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L'uscita di Chuck Hagel segna il cambio di strategia di Obama in Medio Oriente

Creato il 24 novembre 2014 da Pfg1971

L'uscita di Chuck Hagel segna il cambio di strategia di Obama in Medio Oriente

L'uscita di Chuck Hagel segna il cambio di strategia di Obama in Medio Oriente

Dopo nemmeno due anni dalla sua nomina come Segretario alla Difesa della seconda amministrazione di Barack Obama, Chuck Hagel esce di scena.

 

L’ex senatore repubblicano, conosciuto dal presidente nella loro comune esperienza nella camera alta della democrazia americana, lascia un incarico prestigioso già ricoperto da autentici giganti della recente storia statunitense come Henry Stimson o Robert McNamara.

 

Secondo alcuni, il suo avvicendamento sarebbe da attribuirsi alla dura debacle subita dai democratici alle elezioni di mid term dello scorso 4 novembre, in cui dopo aver perso, nel 2010, il controllo della Camera, il partito del presidente ha dovuto cedere ai repubblicani anche il Senato.

 

La sconfitta subita avrebbe a che fare anche con una fallimentare politica estera dell’amministrazione, accusata di non aver saputo gestire in modo appropriato la epidemia di Ebola in Africa o di non aver risposto con efficacia alla sfida estremista islamica dell’Isis.

 

Di conseguenza, molti commentatori hanno osservato che per tacitare i suoi critici, Obama sarebbe stato costretto a far rotolare qualche testa di rilievo ed ecco quindi come si spiegano le dimissioni anticipate di Hagel.

 

In realtà, una simile spiegazione contrasta in maniera stridente con i veri fattori che determinano l’esito delle elezioni parlamentari americane, in particolare quelle di mid term, dove sulla scheda non si legge mai il nome del candidato alla Casa Bianca.

 

L’esito delle urne statunitensi non viene quasi mai influenzato dalle scelte di politica estera del presidente, a meno di avvenimenti davvero eclatanti come l’attacco giapponese a Pearl Harbour del 7 dicembre 1941 o l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

 

Anzi, è proprio nelle relazioni con il mondo esterno che i presidenti dispongono di una libertà d’azione molto ampia, scarsamente controllata dall’opinione pubblica e che interessa davvero poco agli elettori che si recano al voto ogni due anni.

 

Come sostenne Bill Clinton nei confronti di George H.W. Bush nella campagna presidenziale del 1992, “è l’economia, stupido”, nel senso che a determinare l’esito finale delle competizioni elettorali è lo stato dell’economia del paese.

 

Se un candidato riesce a chiudere definitivamente la Guerra Fredda con l’Urss con gli storici accordi conclusi con Mikhail Gorbacev, ma non arriva ad evitare una recessione dell’economia statunitense, proprio come accadde a Bush sr. nel 1991-1992, non verrà rieletto alla Casa Bianca per un secondo mandato.

 

Lo stesso accadde a Jimmy Carter che, se nel 1978 firmò gli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto, il primo trattato di pace tra Tel Aviv e i suoi nemici arabi, non fu rieletto perché non trovò il modo di far superare all’economia americana le difficoltà determinate dalla seconda crisi petrolifera del 1979.

 

E allora come si spiega la repentina partenza di Chuck Hagel dal Pentagono? Non per motivi attinenti alla politica estera.

 

Se così fosse, come mai uno dei capisaldi della visione delle relazioni internazionali di Hagel, l’avvio di negoziati per raggiungere un possibile accordo con l’Iran di Hassan Rouhani, non ha subito alcun contraccolpo dalle elezioni di mid term?  

 

L’amministrazione Obama, tramite l’azione di John Kerry, ha solo posticipato al prossimo marzo il termine finale per conseguire tale intesa con l’Iran.

 

La motivazione della defenestrazione di Hagel risiede in un cambio sostanziale della politica estera della presidenza di Barack Obama.

 

Dopo l’irrompere, sulla scena mediorientale, della violenza delle milizie sunnite radicali dell’Isis con le orrende decapitazioni di giornalisti e operatori occidentali, l’ex professore di diritto costituzionale, definito “un guerriero riluttante”, che aveva costruito la sua fortuna politica sull’opposizione alla guerra in Iraq, è dovuto tornare sui suoi passi.

 

Se egli aveva iniziato la sua esperienza presidenziale con l’obiettivo di chiudere i conflitti ereditati da Bush jr. in Afghanistan e Iraq, portando a casa tutti i soldati americani là dislocati per utilizzare loro e le risorse economiche risparmiate per realizzare un “nation building at home”, favorire una ricostruzione dall’interno della società americana, impoverita dalle guerre e dalle conseguenze della Grande Recessione del 2007-2008, è stato costretto a modificare, in parte, tale prospettiva.

 

L’avanzata delle truppe dell’Isis in Siria e Iraq lo ha convinto non solo a non ritirare tutti i soldati statunitensi dai precedenti teatri di guerra (come aveva promesso), ma anche a coinvolgerli in nuovi combattimenti sul terreno, a fianco degli eserciti iracheni e arabi moderati che si scontrano con gli estremisti dell’Isis.

 

Non è quello che vorrebbero i suoi generali, come il capo del Joint Chief of Staff, Martin Dempsey, orientati a inviare di nuovo in Iraq e Afghanistan un numero ingente di divisioni statunitensi, ma non è nemmeno la missione per cui era stato  scelto Hagel per guidare il Pentagono: gestire il ritiro definitivo dal Medio Oriente delle forze armate americane e sovrintendere alla riduzione delle spese militari per stornare tali strumenti finanziari per usi ben diversi da quelli bellici.   

L'uscita di Chuck Hagel segna il cambio di strategia di Obama in Medio Oriente

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