra la falce e la sorellina. Anna non fiatò e continuo a stringere forte a sé la piccola.

La falce cominciò a decomporsi spargendo una polvere nera ai piedi del letto. Anna non provava alcun dolore aspettando di cadere a terra esanime da un momento all’altro. Non accade nulla. Si voltò e vide la Morte placarsi nel buio della stanza.

“Il filo è stato già reciso, non puoi cambiare ciò che è stato scritto” disse svanendo, a poco a poco, in un angolo remoto. Anna allentò la presa e guardò la sua sorellina. Aveva smesso di respirare.

La Morte, però, le aveva concesso un altro istante di vita. Un secondo in cui tutto l’amore della madre e della sorella poté avvolgere la neonata e il cui calore l’avrebbe protetta nel cammino verso l’Aldilà.

Sul seno ancora acerbo di Anna si formò una piccola cicatrice a forma di fiore, quel fiore maledetto, che, innamorato di Anna, durante una notte di luna piena, le aveva svelato il segreto della Morte: solo un cuore candido e sincero come il suo avrebbe potuto combattere l’inesorabile cammino del Destino.

La Morte aveva fatto quel che doveva ma prima di rimettersi in cammino si rivolse alla piccola coraggiosa. “Il tuo amore e la tua audacia saranno ricordati per sempre. La terra porterà il segno della bimba che ha osato sfidare la Morte. Sei coraggiosa piccola Anna, sei una bimba coraggiosa” e così dicendo sparì del tutto.

La madre aprì lentamente le palpebre. Nel torpore non riusciva ancora a distinguere la figura di Anna. Era stato un sogno o il lontano ricordo di un’anima lacerata. Anna dormiva serena e la sua mano lentamente addolciva la presa. Uno strano brivido percorse le membra della madre: un tepore delizioso e lacerante; nonostante il crudele destino, la piccola Anna non avrebbe conosciuto dolore e paura.

A pochi giorni dalla sua morte, sulla tomba spuntò un piccolo fiore dai petali iridescenti: era il fiore maledetto che, persa la fuliggine del Diavolo, si era tinto del rosso sangue del cuore di Anna. Il suo gambo era resistente al freddo invernale e superava le più aride estati. Al mattino volgeva lo sguardo al sole e la sera si inchinava al cielo pregando per la bimba. E ogni volta che la luna piena appariva tra le stelle, allo scoccare del dodicesimo rintocco, la piccola orchidea rossa si apriva e versava una lacrima della propria essenza, come la coraggiosa Anna, che nel sogno di sua madre, aveva offerto una lacrima della propria anima per proteggere la sorellina mai nata.


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