Popolazione in fuga da Goma, foto dalla rete
Oramai è guerra franca. Se ne sono accorti tutti, ne parlano i giornali e perfino le televisioni nazionali. Da quando i ribelli del M23 hanno conquistato la città di Goma, in Kivu è tornato, per una parte del mondo, ad esistere. Certo non è che prima in quella regione della Repubblica Democratica del Congo (paese grande quanto metà dell'Unione Europea, con 72 milioni di abitanti) le cose andassero bene e la popolazione vivesse in pace e prosperità (proprio una decina di giorni fa Sancara aveva pubblicato questo post sulla mattanza nel Kivu). La regione, che si trova al confine con Burundi, Ruanda ed Uganda, è nel caos più totale a partire da metà degli anni '90, quando nel corso del genocidio del Ruanda (iniziato il 6 aprile del 1994) si riversarono in massa nel paese prima i profughi (Tutsi e Hutu moderati) e successivamente gli stessi autori del massacro ruandese.Da allora per la popolazione del Kivu è iniziato un calvario inaudito, in cui le peggiori tecniche di guerra prodotte dal genere umano sono state applicate in modo sistematico. Torture, stupri di massa, mutilazioni, costrizione alla schiavitù, arruolamento di bambini soldato, omicidi e distruzioni e saccheggi di ogni genere. Sono oltre 5 milioni le vittime in questi 18 anni.Provare a far ordine tra i vari gruppi sul campo, che nascono come funghi (si parla oggi di 35 diverse fazioni in gioco) tra i vari carnefici che a turno si sono messi alla guida di questi o di quelli, è un'impresa titanica e che alla fine porta, forse, a poco. Oggi il mondo intero parla di M23 (che non è altro che la data del 23 marzo 2009) quando fu siglato uno degli innumerevoli accordi tra il governo e il CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) e che prevedeva il reintegro dei ribelli (tutti di "etnia" tutsi) nell'esercito "regolare", cosa mai avvenuta anche perchè sostanzialmente non voluta.
I nomi di Bosco Ntaganda (soprannominato Terminator), Sultani Makenga, Sylvestre Mudacumura e Vianey Kazarama a noi non dicono nulla. Ma per chi ha visto l'intera famiglia sterminata per mano degli uomini da loro guidati, questi nomi evocato paura, terrore e rabbia. Tutti sono ricercati dalla giustizia internazionale, che francamente in un luoghi dove qualsiasi sistema democratico e amministrativo è saltato, conta veramente poco.
La regione del Kivu è una miniera. Nel suo straordinario paesaggio (le sue terre e le sue montagne ospitano meravigliosi parchi più volte violati e devastati) nasconde stagno, tantalio (coltan), tungsteno, zinco e oro (ecco un post di Sancara che commenta un rapporto delle Nazioni Unite su questo tema) oltre che di legname. Il controllo di queste risorse è all'origine di qualsiasi cosa.
Un recentissimo rapporto (ecco un articolo pubblicato oggi su Atlas) delle Nazioni Unite ha evidenziato, con ricca documentazione, cioè che da sempre si diceva. Dietro a questi gruppi di assassini vi sono il Ruanda e l'Uganda. Che in cambio di una abbondante fornitura di armi (i gruppi sono tutti ben armati) riceve i minerali che vengono poi immessi nel mercato "normale" (non dimentichiamo che gran parte dei minerali sono usati nella nostra industria dell'elettronica) traendo enormi profitti. Ad essere chiamato in causa nel rapporto è direttamente il Ministro della Difesa ruandese.Sintetizzando e semplificando molto la situazione, il Ruanda intervenne massicciamente nel Kivu subito dopo il genocidio del 1994, favorendo la costituzione di gruppi armati che avevano lo scopo dichiarato di scovare e "vendicarsi" di coloro i quali avevano compiuto il massacro in Ruanda. Gli stessi ruandesi contribuirono in modo deciso alla cacciata nel 1997 di Mobuto nell'allora Zaire e alla presa di potere di Laurent Kabila (sono coinvolti anche nella sua morte). Negli anni questi obiettivi sono cambiati e oggi l'interesse primo è quello economico, con la chiara intenzione di estendere, nei fatti, il proprio dominio territoriale al Kivu e controllare così ricchezze di cui il Ruanda è privo. Il Ruanda da tempo figura come esportatore di materie che non possiede, nell'assoluta complicità del resto del mondo. Molte delle aziende europee che trattano coltan o altro, hanno sede a Kigali.
L'operazione in corso (l'avanzata) sembra avere proprio l'obiettivo di svuotare, con la forza, il territorio.
Chi rischia di uscire politicamente sconfitta da questa situazione sono proprio le Nazione Unite, che seppur presente nell'area con oltre 16 mila uomini, non è assolutamente in grado di tutelare le popolazioni civili ne quantomeno di impedire gli innumerevoli eccessi. Ancor meno l'ONU sembra capace oggi di bloccare i burattinai di Kigali e di Kampala di questo caos.
Chi sicuramente paga una prezzo inaudito è la popolazione civile del Kivu, costretta continuamente alla fuga tra dolore e disperazione per le violenze. Solo in queste ore di parla di centinaia di migliaia di persone (molte donne e bambini) in fuga, tanto che l'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha lanciato un appello ai governi per non chiudere le frontiere.
Se non si interviene sulla vendita (e sull'acquisto) delle materie prime provenienti dalla regione dei Grandi Laghi, la situazione difficilmente potrà migliorare.