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L’Uomo di Kennewick 4: La biografia delle ossa (parte 2)

Creato il 30 dicembre 2014 da Davide

Le ossa dell’Uomo di Kennewick ci dicono che la sua vita fu dura e i segni riflettono il suo stile di vita. Molti anni prima di morire un grave colpo gli fratturò sei costole: forse era in viaggio quando l’incidente avvenne e non ebbe tempo sufficiente per rimettersi. Inoltre, dato che usava il braccio destro per scagliare i suoi dardi, cinque costole sul lato destro non riuscirono mai a saldarsi completamente. Aveva anche due piccole depressioni da frattura sul cranio, una sulla fronte e l’altra più indietro. In realtà queste ammaccature sono presenti su circa la metà dei crani americani preistorici: potevano essere causati da un proiettile tipo un sasso scagliato contro di lui oppure da un incidente con le bolas. Le bolas sono composte da due o tre pietre connesse con una corda, che viene fatta roteare sopra la testa e scagliata contro gli uccelli per intrappolarli. Se uno non fa roteare le bolas correttamente le pietre possono colpire invece il lanciatore. E’ possibile che l’Uomo di Kennewick abbia subito l’increscioso infortunio mentre stava imparando a usare le bolas da ragazzo. Certo, poteva essere stato colpito da pietre cadute mentre scavava un dirupo per qualche motivo ed è possibile che in quella occasione si sia fratturato le costole.

La ferita più notevole che ricevette fu quella al fianco e fu fortunato. Il dardo fu scagliato da una certa distanza da una persona che lo lanciò, probabilmente con un propulsore, non direttamente di fronte ma al suo fianco a un angolo di circa 60 gradi e lo colpì con una traiettoria verso il basso di 29 gradi, conficcandosi profondamente nell’osso del fianco, frantumando la punta di selce e mancando la cavità addominale di pochissimo. Se avesse colpito la pancia il nostro Uomo di Kennewick sarebbe morto di infezione. La ferita avvenne quando lui aveva tra i 15 e i 20 anni e probabilmente non sarebbe sopravvissuto se non avesse avuto chi lo curava. Comunque si rimise in forma tanto da non restare zoppo, come è dimostrato dalla simmetria dei legamenti dei glutei alle ossa del bacino.

Con la consueta perversa e ottusa ostinazione il Genio militare non ha finora permesso agli scienziati di analizzare la punta di pietra, anche se i test non sono distruttivi, un’indagine che potrebbe rivelare da quale cava proveniva. Le scansioni CT hanno rivelato una punta con 54 millimetri di base, lunga 5 cm., larga quasi 2 cm. e spessa circa 6-7 mm., fogliata dentellata che Chatters identifica come una punta di lancia di tipo Cascades tipica degli assemblaggi del Plateau meridionale tra l’8.500 e il 4.500 BP. Altri antropologi forensi però osservano che stili simili erano usati anche altrove nel Nord America occidentale e in Australia nel XIX secolo. Dennis Stanford, dello Smithsonian, crede che se si potesse sapere da dove proveniva la pietra, potremmo avere una buona idea di dove fosse vissuto da giovane e da dove proveniva l’Uomo di Kennewick e nella sua analisi scrive che anche se lui pensa che l’Uomo di Kennewick abbia ricevuto la ferita in America, è possibile un’origine asiatica della pietra. Potremmo sapere anche in che contesto l’Uomo di Kennewick è stato ferito e chi poteva averlo fatto. Era una persona che lo considerava una minaccia perché era entrato nel suo territorio? Si trattava di uno scontro tra bande oppure di uno scontro interno alla banda di cui faceva parte l’Uomo di Kennewick? Oppure egli era stato colpito da fuoco amico durante una battuta di caccia?

Secondo Haas (2001) i primi segni di violenza o conflitto che appaiono in archeologia appartengono al Paleolitico: tra i 20.000 e i 30.000 anni fa alcuni scheletri in Europa e in Egitto riportano segni di violenza, come punte di selce conficcate nelle ossa e fratture craniali depresse, mentre nelle Americhe vi sono simili isolati episodi di violenza nell’analogo Periodo Paleoindiano tra i 7.000 e i 12.000 anni fa, il periodo a cui appartiene l’Uomo di Kennewick. In effetti il numero di casi dimostrabili di violenza è scarso e si dipana su un periodo di oltre 10.000 anni: ogni caso è un incidente isolato e mai parte di uno schema più grande. Non vi sono indicazioni di strategie di villaggi con difese né alcun altro marcatore della guerra, ma è anche vero che questi marcatori sarebbero assai difficili da individuare in popolazioni nomadi a bassa densità demografica che sono vissute tre i venti e i trentamila anni fa. I dati attuali non ci permettono di capire se abbiamo a che fare con un comportamento omicida all’interno di una comunità oppure con un più ampio conflitto tra comunità differenti. Non possiamo dire che la guerra era assente del tutto nel Paleolitico, ma se esisteva doveva essere episodica e infrequente, di certo non diffusa e inevitabile parte della vita di allora. Non possiamo dire se l’origine della guerra si estende oltre i circa 15.000 anni fa, nel Periodo Paleoindiano americano, mentre prove sempre maggiori dell’esistenza della guerra si trovano nel periodo immediatamente precedente lo sviluppo dei villaggi sedentari degli agricoltori. In Europa esiste un’altra manciata di casi di trauma osseo e individui uccisi da dardi nel Mesolitico in siti datati tra i 10.000 e i 20.000 anni fa. Vi sono anche occasionali pitture rupestri che sono state interpretate come possibili episodi di guerra in Europa e in Australia vi sono episodi di conflitto nell’arte rupestre che sono datati al 10.000 BP. In Egitto un sito cimiteriale usato più volte a Gebel Sahaba contiene la più chiara dimostrazione di guerra durante il periodo tra il 14.000 e il 12.000 BP.

