Primo film d’animazione per il regista e sceneggiatore Patrice Leconte
Ha tutta l’aria di essere una gioiosa metafora sui problemi della vita moderna l’ultimo film del raffinato cineasta francese Patrice Leconte, “La bottega dei suicidi”, che uscirà nelle sale italiane il 28 dicembre 2012. Ma stavolta l’autore tra gli altri, de “Il marito della parrucchiera”,“Ridicule” “La ragazza sul ponte”, “Confidenze troppo intime” , “Il mio migliore amico”, “L’uomo del treno”, si misura con un cartoon musicale, probabilmente per preservare ancora di più l’aspetto umoristico e accentuare quello cinico, dato il tema affrontato, quello del suicidio appunto, che altrimenti sarebbero stati meno incisivi, nonché difficili da rendere perfettamente in un film “live action”. E l’animazione, naturalmente “non è la vita”.
Tratto dall’ omonimo romanzo di Jean Teulè, protagonista del film è una famiglia tradizionale, composta da padre, madre, figlio e figlia che hanno un’attività di grande successo commerciale che vende veleni, corde e tutto l’occorrente per chi vuole farla finita, in una città dove gli abitanti hanno perso la gioia e l’amore per la vita. Ma il figlio Alan è un bambino allegro e pieno di voglia di vivere, che contagia i clienti con il suo ottimismo e positività, a scapito degli affari di famiglia. Un sano portatore di scompiglio in un ambiente triste e cupo con atmosfere tipicamente burtoniane, e riferimenti a “La famiglia Addams“, dove la gente sopravvive rassegnata, vinta dal grigiore e dall’apatia dell’esistenza. Si preannuncia un finale positivo, quindi, a differenza del romanzo, e sarebbe difficile pensare il contrario conoscendo Leconte, il cui obiettivo da artista è sempre stato quello di dare piacere ed emozioni al pubblico e farlo sognare, cercando contemporaneamente e ambiziosamente di migliorare il mondo.
Una grande responsabilità, un grande impegno che predilige la qualità e il rispetto per lo spettatore ai facili successi ipocriti, supportata dalla profonda convinzione nel potere comunicativo del cinema. E senza dubbio è una grande responsabilità portare sullo schermo un argomento cosi terribile che sicuramente desterà le più disparate reazioni (in Italia la pellicola è stata vietata ai minori di 18 anni): il suicidio; ma Leconte lo avrà sicuramente rappresentato con tanta derisione e humor nero, facendo trionfare la vita, seppur molto spesso dolorosa e triste, ma pur sempre meglio della morte, all’interno di questa favola gotica ed insolita che si muove tra coreografie, canzoni ed evocazioni del cinema passato .
Si potrebbe anche pensare che Leconte sia sobriamente un nostalgico e che voglia dimostrare banalmente come una società moderna allo sbando possa spingere al suicidio, ma è un’ipotesi da scartare, perchè il poliedrico regista, in alcune interviste, pur riconoscendo una certa passione verso il passato, ha dichiarato che i suoi film vogliono essere universali, senza tempo.
di Annalina Grasso