Alla Biblioteca Nazionale di Parigi, specchio della cultura occidentale, la voce “Gesù Cristo” è seconda per numero di schede. La prima, significativamente, è “Dieu” (“Dio”). Questo dovrebbe già essere significativo sul valore del cristianesimo nella nostra cultura. Il cattolicesimo non è una “religione del Libro” (come l’ebraismo, l’islam e il protestantesimo), tuttavia basterebbe anche ricordare che la Bibbia è da secoli il libro più venduto e più tradotto al mondo (anche il più letto?), come risulta da continue classifiche internazionali.
L’ultima è quella realizzata recentemente dall’americanoJames Chapman, che è arrivato evidentemente ad inserire la Bibbia al primo posto. Lo stesso ha fatto la rivista culturale “Apollodoro”, inserendo nella classifica dei libri che hanno “rivoluzionato la storia”, dopo la Bibbia, il Corano e la “Summa Theologiae” di San Tommaso d’Aquino. Più sorprendente, come abbiamo già riportato, il fatto che nel 2011 in Norvegia la Bibbia sia stata il libro bestseller, con tanto di code degli acquirenti durante la notte per ottenere una copia della nuova traduzione. Nel 2010, in Italia, diecimila personalità della cultura, come mons. Gianfranco Ravasi, Giuseppe De Rita, Claudio Magris, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Amos Luzzatto, Margherita Hack, Tullia Zevi, hanno firmato un appello a sostegno dell’ iniziativa di introdurre la lettura della Bibbia nelle scuole: «Conoscere la Bibbia significa conoscere le nostre radici e la nostra storia».
Per l’occasione citiamo alcune parole scritte nel 2006 da uno dei firmatari, l’editorialista de “Il Corriere della Sera” Claudio Magris in merito al Libro. Ha citato il pensiero del non religioso Bertolt Brecht, per il quale la Bibbia era il libro che aveva in lui suscitato “l’impressione più forte”: «nella Bibbia, Brecht trovava un alfabeto per leggere il mondo; la grandezza di un testo che dice brutalmente e senza indorare la pillola la nuda verità della vita e della morte, l’ eros e la violenza, l’ incanto e il sapore di cenere, l’ altezza cui possono arrivare gli uomini salendo al di sopra di se stessi fino a concepire un assoluto che li trascende, li sorregge o li annienta, e la bassezza cui quegli stessi uomini possono giungere». Come ha scritto Northrop Frye, «la Bibbia è il grande codice della civiltà». Continua Magris sul “Corsera”: «è dunque la storia – arcaica e profetica, emergente da un oscuro passato e protesa al futuro – dell’ umanità [...] La Bibbia – Antico e Nuovo Testamento – e la tragedia e il mito greco continuano infatti a fornire le chiavi e le immagini per capire chi e cosa siamo, la colpa e la salvezza, l’ esilio e il ritorno».
Lo scrittore scocca anche una freccia contro i bui secoli illuministi: «Forse un gusto sterilmente raffinato e privo del senso dell’oltre non può comprendere questa sacra carnalità, come quell’aristocratica francese del Settecento, la quale si lamentava che lo Spirito Santo – per la teologia, ispiratore, anzi autore della Bibbia – scrivesse così male, ossia in modo poco elegante». E conclude: «insieme alla filosofia e poesia greca, Antico e Nuovo Testamento sono una radice primaria dell’ identità europea e occidentale, oltre che testi di portata universale. Lo sono ugualmente per i credenti come per chi non li crede ispirati direttamente in modo speciale da Dio [...]. Le radici dell’ Europa sono in buona parte ebraico-cristiane, grazie alle quali nel nostro Dna sono entrate pure molte linfe della civiltà medio-orientale; riconoscerlo non è una professione di fede ma una constatazione storica e negarlo è un’automutilazione».