Era l’estate del ’94, io avevo 11 anni mentre la prima versione dell’internet si era evoluto nel world wide web appena quattro anni prima, nel 1991. I social network lasciavano ancora il posto ai giochi nell’immaginazione di qualche strano ragazzo che nel giro di nemmeno un ventennio avrebbe reso famosa la Silicon Valley. Di li a poche ore, qualche centiniaio di miglia più a sud, lungo l’Intestate 5 (che corre parallela all’Oceano Pacifico), Italia e Brasile si sarebbero sfidate calpestando l’erba del Rose Bowl nella calda arsura di Pasadena.
Ero solito giocare a pallone nel cortile del palazzo dove vivevo all’epoca, al numero 54. Anche quel giorno, con il caldo che schioppava gli anziani modenesi, mi trovavo a tirar calci alla sfera insieme agli amichetti del circondario. Le maledizioni dei condomini che squarciavano le silenziose tre del pomeriggio di quel caldo luglio non ci intimorivano, non lo avevano mai fatto. Di tanto in tanto uno di noi si fiondava in missione al bar che si trovava appena fuori del cancello, alla ricerca di qualunque cosa vagamente refrigerante. Dopo varie sortite degli amici il bar era toccato anche a me.
Seduti ai tavolini sostavano incollati alla videocronaca di Pizzul quelli che anni dopo avrei definito i vitelloni di viale Reiter, un guazzabuglio di quasi trentenni mal assortiti e improbabili. Fu allora che sentii nominare per la prima volta Silvio Berlusconi. Lo ricordo chiaramente perché, mentre noi ragazzini ce ne stavamo ad emulare le mosse dei vari Baggio e Baresi nel cortile, quelli, i vitelloni di Viale Reiter, seppur incollati apparentemente davanti alla cronaca rai dei Mondiali, ad un ascolto più attento, stavano a discutere animatamente e con una ritrovata giovinezza di un’altra discesa in campo: quella del Cavaliere. La questione, a posteriori, credo mi sia rimasta impressa per quello. Come si poteva anche minimamente concepire una cosa del genere? Ritornai nel cortile ma in quel momento, da undicenne, non diedi più di tanta importanza alla faccenda, anche perché io chi fosse questo Silvio Berlusconi nemmeno lo sapevo, io per giunta ero pure Interista.
Peccato che nei mesi seguenti mi risultò inevitabile non prendere malauguratamente confidenza con quel nome che rimbombava e rimpallava da un canale all’altro. Poi però verso Natale la cosa sfumò e di quel signore non si sentì più parlare. E la storia avrebbe senso così, con questo finale: e di lui non si sentì più parlare. Ma non è una favola a lieto fine per bambini. Io sono cresciuto e alla fine con Berlusconi ho praticamente fatto i conti dalla giovinezza, passando per pubertà, adolescenza, prima morosa, primo rapporto sessuale, prima identità politica, prime manifestazioni di piazza, primo lavoro e via fino alla maturità arrivando ad oggi.
Ora, voi che detestate tanto Silvio Berlusconi, ma che siete nati prima di quelli della mia generazione, pensate: praticamente gli anni più belli della vostra vita, del vostro idealismo politico, dei sogni e pure delle beate illusioni, passati con quello, in un paese praticamente governato sempre o quasi solo da quello, con le tv che parlano di quello, i giornali che scrivono di quello, la sinistra che non si sa come ma parla sempre solo di quello. Perfino i collegamenti dai derby di Milano in cui alla fine si parlava di quello, nati in un paese dove non c’è praticamente stata la possibilità di conoscere una televisione e una informazione che non fosse quella plasmata da quello. Liti con gli amici che difendono quello, perché non tutti sono perfetti, e poi anni passati ogni volta a sperare che l’inciucio, il processo, l’intercettazione fosse l’inciampo finale, definitivo e pure palese, ma niente perché quello restava sempre al suo posto.
Quello, quello, quello. Poi la congiunzione astrale, perché solo quella e non le opposizioni poteva fermarlo forse, perché il condizionale è d’obbligo, è arrivata. Piano piano si è messa in moto, a tessuto i fili, sempre più stretti, eh no sfiga, ha finito che ci ha ramazzati a tutti anche noi, ma non importa, sopportiamo stringendo i denti, e alla fine arriva il giorno, che dovrebbe essere l’ultimo per quello. E vaffanculo, ora mi dicono ancora venti giorni? Venti giorni di quello direte voi non sono niente, dopo vent’anni. Un ventennio, in cui siamo rimasti fermi, all’impalo senza muoverci di un millesimo.
Ora non a caso all’inizio del post parlavo del ventennio riferito alla Silicon Valley, per dare l’idea, fare l’esempio di come in due decadi una generazione o poco più può rivoluzionare il mondo e di come nello stesso tempo un uomo solo al comando può portare alla retromarcia una nazione. Evoluzione, involuzione. Mo’ diamoci una mossa, perché alla prossima la rabbia, l’esasperazione non si potranno più biasimare.
Quello del 94 è stato il mio ultimo cortile, l’ultima estate in cui ci giocai, perché poi sono cresciuto e sono arrivati altri interessi e via dicendo. Ma la sensazione, se mi guardo indietro è quella di non essere mai uscito da quel cortile, e con me il paese. Come se il tempo si fosse fermato. Abbiamo vent’anni da recuperare e venti giorni per dare seriamente una direzione e una spinta a questa rincorsa.