Comunque sia, l’Uomo di Kennewick, anche se proveniva da luoghi lontani, non fu un visitatore sgradito, dato che fu sepolto da gente che trattò i suoi resti con rispetto. Questo ovviamente supponendo che sia stato sepolto dagli ospiti e non dai suoi probabili compagni di viaggio. Egli morì forse a 40 anni circa per una malattia sconosciuta al momento e fu deliberatamente sepolto in una posizione estesa a faccia in su, con il capo leggermente più alto dei piedi, il mento pressato sul petto, in una tomba profonda circa 80 cm. L’antropologo Owsley dedusse queste informazioni in parte mappando la distribuzione della crosta di carbonato di calcio sulle ossa, usando una lente d’ingrandimento. Questa crosta è più spessa sulla parte inferiore delle ossa sepolte, facendo così capire quale superficie si trovava sopra e quale sotto. Le ossa non mostravano segni di animali necrofagi ed erano state deliberatamente sepolte sotto lo strato superficiale del terreno. Analizzando i depositi di alghe e i segni lasciati dall’acqua, gli studiosi hanno determinato quali ossa furono dilavate per prime dal terrapieno sulla riva del Columbia e quali caddero in acqua per ultime. L’Uomo di Kennewick era stato sepolto con il fianco sinistro verso il fiume e la testa in direzione della sorgente.

Il volto dell’Uomo di Kennewick manca delle caratteristiche del classico ceppo mongolico a cui appartengono i moderni Nativi Americani. Era dolicocefalo (indice cranico 73,8), cioè allungato, la faccia stretta e prognata, piuttosto che essere dolicocefalo con faccia ampia e piatta come i moderni amerindiani. I suoi zigomi arretrano leggermente e mancano di una proiezione zigomatica inferiore, l’orlo inferiore dell’orbita è in pari con quello superiore. Altri tratti caratteristici sono un naso ampio e lungo che si proietta all’infuori in modo marcato dalla faccia e dalle orbite alte e rotonde. La mandibola è a forma di V, con un mento profondo e pronunciato. Lo Studio EIS di Brooklyn a New York, specializzato in ricostruzioni per i musei, ha lavorato sul calco di creta del teschio già marcato da dozzine di punti per determinare la profondità dei tessuti in quei punti, sotto la supervisione degli antropologi. Gli scultori hanno dato un’età al volto, aggiungendo rughe e stagionandolo per rendere l’aspetto e il colore abbronzato di un uomo che viveva all’aria aperta, e facendo anche apparire la cicatrice che aveva sulla fronte. Per rendere i dettagli più fini si sono basati sulle foto storiche di Ainu e Polinesiani e gli hanno dato un’espressione in carattere con la sua biografia ossea, il volto risoluto di un cacciatore-pescatore e viaggiatore su lunga distanza. Hanno aggiunto una folta barba come quelle che si trovano di solito tra gli Ainu.

Oggi le ossa dell’Uomo di Kennewick restano nei depositi del Museo Burke a Seattle, mentre le tribù continuano a volerle seppellire, ma hanno rinunciato a portare il caso alla Corte Suprema per il fondato timore di avere il ricorso respinto con una sentenza negativa. Nonostante ben due verdetti favorevoli, gli scienziati non sono ancora riusciti a rompere l’ostinata ostilità del Genio militare, che ha rifiutato di concedere numerosi test, da quelli sulla punta di selce a quelli per l’esame istologico di sezioni macchiate dell’osso che aiuterebbe a fissare l’età della morte dell’Uomo di Kennewick, alle analisi chimiche di un dente che restringerebbero la ricerca dell’area di provenienza dell’Uomo identificando cosa mangiava e beveva da bambino. Un dente sarebbe anche una buona fonte di DNA. L’avanzata velocissima della scienza biomolecolare potrebbe farci sapere nel giro di cinque anni o meno di che malattia l’Uomo è morto e molte altre informazioni potrebbero essere ricavate da altri scienziati che riuscissero a rompere il muro di ostilità burocratica e fondamentalismo religioso che hanno accompagnato la storia moderna dell’Uomo di Kennewick.

Bibliografia

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(fine)


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