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La camera n°4 – Seconda parte

Creato il 06 maggio 2015 da Aletonti

L’abitazione dei nonni era ricavata all’interno dell’albergo, come usava per molte strutture costruite ai primordi dell’epoca delle vacanze. Da ottobre ad aprile, ad albergo chiuso, metà del primo piano, quella che dava sulla strada, diventava il loro appartamento.
Il nostro è un piccolo albergo e un tempo c’erano 12 stanze e 2 bagni comuni per ogni piano, eccetto il quarto che era ridotto e ospitava solo 4 stanze e 1 bagno (oggi, dopo varie ristrutturazioni, sono anche meno). Non tutte le stanze avevano i servizi interni (all’inizio non li aveva nessuna) e con gli anni si stavano facendo i necessari interventi per aggiungerli. Una grande porta con pannelli di vetro lavorato delimitava l’ambiente dal vano scale/ascensore e dall’altra metà del piano.
L’appartamento era composto da 6 camere e 1 bagno. Le camere venivano sgomberate e arredate ad hoc ogni fine estate. La prima stanza, che aveva il numero 6, si trasformava in cucina: il bagno diventava il tinello, aveva gli attacchi per il gas ai quali veniva collegata una stufa a 4 fuochi con forno incorporato; si aggiungeva il frigorifero e venivano appesi i mobili e i pensili per le stoviglie. Il lavello era fisso ed era del tipo da cucina, con vasca, ripiano e un lungo rubinetto ; tale restava anche durante l’estate, quando la cucina tornava ad essere il bagno di una camera da letto. C’erano clienti che chiedevano quella stanza proprio perché era comoda per fare il bucato. Nel resto dello spazio veniva posizionato il tavolo da pranzo, una credenza, la TV e c’era spazio anche per un divanetto in finta pelle a due posti, di color rosso vinaccia.
La stanza adiacente, la numero 5, inizialmente comunicava con la 6 attraverso una porta che in seguito fu murata; fungeva da soggiorno e conteneva due poltrone dello stesso modello del divano, un tavolo rotondo con alcune sedie e delle alte piante in vaso.
La terza stanza, la numero 4, era la camera da letto dei nonni. Quella successiva, la numero 3, era la camera dove dormivamo io e mio fratello quando ci fermavano da loro. La numero 2 rimaneva inutilizzata mentre la numero 7, una di quelle ancora senza servizi fungeva da stireria e guardaroba. C’era poi una porta che portava alla terrazza esterna e alla lavanderia.
Ad ogni inizio di stagione, i nonni si trasferivano di sotto, in una camera tra la cucina e la dispensa, con un bagno personale. L’appartamento veniva smantellato, la cucina smontata, divani e poltrone portati nella sala TV dell’albergo, tavoli e sedie nella sala da pranzo. Anche le piante trovavano la loro sistemazione negli ambienti comuni o sui pianerottoli. Per certi versi, tutto ciò assomigliava al palcoscenico di un teatro, la cui scenografia cambiava in base alla stagione.

Dopo la scomparsa del nonno, e soprattutto in seguito ad una vasta opera di rinnovamento del piano terra, la camera da letto dietro la cucina scomparve. La camera numero 4 rimase alla nonna anche d’estate fino a che la ristrutturazione si estese ai piani. Si ricavò un mini appartamento di due stanze accorpando il bagno comune con la camera 7 e ricavando in tal modo una camera da letto con servizi privati. La stanza numero 6 diventò un soggiorno con angolo cottura. La sezione di corridoio che portava a quelle camere venne chiusa con una porta. La camera numero 4 tornò a disposizione dei clienti e mia nonna ottenne uno spazio tutto suo, senza esser più costretta a traslochi interni. Dal suo appartamento si accedeva alla terrazza-lavanderia.
Dopo essere andata in pensione come cuoca, continuò a lavorare occupandosi perlopiù di lavare, stendere e stirare la biancheria. Si alzava sempre alle 5 e alle 5,30 scendeva ad aprire l’albergo, spazzava la terrazza esterna, innaffiava le piante. Se c’era bisogno (cioè quasi sempre), dava una mano in cucina a pulire le verdure o il pesce, lavare pentole e padelle, asciugare le posate e i bicchieri. Restare inoperosa era per lei un fastidioso compromesso.
Nelle ore più tranquille del pomeriggio, quando molti erano a fare la siesta o in spiaggia, si metteva seduta fuori a chiacchierare con qualche cliente o con le vicine.
Anche quando gli anni e gli acciacchi iniziavano a farsi sentire, ha sempre rifiutato di andare a riposare di pomeriggio, come se fosse qualcosa a cui non voleva abbassarsi. Piuttosto si appisolava seduta, giusto qualche minuto, ma pronta a rimettersi in moto se ce ne fosse bisogno. Al mare ci andava ogni tanto di sera, con qualche amica, per bagnarsi i piedi camminando sulla battigia nel tentativo di sgonfiare le gambe e contrastare le vene varicose. Spesso a cena conclusa si metteva fuori a parlare con i clienti, e si ritirava prima delle 22.
Raramente si allontanava dall’albergo, se non per andare a messa, a ritirare la pensione o fare la spesa. Si spogliava della sua veste domestica senza maniche che era la sua divisa e si avviava per la strada a testa bassa, fissandosi i piedi, come se fosse imbarazzata nel trovarsi all’aperto, fuori dal suo ambiente, a compiere un gesto frivolo come il passeggio.
Era rimasta vedova a 58 anni, un’età che oggi è ritenuta sufficiente per rifarsi una vita, ma per le donne della sua generazione non era una possibilità nemmeno da contemplare e non solo per scrupoli morali. Parlava del nonno come la ragione a cui votarsi, come un riferimento che non si poteva ignorare e tanto meno tradire. Lui se ne era andato troppo presto e a lei spettava pagare parte del prezzo: niente le poteva sembrare più giusto. Era rimasta la custode di quello che avevano costruito insieme.
Non l’ho mai sentita lamentarsi, nemmeno sbuffare o borbottare. Per più di 40 anni ha diretto la cucina senza mai abbandonarsi all’isteria, come ho visto fare a uomini e donne più giovani e con meno responsabilità di lei. Trovava sempre il tempo e il modo per socializzare con i clienti e s’intendeva a meraviglia con i tedeschi, pur avendo un vocabolario molto limitato. Non ha mai cercato del tempo solo per se stessa e non l’ha mai rinfacciato a nessuno, come spesso accade ai nostri giorni. L’unica cosa che si aspettava, era di essere accompagnata al cimitero in visita a suo marito, quando le circostanze lo permettevano o semplicemente quando era il momento di farlo.
Era sempre in ordine ma non si curava del vestire. Raramente si comprava qualcosa, non c’era ombra di civetteria femminile nei suoi modi e nei suoi gusti. L’unica attenzione che si riservava era andare dalla parrucchiera 1-2 volte al mese.

(continua)


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