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L'Ottavo giorno

Creato il 24 aprile 2012 da Eraserhead
L'Ottavo giornoL'Ottavo giorno (1996), opera di mezzo che arriva 5 anni dopo Toto le héros e 13 prima di Mr. Nobody, è un film pervaso da una certa tregua poetica dove Van Dormael tira le redini del suo cavallo che puntando le zampe un po’ prima del confine fantasia/realtà resta, all’incirca, nel campo realista.
Non è un caso se il prologo e l’epilogo siano i segmenti più riusciti del film, perché è qui che il belga dà sfoggio della sua visione (infantile) del mondo in cui è l’immaginazione a spadroneggiare: la genesi biblica viene riplasmata secondo i dettami di uno spirito innocente; in principio non sono le tenebre, né il verbo, ma lo schermo di una televisione con dentro Luis Mariano che canta. Van Dormael, come d’abitudine, disfa e ricrea il Mondo, ma solo agli estremi della sua creatura il cui cuore, invece, non raggiunge la bellezza dei due film sopraccitati.
Scorazzando sul versante realistico, e a tratti sembra proprio di trovarci di fronte ad un road-movie, è inevitabile che il cinema vandormaeliano si depotenzi limitandosi ad un’esposizione lineare. Tuttavia non si imputa nulla al regista in merito all’accantonamento di un registro inventivo, piuttosto le accuse vengono rivolte alla scelta di aver lavorato in direzione di una sola meta, quella del sentimentalismo facile, miniaturizzando una storia a favoletta elementare con annessa morale.
Il pilota automatico è inserito soprattutto nella delineazione del personaggio di Auteuil che viene descritto con una sfilza di preconcetti, si ha infatti un uomo la cui vita è occupata da un lavoro che l’ha resa grigia e monotona, e che ha relegato sullo sfondo la famiglia e gli affetti.
Quindi, ad un tale identikit l’idea di affiancare un co-protagonista come Georges, ragazzo affetto dalla sindrome di down presente in tutti i film di Jaco, espande i margini di predizione laddove la presenza di due uomini così agli antipodi segna, comunque, una reciproca completezza.
Ma il fatto di annoverare un diversamente abile nel cast ed incaricarlo di un ruolo chiave, risulta a mio avviso una mossa scorretta nei confronti dello spettatore, un’astuzia che tocca le soglie della commiserazione. Beninteso, Georges è tanto simpatico quanto tenero e scalfirà anche l’animo più granitico, ma sfondare il muro dell’empatia in tale maniera è davvero troppo facile.
Se non bastasse questa modellazione dei character, è il corpo del film a viaggiare su binari prestabiliti; la progressione della sceneggiatura è profetizzabile praticamente in ogni suo risvolto (davvero pensavate che Harry potesse lasciare l’amico sotto la pioggia?) – ad esclusione delle “visioni” di Georges che ingioiellano una pellicola altrimenti troppo piatta – compreso il nocciolo della questione (sì, la morale) per cui un “mongoloide” per quanto possa apparire tonto è migliore di una persona “normale”.  
La tesi è dunque snocciolata in siffatta maniera, e se davvero non ci fossero stati i piccoli slanci del Van Dormael che conosciamo, staremmo qui a parlare di un film non riuscito sotto tutte le angolazioni di giudizio. Ma per fortuna ci sono, e riescono ad arginare un poco la marea di melassa e banalità sprigionata dalla proiezione.

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